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 poesia  
Canto VIII  
di  Giuseppe Ciarallo  
                 
 
L'ottavo canto presentato in questo numero, pur essendo stato scritto successivamente alla pubblicazione del libro, è da considerarsi parte integrante del poemetto satirico “DanteSka Apocrifunk – Hip Hopera in sette canti” interamente scritto in quartine di endecasillabi a rima alternata, illustrato con tavole di Manlio Truscia e edito nel settembre 2011 dalle Edizioni Pagina Uno. 
(http://www.edizionipaginauno.it/Danteska-Giuseppe-Ciarallo.php) 
                 
                   
                  Per uno strano caso del destino 
                  ci ritrovammo, Manlio e il sottoscritto 
                  per sproloquiar e sbevazzare vino, 
                  di nuovo là, sul luogo del delitto. 
                   
                  In quel locale buio, angusto e losco 
                  dov'ebbe inizio il mio peregrinare 
                  tra l'alme di quel fitto sottobosco 
                  dove bontà e virtù son perle rare. 
                   
                  Mi succedeva un fatto assai curioso: 
                  come assuefatto a una potente droga 
                  dopo il mio gir per l'Ade, più riposo 
                  la mente mia trovava, ognor in foga. 
                   
                  La vita d'ogni dì parea banale, 
                  la noia fomentava il mio rovello, 
                  nel crollo dell'economia mondiale 
                  un chiodo fisso avevo nel cervello. 
                   
                  Al par d'uno speleologo impazzito 
                  volevo riveder l'antro scosceso, 
                  il precedente viaggio era finito 
                  lasciando tutti i dubbi miei in sospeso. 
                   
                  Così che in quella calma serotina 
                  piombò la frase mia come una bomba: 
                  “Ancor, secondo te, dalla latrina 
                  s'accede difilato all'oltretomba?” 
                   
                  L'amico mio pittor fece un gran guizzo, 
                  di quel quesito non capiva il nesso. 
                  Poi disse, preso dallo schiribizzo: 
                  “Che aspetti? Forza, dai, filiamo al cesso!” 
                  Sostammo, muti, innanzi all'uscio chiuso, 
                  il cuore a mille ormai pompava sangue. 
                  “Che c'è aldilà, una turca fuori uso 
                  o il varco per la plaga ove si langue?” 
                   
                  Cedette quel battente, a forza aperto, 
                  per il mio scivolare sulla guazza. 
                  Fortuna m'evitò almen lo sconcerto 
                  d'un uomo assiso, in sforzo, sulla tazza. 
                   
                  “Per Giove, guarda un po' che buio pesto!” 
                  fissando Manlio urlai col cuore cupo. 
                  “Peccato non aver le trofie e il resto” 
                  rispose lui avviandosi al dirupo. 
                   
                  Ma cadde, avendo posto mal la zampa, 
                  ed io, appresso, ottenni ugual destino; 
                  facemmo, ahinoi, di cul l'intera rampa 
                  giungendo alfine in uno sgabuzzino 
                   
                  che dava su uno sterminato vano 
                  di torni e presse colmo, in abbandono, 
                  laddove si notava un fatto strano: 
                  l'assenza d'operai e di frastuono. 
                   
                  Parevan d'una chiesa le navate 
                  quell'alte mura fredde e un po' spettrali. 
                  Le macchine di ruggine ammantate 
                  sembravano carcasse d'animali. 
                
                   
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                    Illustrazione di Manlio Truscia per DanteSka  | 
                   
                 
                 Sgomenti da cotal desolazione, 
                  la fitta trama delle ragnatele 
                  fendemmo, e innanzi a noi una processione 
                  marciava su due file parallele. 
                  Sinistre ed enigmatiche figure 
                  parean quell'alme austere, senza pace: 
                  quadrate teste, ghigne alquanto dure 
                  e un buco proprio in mezzo nel torace. 
                   
                  Votati a centrar sempre l'obiettivo, 
                  della tecnocrazia sono i credenti: 
                  il cranio quadro e d'ogni dubbio privo, 
                  un petto senza cuore e sentimenti. 
                  Dinnanzi mi si para il vecchio capo 
                  solenne nel suo incedere deciso, 
                  squadrandomi con musta da Gestapo, 
                  alle sue spalle i Bravi, ei pare il Griso.  
                   
                  “I tecnici noi siamo, udite, udite. 
                  Non fummo eletti, ma dai più... VOLUTI! 
                  per cui, suvvia, fidatevi e ubbidite 
                  l'Europa vuol rimedi risoluti. 
                   
                  La grave crisi ch'oggi il mondo scuote 
                  richiede soluzioni da paura; 
                  le colpe del buonismo sono note: 
                  a lungo andar causato ha la sciagura. 
                   
