rivista anarchica
anno 42 n. 371
maggio 2012


dossier Georges Brassens

“Brassens ou la liberté”

di Laura Monferdini

Lo scorso anno si è tenuta a Parigi, con questo titolo, una bella mostra dedicata a Brassens, il libertario che ha sempre preferito seguire la strada dell’individualità a quella della lotta collettiva. Cronaca di una visita.

 

“Se ne andava per la sua strada, tranquillo, con quella serenità che è propria dei saggi che non devono rendere conto che a loro stessi.
Una dozzina di album, milioni di dischi venduti, Brassens era tra noi da sempre e sarà con noi per sempre. Non è certo una consolazione ma rimane pur sempre un grande augurio.”

Richard Cannavo
Le Matin de Paris

Georges Brassens ci lascia il 29 ottobre 1981, senza clamore come tutta la sua vita trascorsa all’insegna della discrezione. Non temeva né la solitudine né il silenzio, si vestiva di umiltà di fronte alla vanità altrui, sapeva capire gli sguardi di tutti compresi quelli degli animali, e la sua voce ha cantato l’amore, l’amicizia, levandosi in una ferma condanna contro la guerra, la morale benpensante e l’arbitrio dell’autorità.
Brassens, il poeta, l’anarchico che scriveva su Le Libertaire, il timido dall’aspetto burbero che rassicurava con la sua figura imponente, i suoi baffi, la sua pipa e il sorriso sulle labbra.
A 30 anni dalla sua scomparsa Parigi, dal marzo all’agosto 2010, gli ha reso omaggio dedicandogli una grande mostra allestita negli ampi spazi della Cité de la Musique, affidata alla ricerca e alle cure della giornalista Clémentine Deroudille e all’originalità del disegnatore Joann Sfar che hanno tradotto la loro passione per il cantautore francese in una esposizione che ha ripercorso la vita e la carriera di questo immenso artista.
Un percorso atipico quello di Brassens, libertario, riservato, grande letterato e fine conoscitore della poesia francese, non solo uno straordinario autore di canzoni ma anche un musicista appassionato di jazz e ammiratore di Charles Trenet che nel vortice del successo seppe affermare e trasmettere al pubblico la sua tranquillità interiore.

Meglio la radio

La mostra, ormai conclusa, suddivisa in due spazi di uno stesso edificio, ci ha raccontato al piano superiore la vita dell’artista, dell’autore e del personaggio di successo, la dimensione privata e quella pubblica; a quello inferiore, ci ha condotti alla scoperta della “posterità” di Brassens.
I curatori si sono avvalsi di numerosi partner, primo fra tutti l’INA, l’Institut National de l’Audiovisuel, dai cui archivi audio e video sono emersi documenti rari ed inediti.
Ascoltare e visionare tutte le emissioni radiofoniche e televisive, gli scatti fotografici, è stato l’approccio al mondo di Brassens con cui Clémentine Deroudille e i suoi collaboratori hanno cominciato ad esplorare ed approfondire la realtà in cui si è formato l’uomo e l’artista, una totale immersione nelle sue parole e nei suoi gesti, nella quotidianità di questo infaticabile lavoratore, uno straordinario “artigiano” della parola, perfettamente cosciente del suo talento e del valore della sua arte, che nella tranquillità della banlieu parigina, nella sua stanza all’Impasse Florimont, ha composto la maggior parte delle sue canzoni.
Nessun mezzo al pari della radio, nel percorso di allestimento della mostra del trentennale della sua scomparsa, è stato in grado di rendere al meglio la figura dell’uomo di lettere, di far comprendere l’essenzialità delle sue parole, Brassens infatti non si dimostrò mai troppo a suo agio di fronte alle telecamere o sul palcoscenico. A questi supporti audio e video si sono aggiunti gli scatti e i manoscritti provenienti dagli archivi di Serge Cazzani e di numerosi privati, amici e collezionisti.
Riesaminare a fondo le testimonianze e renderle fruibili al pubblico negli spazi della Cité de la Musique, ricreare suggestioni, ripercorrere un’intera epoca, entrare in un mondo fatto di privato e di pubblico, in una dimensione intima alla scoperta dell’uomo che non ha mai lasciato il posto all’artista ma lo ha reso ancor più grande, ha significato far tornare il visitatore indietro nel tempo, al tempo di Brassens
Il percorso della mostra “Brassens ou la liberté”, ha accompagnato i visitatori dall’infanzia dell’artista (Sez.1 L’apprentissage de la liberté) nato a Sète fino alla giovinezza trascorsa nel Sud della Francia, lo ha condotto da Parigi a Basdorf in Germania, li ha riportati insieme al protagonista di questa straordinaria seppure troppo breve avventura umana e professionale, nella capitale, agli spazi angusti dell’Impasse Florimont al n. 9, da Jeanne e Marcel, dove più che altrove prese forma e colore il mondo di Georges Brassens.
Da qui, ormai intrapreso il suo cammino artistico, consolidate le amicizie storiche con Pierre Onteniente (soprannominato Gibraltar), René Fallet, Pierre Nicolas e con la compagna di una vita Joha Heiman, che lui chiamava Püppchen, “bambola” e che gli sarà accanto fino agli ultimi istanti la carriera di Georges Brassens andrà in crescendo di pari passo al suo impegno civile e morale.
La sua vita artistica è stata suddivisa dai curatori in tre fasi (Sez. 2 Auprès de mon arbre), il momento della letteratura, quello della scrittura e della composizione con il supporto visivo di manoscritti, alcuni dei quali, ritrovati nel Giugno del 2010, esposti per la prima volta.

