rivista anarchica
anno 40 n. 354
giugno 2010


teatro e storia

Ogni estate, ad Anghiari
a cura di Andrea Merenghelli

Come il teatro può anche raccontare verità scomode e tener viva la memoria. Con il sorriso e con “tipiche” crudeltà toscane.

 

Nell’agosto del 2002, come ogni estate (dal 1996), si tiene ad Anghiari Tovaglia a Quadri, una cena con una storia da “raccontare in quattro portate”. L’evento mette a tavola ogni sera, per dieci sere consecutive, 130 persone, ed è diventato ormai un appuntamento noto in tutto il territorio nazionale. “Teatro di comunità”, “teatro povero”, “teatro popolare”: le definizioni più comuni usate per definire Tovaglia a Quadri. Oltre le definizioni, gli ingredienti: una piazzetta del cuore antico di questo borgo toscano, le tovaglie apparecchiate col classico panno d’Anghiari “a quadri” (un tempo segno di sobria povertà contadina, oggi un “caro” gadget), luminarie da festa popolare e la gente, gli abitanti-attori che dalle loro case (perché lì abitano) narrano, imprecano, cantano e raccontano verità lontane o problemi presenti, fatti comodi e scomodi che rendono la cena ancor più piccante e, a volte, poco “digeribile”. Quindici anni di storie (scritte da Andrea Merendelli e Paolo Pennacchini, per la regia di Andrea Merendelli), raccolte anche in un volume da poco uscito e “autoprodotto”, con la prefazione di Gianfranco Capitta.

Renicci, Anghiari (Arezzo).
Quattro internati in cerca di ghiande

Ma torniamo a quell’estate del 2002. L’edizione di Tovaglia a Quadri di quell’estate s’intitola “Mucchi di rena”, dove la ‘rena’ è quella sabbiosa delle rive del Tevere, e il plurale ‘mucchi’ ha un doppio singolare: “mucchio”, noto a tutti e “mucco”, meno noto, dispregiativo dialettale con cui si indica nell’aretino uno sporco o scuro in faccia, per ragioni di pulizia o di etnia. E chi sono i “mucchi di rena”? Sono i fantasmi di uomini, pelle e ossa, che se ne stanno accovacciati lungo quelle rive del Tevere toscano, ben descritti nelle lettere dal Campo d’Internamento Fascista e Badogliano n. 97. Ecco che in quell’estate del 2002, la comunità di Anghiari s’interroga, dopo decenni di oblio, sulla questione del Campo d’Internamento. Qualche storico attento l’aveva già fatto, ma la popolazione locale aveva ignorato la questione. Memoria scomoda? Senso di colpa e rimozione collettiva? Un po’ di tutto. Quegli oltre 150 morti fra migliaia di internati (fra di essi deportati dalla ex-Jugoslavia, detenuti politici anarchici, socialisti e comunisti) meritavano una riflessione, anche in un contesto d’intrattenimento come quello di Tovaglia a Quadri.

Renicci, Anghiari (Arezzo).
Davanti alle baracche, voci fuori dal coro

Nasce in quell’estate un movimento intorno a Renicci, un progetto del Comune e di tante associazioni per far conoscere quei dieci ettari di repressione della dignità umana e di violenza, che oggi sono dolcemente solcati da villette, filari di viti e querce. Sotto quelle querce, sorge un monumento e un Giardino della Memoria, davanti alle baracche ancora in piedi. Ogni anno, a fine gennaio, il Teatro di Anghiari mette in piedi una performance con i suoi attori, ogni anno diversa, perché purtroppo ogni anno non mancano gli spunti per “provocare” una riflessione sulle negazioni della libertà dell’individuo, sulla repressione dei diritti dell’uomo, sulle vecchie e nuove mistificazioni e coperture delle pagine più nere della nostra storia. Ecco che a Renicci si è raccontato e si racconta dei deportati dalla ex-Jugoslavia, che poi combatterono per la nostra libertà nelle unità partigiane, dell’Armadio della Vergogna (pieno di fascicoli che trattano del territorio aretino), dei prigionieri politici anarchici e socialisti, dei parroci massacrati dai nazifascisti (Don Tani e Don Mencaroni) e di quelli che invece spalleggiarono il regime (Frà Lupo e Don Zett), della dichiarazione dei Diritti dell’Uomo, carta massacrata e macellata insieme a un maiale in una ‘memorabile’ (e per taluni “scandalosa”) performance del gennaio 2009.

 
Renicci, Anghiari (Arezzo). “Gli internati
si spengono come lumicini senz’olio...”
 
“Tovaglia a Quadri”, Gerico racconta
con rabbia la durezza del Campo

L’idea di un teatro che serva (anche col sorriso e con ‘tipiche’ crudeltà toscane) a raccontare verità scomode col pretesto dell’intrattenimento, è la cosa che ci affascina di più. Il Teatro di Anghiari ha prodotto fra l’altro spettacoli come Clash to me. Racconto punk di provincia, un’autobiografia messa in scena da Andrea Merendelli, dove si racconta dei sogni di giovani sbandati di provincia dei primi anni ’80, memorie rabbiose che partono dalla morte di un amico sotto le macerie della stazione di Bologna. Era il 2 agosto del 1980. Anche in questo caso, il teatro e la musica sono un veicolo per far de-cantare la rabbia.

A.M.

Renicci, Anghiari. “Tovaglia a Quadri”.
“Slavi” di ieri e “slavi” di oggi: Alì il muratore