rivista anarchica
anno 40 n. 356
ottobre 2010


Francesco Cossiga

Ombre lunghe
di Adriano Paolella

Un coro quasi unanime (a parte “il Manifesto” e pochi altri) ha presentato l’ex-presidente della Repubblica come un onorabile padre della patria. In realtà Francesco Cossiga…

 

Il 12 maggio del 1977 era prevista a Roma una manifestazione come un’altra; nonostante l’allora Ministro degli interni Cossiga avesse vietato riunioni pubbliche, non sarebbe stata né la prima né l’ultima manifestazione che avrebbe contravvenuto a tali norme. Quel giorno fu uccisa una giovane radicale, ovvero una appartenente ad un organizzazione moderata. Fu “sparata” alle spalle mentre fuggiva da una carica delle forze dell’ordine. Immediatamente il movimento denunciò che molti erano stati i colpi sparati e che tutti provenivano da persone in borghese situate all’interno dello schieramento delle forze dell’ordine.
Cossiga negò tale possibilità e dichiarò che la ragazza era stata uccisa da una pallottola vagante sparata da un manifestante. Una doppia menzogna che aumentava la tensione indicando una non riscontrata presenza armata tra i manifestanti ed anticipando scenari che di li a poco si sarebbero tristemente concretizzati.
Il giorno dopo furono pubblicate alcune foto che mostravano un giovane uomo con tascapane e pistola che si muoveva, interloquendo, tra le fila delle forze dell’ordine. Il parlamento chiese chiarimenti e nonostante fosse stato ufficiosamente riconosciuta la persona della foto ed il suo ruolo nelle forze dell’ordine Cossiga continuò a negare l’utilizzo di agenti in borghese in quel giorno.
Ma l’“Emerito” era fatto così.

Giorgiana Masi. Cossiga vergognosamente
"coprì" e rivendicò il suo assassinio
da parte delle forze dell'ordine

Durante il caso Moro

Non ricordo se fu fatto dimettere, ma sicuramente fu premiato perché nel 1979 era Presidente del Consiglio. Magnifico! Fu lui che organizzò il gruppo di lavoro che doveva coordinare le ricerche di Moro, rapito dalle Brigate Rosse. Un gruppo scelto formato da diversi soggetti afferenti a diverse “armi” e con competenze varie ma quasi tutti afferenti alla P2 (lo scoprirono dopo); un gruppo i cui lavori, contraddicendo ogni regola, non furono mai verbalizzati; un gruppo che invece di operare, per competenza, operatività e segretezza, presso il Ministero dell’interno, fu allocato nel ministero della Marina in cui, quasi sicuramente per caso, in quel medesimo periodo (e solo per quel periodo) Licio Gelli (animatore della loggia P2, implicato in numerose vicende connesse alle stragi ed in generale al controllo golpista militare-mediatico del paese) aveva libero accesso.
Fu lui che impostò, o comunque approvò, le modalità militari di ricerca dei rapitori. E così, come molti i romani vecchiotti ricordano, tutte le strade erano piene di forze dell’ordine di tutti i tipi, di militari con le armi da guerra e mezzi blindati. Perquisizioni, fermi, posti di blocco una pressione fisica sul movimento e su tutti i cittadini: un gran “teatro”, come farebbe dire Camilleri a Montalbano, fatto per distrarre la popolazione mentre i rapitori e gli interessi che essi garantivano continuavano ad operare in massima tranquillità.
Fu lui che impostò, o comunque approvò, l’indirizzo dei servizi segreti (o della parte “deviata” di essi): la sera stessa del rapimento la polizia stampò un manifesto con una serie di foto di brigatisti ricercati e ritenuti probabilmente connessi tra cui Moretti (effettivamente organizzatore del rapimento) che il giorno dopo fu ritirato e ristampato senza la foto di Moretti; non furono in tempi rapidi indagati né il falso comunicato di Leonessa (fatto dalla Banda della Magliana su precise indicazioni dei servizi deviati), né dei numerosi segnali di depistaggio che già nel corso dei primi giorni si mostrarono, come emerse nei successivi processi, chiari e individuabili; non si operò per pervenire attraverso le informazioni fornite e fornibili da membri delle organizzazioni armate clandestine ad un individuazione dei “covi”; si operò in tutte le maniere per non avviare trattative. Tutte cose che non solo abitualmente ma specificatamente furono svolte per altri rapimenti delle BR proprio in quegli anni: il generarle americano Dozier fu trovato e liberato senza vittime; il democristiano Cirillo fu liberato trattando anche con la camorra.
Ma evidentemente, come era già noto ma fu confermato più tardi, il suo amico Moro (che bisogna dire nelle lettere da rapito aveva di lui un diverso giudizio) non era benvoluto dagli americani e non doveva tornare vivo a casa. E così il rapimento si concluse come era iniziato: con la morte. Non che fosse colpa sua ma la sua incapacità aveva un retrogusto di volontarietà che con discrezione e non direttamente nei suoi confronti è emersa in tutto il lungo percorso dei processi.
E bravo l’“Emerito”. Si dimise. Ma fu premiato.

