rivista anarchica
anno 40 n. 356
ottobre 2010


attualità

Ma cos’è questa crisi?
di Angelo Tirrito

La crisi non colpisce tutti perché, in concreto, risponde alle esigenze ed ai piani di chi questa “crisi” ha voluto col fine di consolidare e accrescere il proprio potere.

Pare che esista una crisi spaventosa che colpisce l’universo mondo ed in cui tutto sia reso confuso, incomprensibile e soprattutto con grandissimi margini di imprevedibilità.
Io sono perfettamente convinto del contrario. Innanzi tutto la crisi non colpisce tutti perché, in concreto, risponde alle esigenze ed ai piani di chi questa “crisi” ha voluto col fine di consolidare e accrescere il proprio potere.
Avendo una formazione “tendente all’anarchico”, credo sia fondamentale per prima cosa capire quale sia il problema nascosto dietro il termine “crisi” e quindi se coloro che dicono di volerla combattere in favore di tutti, quali strumenti utilizzano e quali problemi risolvano.
Non voglio farla lunga e quindi dico subito che la “crisi”, per chi ce la propone in termini così drammatici, non riguarda il fatto che la gente venga licenziata perché “il mercato” non offre lavoro. Affermare che non ci sia lavoro, non è lo stesso che dire che non ci siano lavori da fare. Chiunque si guardi intorno si rende conto di quanti lavori si dovrebbero fare, tanti che sarebbe ovvio pensare, che siamo in pochi per fare tutto quello che occorre.
Di più, quando parlano si risoluzione della crisi aggiungono che questa soluzione non riporterà la gente al lavoro, almeno per i primi anni. Sempre se, nel frattempo, non scoppia (?) un’altra crisi. Insomma, la crisi che per tutti vuol dire disoccupazione, mancanza di lavoro per i giovani, sostentamento vitale per tutti, è evidente che per loro vuol dire ben altro.
Infatti, tra le cose che dicono è che, risolta questa crisi, non potranno essere risolti, direttamente o indirettamente, gli infiniti problemi dell’umanità tutta.
Allora, d’ accordo, la crisi è finanziaria!

Tutti insieme chi?

Ma che vuol dire che la crisi sia finanziaria? A costo di essere accusato di eccessivo semplicismo, che la crisi sia finanziaria vuol dire semplicemente anzi semplicisticamente che coloro che hanno finanziato, cioè che hanno prestato dei soldi agli stati, temono che gli stati debitori, vogliano ritenere normale la impossibilità di pagare. (Non potere pagare è una ipotesi assolutamente normale, in una normale economia di libero mercato,).
En passant, non considero una colpa semplificare eccessivamente. Ci ricordiamo dei “vestiti dell’Imperatore? era semplicistico dire che il re fosse nudo, ma era quello che andava detto, niente di più e niente di meno.
Sia chiaro: nessuno che sia sano di mente può ritenere che gli attuali debiti pubblici proprio per la mole raggiunta nei diversi paesi, possano essere prima o poi ripagati. Ma questo, con tutta evidenza, non è il problema per chi ha finanziato e per chi ha ricevuto i finanziamenti, il loro problema è che il credito resti credito e che il debito resti debito. Se si dichiara che non si può pagare, il credito non può più essere iscritto all’attivo dei bilanci dei creditori e gli interessi che si ricevono tra i profitti.. Se il credito resta credito, su questi interessi ci si metterà d’accordo alle varie pseudo scadenze.
L’esistenza del debito consente ai creditori di dominare le situazioni nei vari paesi, designando (democraticamente!!! vedi legge porcata italiana) chi debbano essere i governanti dei paesi debitori, governanti per i quali il debito, attraverso le pseudo manovre sul debito stesso, è funzionale per ricattare e schiacciare chi nel loro paese potesse volere un cambiamento profondo.
Ecco che diventa chiaro il senso che ha spinto gli stati (per superare la crisi!) a fornire munizioni a chi spara loro contro! Le munizioni sono i sostegni che i vari stati hanno dato e danno ai creditori immettendo liquidità nelle banche spesso attraverso altri debiti che contraggono sempre verso gli stessi creditori. (Tutti i debiti pubblici sono aumentati) e stringendo patti di solidarietà internazionale per garantire i debiti stessi.
Che senso ha, dire: paghiamo noi! se la Grecia comunica di essere sul punto di dichiarare di non potere più pagare? Che senso ha metterci tutti insieme a garantire il pagamento del debito Grecia? Ma tutti insieme chi? Ed a chi dobbiamo pagare?
Qualcuno si pone il problema di chi siano questi creditori a cui noi dobbiamo tutti questi soldi? In Italia, per esempio, si affrettano a dirci che ciascuno di noi ha 30.000 euro di debito ma nessuno ci dice a chi li dobbiamo. Quello che, piangendo, ci vengono a dire, quando qualcuno propone di tassare le rendite da capitale, è che non lo si può fare per via dei poveri pensionati che arrotondano la loro scarsa pensione, appunto, con le rendite dei titoli di Stato. Ma poiché solo meno di un quinto degli italiani sono pensionati, mi si vuol dire che ogni pensionato ha 150.000 euro di titoli nel suo portafoglio?

Chi sono i veri creditori?

Ma se anche fosse, essendo lui stesso, sua moglie, i suoi due figli disoccupati e i suoi due nipotini pure essi debitori, va ha finire che è il povero pensionato stesso, con la sua pensione, che paga alla sua amata famiglia e a se stesso quanto e più arrotonda la sua pensione. (meno le commissioni che vanno alla banca e il 12% che và allo stato).
In base a questi (semplicistici) calcoli ho la strana impressione che i veri creditori siano ben altri che i poveri pensionati, e in più se si decidesse di non pagare ai pensionati non andrebbe così male.
E allora, perché non ci dicono chi sono i veri creditori?
Se io ho un debito credo sia mio diritto sapere a chi devo dare i miei soldi. Chi sono i miei creditori? E a secondo chi siano forse è possibile che io possa gestire meglio questo debito.
Non dico che voglio sapere i nomi di tutti i pensionati, ma sapere almeno i nomi dei maggiori creditori non dovrebbe essere un male. Invece niente.
Coloro che nel Parlamento sono per difendere gli interessi dei meno fortunati, com’è che non cercano di sapere questa cosa che mi pare importante. E mi pare importante anche in vista del cosiddetto federalismo fiscale.
Infatti se, in Italia, per caso, ci si accorgesse che la fetta più grossa, se non totale, del debito pubblico è nelle sedi di banche e di società del Nord, forse non è peregrina l’idea che il debito non dovrebbe essere diviso in parte uguale tra tutti i cittadini. Se il credito è al Nord, e il Nord incassa la quasi totalità degli interessi, forse è il Nord che se ne dovrebbe fare carico. Specialmente se si riflette come, attraverso fusioni bancarie ecc. ora i titoli sono nelle sedi del Nord, a prescindere se fossero prima del Banco di Napoli, del Banco di Sicilia, della Banca di Roma o delle numerose e regionali Casse di Risparmio.

Angelo Tirrito