La sua dimensione “planetaria”

Si giunge al cuore pulsante della mostra con la sezione “Morte aux vaches, vive l’anarchie” (Sez. 3 Le libertaire), espressione usata in Francia fin dalla seconda metà dell’Ottocento per insultare la polizia ed estesa a tutti coloro che vestivano un’uniforme; fu infatti fin dal 1946 che Brassens prese a collaborare con la rivista Le Libertaire, sulle cui pagine, come nelle canzoni seppe esprimere con tono irriverente, la sua ferma intenzione di lottare contro l’ipocrisia della morale borghese e delle sue sciocche convenzioni, schierandosi dalla parte dei più deboli, degli emarginati, contro ogni forma di autorità costituita, aderendo agli ideali anarchici. Le sue battaglie contro l’ingiustizia sociale, contro la pena di morte, alla quale si oppose con forza e determinazione gli costarono l’ostracismo dalla radio di Stato per molti anni.
Di questo percorso fanno parte anche gli spazi dedicati al Brassens privato, ritratto nei momenti meno conosciuti e più intimi, che si affiancano a quelli della sezione successiva dedicata all’artista che incontra il pubblico (Sez. 4. – Le spectacle), dal palco di Bobino, alle tournées fino alle sale parigine per giungere alla fine della prima parte con la consacrazione e i grandi duetti con personaggi che a lui si legano in maniera inscindibile, da Charles Trenet a Patachou, da Tino Rossi a Jean Bertola, Henry Salvador, Moustache, Nana Mouskouri e molti altri nomi dell’universo musicale francese dagli anni ’60 fino a poco tempo prima della sua scomparsa..
Scendendo al piano inferiore dello spazio che ospita la mostra ci si ritrovava invece proiettati nel colorato mondo dei fumetti di Joann Sfar, una biografia a tratti immaginaria ridisegnata dalla matita di un artista che ha inventato storie che hanno viaggiato sullo stesso piano delle vicende reali di Brassens tradotte nella visione eclettica e un po’ irriverente dell’autore.
Lasciati alle spalle gli spazi ludici per i ragazzi e l’area dedicata alle attività didattiche, il palco dei concerti che si sono susseguiti dall’inaugurazione della mostra fino alla fine di giugno con cadenza settimanale ogni venerdì, è il momento di guardare “oltre”, verso la dimensione “planetaria” del nostro protagonista che è stato cantato al di là dei confini della sua patria fino alle ex colonie della Polinesia francese. La sua voce, la sua arte non conoscono confini, come le sue idee.

E a coronamento di un viaggio sulle tracce di un personaggio dunque eccezionalmente popolare, tanto da scommettere che tutti, almeno una volta nella vita, abbiano intonato, in qualsivoglia parte del mondo, una delle sue canzoni: Le gorille, Auprès de mon arbre, Les amoureux des bancs publics o altre, un artista per sua scelta poco spettacolare, un libertario che ha sempre preferito seguire la strada dell’individualità a quella della lotta collettiva senza mai rinnegare le proprie convinzioni si apre il grande palcoscenico di Bobino, quello del récital del 1969.
E questa volta, tra gli applausi del suo pubblico, cala il sipario.
A bientôt Georges, le tue canzoni hanno tutta la vita davanti a noi!

Laura Monferdini