Le 
                        pagine che seguono sono parti del diario di cantiere realizzato 
                        nel corso di due missioni effettuate per conto di Emergency 
                        in Sudan, dove Pantaleo aveva il ruolo di logista edile. 
                         
                        Le missioni si sono svolte nel 2004-2005 in gran parte 
                        a Khartoum, per partecipare alla costruzione del centro 
                        cardiochirurgico di Emergency, e per brevi periodi in 
                        Darfur, per collaborare alla ristrutturazione del reparto 
                        chirurgico dell'ospedale El Fashir.  
                        Più che un vero diario di cantiere si tratta di 
                        riflessioni, pensieri, ma soprattutto della presa di coscienza 
                        di cosa sia la fame, la morte, la guerra.  
                        L'intero diario di Raul Pantaleo può essere richiesto 
                        a TAM associati (www.tamassociati.org) 
                        ed è visibile e scaricabile gratuitamente alla 
                        pagina www.tamassociati.org/PAGES/sudan.html. 
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                    (…). Dominare lo spazio, il tempo, gli eventi...la nostra 
                    cultura. In tale prospettiva, la casualità che qui 
                    vivo tutti i giorni assume un nuovo significato. In qualche 
                    modo è come imparare quotidianamente ad accettare l’imperfezione. 
                    Ho cercato di spiegare al muratore una regola precisa ma la 
                    sua è una logica che lascia che un pezzo chiami l’altro, 
                    in un processo di addizione successiva. 
                    Ho scoperto che la quasi totalità degli operai in cantiere 
                    sono sfollati del Sud e appartengono alla tribù dei 
                    Dinka. Si riconoscono dal fatto che per rito, a 15 anni, vengono 
                    loro estratti i denti inferiori. Ho scoperto che fanno la 
                    guardia notturna usando come armi le lance e che si muovono 
                    nello spazio in modo impercettibilmente diverso dagli altri. 
                    
                    È uno strano mondo questo, un mondo di approssimata 
                    modernità ed ancestrale resistenza. È così 
                    che comincio a comprendere, vedendo le persone per strada, 
                    i diversi gruppi etnici cui appartengono, dalle cicatrici 
                    che portano sul volto. 
                    Che cos’è “precisione”? 
                    La nostra precisione. L’angolo retto e il piombo? Nei 
                    villaggi le case sono costruite usando rette e angoli a 90°, 
                    ma nulla ha la fredda precisione dei nostri muri. 
                    “La mia esperienza africana è innanzitutto 
                    un’esperienza dello spazio. Grazie ad essa ho potuto 
                    rendermi conto di muovermi in un universo simbolico di cui 
                    mi sfuggivano molti elementi che invece assumevano un senso 
                    preciso per i miei interlocutori - un senso sociale, potremmo 
                    dire”. Mi ricorda Augé. (1) 
                    
                    E così ho capito molte cose che per giorni mi erano 
                    sfuggite. È un modo di pensare lo spazio in forma approssimativa, 
                    per sommatoria di pensieri. È un’idea che mi 
                    affascina, mi fa pensare alla capacità di ascoltare 
                    le cose e gli spazi, senza pretendere di dominarli o di prevedere 
                    sempre e comunque gli eventi che vi debbano accadere. (…). 
                    
                    Anche la nostra ansia di perfezione ci sembra diventare patetica. 
                    Linee diritte, perfette, superfici lisce e lucenti, iniziano 
                    a sporcarsi nel mio immaginario. Perché siamo imperfetti...così 
                    com’è imperfetta la vita. Questo mondo fatto 
                    di mille imperfezioni, questo mondo di bricolage dove tutto 
                    si arrangia e si ricicla, prende vita ai miei occhi, parla 
                    di un umanità ancora capace di confrontarsi con la 
                    realtà imperfetta. (…). 
                    Ieri sera siamo rimasti a discutere con Emiliano, Fabrizio 
                    e Marco (il nuovo logista arrivato a sostituirli) fino a notte 
                    tarda, nuovamente di sviluppo. Sì è 
                    questa la domanda che ci accompagna tutti i giorni: che cos’è 
                    lo sviluppo? In che senso siamo portatori di sviluppo? 
                    Di che forma di sviluppo si tratta? 
                    E siamo proprio noi ad interrogarci, noi che siamo qui proprio 
                    perché critichiamo il nostro modello di sviluppo palesemente 
                    non riproducibile all’infinito. Noi che siamo coscienti 
                    di come la nostra ricchezza derivi anche dallo sfruttamento 
                    e dall’impoverimento altrui. (…). 
                  