Attività di depistaggio

E così divenne Presidente della Repubblica per merito. Iniziò l’epoca del “picconatore” avvilente attività da parte del massimo ruolo di un paese repubblicano. Anche da questa posizione riuscì ad operare secondo i suoi criteri fondanti: legato ai poteri forti picconò tutto quello che riteneva poterli infastidire, permanendo nel quadro del suo inossidabile atlantismo. Con il suo comportamento e con le sue parole spesso volgari, spesso criptiche, sempre minacciose svilì la figura del Presidente proprio in un momento politico in cui destrutturando tutto c’era la possibilità di non modificar nulla e di facilitare il riallineamento dei poteri e degli interessi esistenti in un mondo post guerra fredda.
E bravo l’“Emerito”.
Nelle sue esternazioni, da Presidente e successive, attaccò la magistratura ed in particolare quella che indagava su Gladio, bombe nere sui treni e strage di Bologna, chiese provvedimenti disciplinari per i magistrati che nelle indagini evidenziavano i rapporti esistenti tra eversioni e apparati dello stato, svolse una attività puntuale di depistaggio sulle indagini sulle stragi (ancora nell’agosto del 2008 in una lettera allusiva a proposito di Bologna riprendeva la tesi dell’attentato internazionale e si inventava valigie palestinesi esplose per sbaglio).
Edgardo Sogno, golpista confesso, era per lui “un patriota” ed il primo dicembre 1990, da Presidente della Repubblica, quando i familiari delle vittime delle stragi manifestano di fronte al parlamento va a rendere omaggio Vito Miceli, ex capo del SID e protagonista di depistaggi e trame, morto in quei giorni; tra la fine del 1976 e l’inizio del 1977, quando era Ministro degli interni, andò ad incontrare in Spagna il latitante fascista Stefano delle Chiaie coinvolto in tutte le indagini delle stragi da quella di Stato a Bologna. L’elenco delle sue esternazioni, incredibilmente tollerate dalla collettività, potrebbe continuare per pagine, ma tutte sono state coerenti con le prime significative attività da lui svolte quando, da sottosegretario alla difesa con delega ai servizi segreti, Andreotti ministro, all’inizio degli anni settanta, decise gli omissis da apporre alla relazione al tentativo di golpe Borghese trasformandone il senso e riducendone la portata militare e politica, quasi come se le persone armate entrate al Ministero degli interni, i forestali armati fuori alla RAI, i numerosi gruppi militari e civili pronti ad attuare il colpo di stato, e per questo organizzati e già operativi, facessero parte di una iniziativa goliardica-cialtronesca.

Compiacenza incredibile

Il suo comportamento può essere interpretato o come quello di un servitore deficiente a cui sfuggono affermazioni riservate, o di un efficace collaboratore di progetti atlantici, o di un utilizzatore di informazioni per propri fini (in pieno stile linguistico e comportamentale mafioso). Comunque sia con le sue azioni ha indirizzato negativamente la vita politica del nostro paese, ha contribuito ad accrescere un clima di tensione sociale, ha nascosto le trame ed i poteri golpisti; con le sue argomentazione ha fatto male ai parenti delle vittime delle stragi, ai magistrati, gli inquirenti ed a tutti quelli che cercavano di conoscere una verità non mistificata dei profondi tradimenti attuati nei confronti della collettività, ai movimenti che propugnavano alternative.
Eppure un personaggio come questo, che sarebbe dovuto essere bandito da ogni paese anche se solo democratico proprio per non rispondere alle regole della democrazia, sono stati affidati i principali ruoli operativi e di rappresentanza e ha goduto di una compiacenza incredibile.
In questo i rapporti con la sinistra parlamentare sono stati dirimenti. Se nel 1977 e dintorni la strategia del confronto militare con il movimento sostenuta dall’allora Ministro degli interni Cossiga era di fatto approvata dal PCI, come del resto la linea della non trattativa con i rapitori di Moro nel 1979 (altrettanto approvata dagli stessi la linea morbida Dozier e Cirillo) e se divenne Presidente della Repubblica con i voti della sinistra, fu proprio Cossiga a consentire l’unico governo in più di sessant’anni di democrazia con capo di governo dell’area comunista o ex comunista.
Sempre coerente, intorno al 1997 cambiando schieramento con un numero sufficiente di onorevoli incardinò l’operato del nuovo governo sul condiviso obiettivo di garantire un intervento armato in Kossovo per supportare gli Stati Uniti garantendo questi delle scelte del governo che lui per primo abbandonò dopo qualche mese quando ritenne essere completata la sua strumentale funzione.
La Sinistra parlamentare (o la grandissima parte di essa) evidentemente in lui individuò il rispetto di quei valori costituzionali e democratici a cui incessantemente si è appellata. E questo ha permesso al paese di tollerare più a lungo e più profondamente di ogni ragionevole misura le esternazioni di Cossiga e di non procedere contro il medesimo per le responsabilità che ha avuto nell’asservire, al di là del suo mandato, le scelte del paese ai comportamenti suoi e di coloro i quali attuava gli interessi.
Molte delle cose fatte dall’“Emerito” sono oramai concluse e poco peseranno sul nostro futuro; ma l’ombra lunga delle sue azioni sicuramente ancora oggi compromette la capacità propositiva dell’attuale sinistra parlamentare incapace, anche nel tempo, di fare chiarezza su quanto è successo nel nostro paese proprio per avere troppe volte utilizzato il proprio silenzio per l’ottenimento di risultati politici divenendo di fatto connivenza. E questa è un’ipoteca, culturale forse più che specificamente politica, che ancora oggi confonde la possibilità di alternative sociali.

Adriano Paolella