                  Noi siamo intervenuti con giustizia, 
                  con equità sociale e comprendonio: 
                  sarà la mia manovra redditizia 
                  con equilibrio, Iddio m'è testimonio.” 
                   
                  “Lei, professor, coraggio ha da leone 
                  nel dir che eque son le sue misure. 
                  La fredda lama della recessione 
                  sugli umili s'abbatte, come scure. 
                   
                  Ci avete tolto il Berluscon di torno 
                  (sì è ver, ma solo temporaneamente) 
                  però se dal mattin si ve' il buongiorno, 
                  sarà il doman peggiore del presente. 
                   
                  Vogliamo pulizia, lealtà, decoro, 
                  di unti del Signore siam satolli. 
                  Pari opportunità sian nel lavoro  
                  pei figli nostri e pei vostri rampolli. 
                   
                  Ma pure lei, nel taglio della spesa,  
                  toccato non ha i ricchi ed i più abbienti, 
                  i beni delle Banche e della Chiesa, 
                  i molti finti, ohibò, nullatenenti. 
                   
                  Seguito ella ha il consiglio, così pare, 
                  di Petrolini, re dei pigmalioni: 
                  i poveracci son da tartassare 
                  in quanto han poco sì… ma son milioni! 
                   
                  La crisi, è chiaro che viaggia sull'onde 
                  dell'insaziabil fame del Mercato, 
                  anonima entità, che ognor nasconde  
                  finanza, borghesia e padronato 
                   
                  Sistema, è ovvio, che l'è conosciuto 
                  essendone l'apostolo e il fautore. 
                  In fondo lei non è che il più arguto 
                  ennesimo bugiardo sfruttatore!” 
                   
                  Nel corso della lunga ramanzina 
                  m'accorsi che di lato ai funzionari 
                  un po' s'era animata l'officina: 
                  qualcuno trafficava ai macchinari. 
                
                   
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                    Illustrazione 
                        di Manlio Truscia 
                        per DanteSka  | 
                   
                 
                 Di fianco a Berlusconi, Bossi stava, 
                  il primo col sorriso ammaliatore 
                  e l'altro intento a urlare e sputar bava 
                  mostrando il dito medio al professore. 
                   
                  Un po' più in là, distanti qualche metro, 
                  sotto un ritratto, appeso, di Marchionne, 
                  sostavan Nichi Vendola e Di Pietro 
                  stravolti come da una notte insonne. 
                   
                  Casini con Rutelli, proprio al centro 
                  cincischia e finge d'essere sudato. 
                  Un solo fesso sgobba e ci dà dentro: 
                  il buon Bersani, al tornio indaffarato. 
                  Ai neoministri mi rivolsi accorto 
                  tenendo a freno ardor da pugilato, 
                  perché lo giuro ormai più non sopporto 
                  di essere cornuto e mazziato. 
                   
                  Non più voglio subir l'umiliazione 
                  di vivacchiare, ahimè, nel precariato 
                  e venir definito bamboccione 
                  o peggio ancor passare per sfigato.  
                   
                  “Su, il piatto mostra a noi dal qual ti nutri” 
                  ringhiando, al ricciolone puntai il dito, 
                  “di Previti, Brunetta e anche Dell'Utri 
                  risulta che tu sia il favorito. 
                   
                  Per cui proprio permetterti non puoi 
                  di esporre gli studenti sì alla gogna. 
                  Pentirtene potresti, prima o poi, 
                  io fossi in te morrei dalla vergogna!” 
                   
                  “E tu che la tua lacrima furtiva 
                  mostrasti alla TV facendo il botto. 
                  E mentre la pensione deperiva 
                  pensavi già all'articolo diciotto...”  
                   
                  L'amico Manlio a un tratto m'interruppe: 
                  “Ti prego andiamo via che più non posso 
                  restar per molto ancor tra queste truppe 
                  senza rovesciar l'anima in un fosso. 
                   
                  Non dico che rimpiango il berluscone 
                  (che quando lasciò il posto, accesi un cero), 
                  ma fastidiosi son pure Martone, 
                  Profumo, Clini e “lacrima” Fornero. 
                   
                  Per non parlar del premier truffaldino 
                  che spaccia per geniali, idee ciarpame. 
                  Che sol due opzioni offre al cittadino: 
                  perir di noia oppur morir di fame!” 
                   
                  Cercammo di sortir da quel serraglio 
                  ma un labirinto, l'opificio oscuro 
                  pareva, tanto che nemmen per sbaglio 
                  le stelle rivedrem, quest'è sicuro! 
                 Giuseppe Ciarallo  
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