                  Khartoum 
                    (Sudan) - L’impresa edile di Emergency. Il primo a sinistra 
                    è Raul Pantaleo, autore di queste pagine
                   
 
                    Civiltà dei diritti 
                  Qui si percepisce un altro senso delle cose. “Una 
                    casa che protegga”…!! Forse questa è 
                    l’anima del costruire. È un valore sacro perché 
                    significa conservare e proteggere la vita. Come si può 
                    pensare al futuro se non si ha un riparo? Che futuro avranno 
                    questi bambini? Il modello da perseguire non è il nostro, 
                    non necessariamente è la nostra la “civiltà” 
                    cui aspirare. Forse il modello da immaginare è quello 
                    di una civiltà dei diritti che non coincide con la 
                    civiltà occidentale: il diritto ad avere un luogo che 
                    protegga, il diritto alla sopravvivenza alimentare, il diritto 
                    alla salute, il diritto allo studio. Banalità forse, 
                    ma che qui hanno carne e anima. 
                    Sarebbe sufficiente una casa che protegga! 
                    È un progetto minimo, che da qui sembra lontano anni 
                    luce, un’utopia: “(…) è un’utopia 
                    dell’educazione, della piena occupazione e della sicurezza 
                    per tutti; è un’utopia necessaria e la sola che 
                    valga”. (…) (2) 
                    
                    Crediamo che questo modo di relazionarsi con la tradizione 
                    locale, rileggendola ed implementandola, sia l'approccio corretto 
                    ad una progettazione. È fondamentale l'uso delle tecnologie 
                    e della manodopera locale per garantire la riuscita dei lavori 
                    ma soprattutto per la manutenzione successiva. È un 
                    lavoro complesso e spesso non capito dai locali che, abbagliati 
                    dal miraggio della tecnologia proveniente dai paesi occidentali, 
                    considerano la tradizione come qualcosa di superato ed obsoleto. 
                    
                    L'equazione: moderno = bello, in Sudan rappresenta 
                    il presente e purtroppo il prossimo futuro. Agendo in questo 
                    modo si cancellano secoli di esperienza e di storia per far 
                    posto a tragici ed orribili palazzoni. Del resto è 
                    difficile essere credibili quando gli stessi ed identici processi 
                    sono avvenuti in tutt’Europa non più tardi di 
                    50 anni fa. 
                    Perché non hanno il diritto di fare la stessa strada, 
                    mi dico? 
                    Penso che si debba cercare di rendere la nostra passione per 
                    la ricerca delle radici culturali contagiosa e far in modo 
                    che si evitino gli stessi errori fatti in occidente. È 
                    una sfida impossibile e forse persa in partenza ma che vale 
                    la pena essere combattuta tanto quanto salvare una singola 
                    vita. 
                    È una battaglia contro l'omologazione, la colonizzazione; 
                    è una battaglia per preservare le diversità 
                    e le peculiarità di un luogo e di un popolo. (…). 
                    
                    Ripenso alle nostre lunghissime discussioni serali su cosa 
                    sia lo sviluppo, perché, a guardarsi intorno, sembra 
                    che qui – sviluppo – significhi riprodurre 
                    per l’ennesima volta il concetto occidentale di progresso, 
                    di consumi e sprechi, sperpero delle risorse, abbandono delle 
                    tradizioni e della propria identità e soprattutto distruzione 
                    dell’ecosistema. (…) 
                  
                  Khartoum 
                    - Campo-profughi
                   
 
                    Esserci con anima e corpo 
                  Quante volte mi sono chiesto se la parola rispetto 
                    abbia un valore universale. Tolleranza, comprensione, ma soprattutto 
                    rispetto reciproco. Questi sono stati i principi con cui abbiamo 
                    cercato di trasformare questo gruppo di profughi senza professione 
                    in una piccola impresa edile. 
                    Questa volontà viene colta una mattina, quasi per caso, 
                    perché all’improvviso gli operai hanno iniziato 
                    a lavorare con attenzione ed interesse mai visti prima. Questo 
                    mi ha riempito di gioia e anche di orgoglio. 
                    Se alla fine di quest’esperienza avranno imparato un 
                    mestiere e costruito parte dell’ospedale, sarà 
                    un grandissimo successo. Ma la cosa che mi ha più colpito 
                    è proprio che il rispetto, unito all’esempio, 
                    ha fatto sì che, pur nella chiarezza dei diversi ruoli, 
                    si sia iniziato a costruire un rapporto di “costruzione 
                    di condivisione”. 
                    Bisogna esserci, non soltanto con l’anima e con i principi, 
                    anche con il corpo: toccare la “carne del mondo” 
                    significa sporcarsi, sudare, faticare. E alla fine anche saper 
                    ridere! 
                    “Il fatto essenziale dell’espressione consiste 
                    nel portare testimonianza di sé garantendo questa testimonianza”. 
                    Stiamo cercando di condividere valori e forse sogni. E questo 
                    per noi significa costruire questo ospedale. Un luogo dove 
                    la materia diviene ideale, e viceversa. 
                    “L’Ospedale – questo abbiamo imparato 
                    ad Emergency – è allora il luogo dove si 
                    cerca di costruire, praticandolo, un pezzetto di diritti di 
                    tutti, per tutti, che dovrà inserirsi nel grande puzzle 
                    dei diritti umani: il diritto a restare vivi e ad essere curati 
                    per continuare ad esserlo”. (…). (3) 
                    
                    Le parole che avevo ritagliato da un bollettino di Emergency, 
                    prima di partire, cominciano a prendere senso: “(…) 
                    riconoscere il valore di ogni essere umano è costruire 
                    la pace. E tutto ha un significato ogni volta unico e nuovo, 
                    se l’essere umano ha il nome, il volto, il corpo di 
                    una persona viva, che poteva non esserlo più”. 
                    (…). 
                    Qui si muore di cose banalissime: malaria, febbre gialla o 
                    diarrea. Patologie che si curano con banalissimi medicinali. 
                    Con il passare dei giorni ho imparato a convivere con queste 
                    presenze invisibili, quelle degli operai assenti in cantiere 
                    per la malaria, loro o dei loro figli. (...). 
                    Esserci significa impegnarsi a limitare il colonialismo culturale 
                    che si insinua negli interstizi di questa società ancora 
                    in bilico tra passato e futuro. (…). 
                    Allora mi risuonano nella mente più chiare le parole 
                    di Gino su una sanità pubblica gratuita: “Un 
                    ospedale in zona di guerra è anche un luogo dove si 
                    può dare un senso alla parola "pubblico", 
                    cioè di tutti. Senza discriminazione di etnia e di 
                    sesso, di religione e di politica. E senza discriminazione 
                    economica: perché quel che succede nei paesi in guerra, 
                    e in quelli poveri (che peraltro in parte si sovrappongono), 
                    è che la sanità "pubblica", nei rari 
                    casi in cui esiste, anche se di livello indegno, è 
                    comunque a pagamento, cioè privata”. (4) 
                    (…). 
                  
                  
                  Khartoum 
                    - Interrato del blocco chirurgico del Centro Cardiochirurgico 
                    di Emergency “Salam”
                   
 
                    Wad El Bashir 
                  Uscendo da Khartoum, inizia subito il deserto a perdita d’occhio. 
                    Ci stiamo dirigendo verso un campo di IDPs (Internal Desplaced 
                    Persons) alla periferia nord della capitale. Ci accompagna 
                    un giovane medico sudanese che opera come volontario nel dispensario 
                    sanitario di questo campo. 
                    Wad El Bashir è uno dei campi profughi che circondano 
                    Khartoum. In questo campo, secondo le indicazioni del personale 
                    medico locale, sono dislocate circa 10.000 famiglie vittime 
                    della guerra che ha messo a confronto, nel sud cristiano e 
                    africano, l’SPLA (Sudan People’s Liberation Army) 
                    e le truppe governative. Facendo una media di cinque persone 
                    per famiglia, si parla di circa 50.000 profughi che vivono 
                    tra baracche e costruzioni precarie in mezzo alla sabbia. 
                    (…). 
                    Un senso d’impotenza ci prende a vedere questo degrado. 
                    Soprattutto ci viene rabbia pensando che le risorse necessarie 
                    per dare un’esistenza “decente” a queste 
                    persone, sarebbero un’infinitesima briciola di quello 
                    che viene investito quotidianamente per portare avanti una 
                    delle tante, “democratiche” e assurde guerre dislocate 
                    in ogni angolo del nostro pianeta. 
                    Di fronte a questo desolante panorama però, arrivano 
                    anche alcune certezze; per esempio si smette all’improvviso 
                    di domandarsi se una guerra possa essere giusta o sbagliata, 
                    opportuna o non conveniente. Perché alla fine, le vittime 
                    di qualsiasi conflitto sono di fronte ai nostri occhi, non 
                    sono solo gli uccisi ma anche le migliaia di civili “qualunque” 
                    che restano dopo la guerra, quelle persone che aspirano ad 
                    un diritto minimo, quelle persone che “si stanno 
                    ancora battendo, per il pane”. (…). 
                  
                  Khartoum 
                    - Getti del blocco chirurgico del Centro Cardiochirurgico 
                    di Emergency “Salam”
                   
 
                    Business e sanità 
                  Il problema principale è stato che la sanità 
                    in Sudan è un grosso affare per le persone impiegate, 
                    dai dottori all’ultimo degli inservienti. Oltre ad essere 
                    a pagamento, il sevizio sanitario è anche un intricato 
                    sistema di “balzelli & corruzione”. A maggior 
                    ragione in questo periodo, dove sul Darfur si riversano centinaia 
                    di milioni di dollari che provengono dall’assistenza 
                    sanitaria mondiale. 
                    In questo contesto, un ospedale come quello di Emergency, 
                    totalmente gratuito, è fortemente osteggiato 
                    dal personale locale che si vedrebbe così sottrarre 
                    i lauti guadagni che provengono da queste “entrate secondarie”. 
                    
                    È una situazione assurda, tant’è che alcuni 
                    giorni fa, in occasione di un intervento operatorio, due medici 
                    di Emergency videro gli infermieri locali rifiutarsi di trasportare 
                    il paziente in corsia se non previo una ricompensa finanziaria. 
                    
                    Chi subisce questi soprusi, naturalmente, sono sempre i più 
                    miserabili, quelli che non potendo pagare l’infinita 
                    sequenza di balzelli, sono costretti a morire anche per il 
                    morbillo. Sì, morbillo... Perché questa banalissima 
                    malattia è insieme alla malaria uno dei fattori di 
                    mortalità infantile più frequenti 
                    Oggi è venerdì e qui è l’unico 
                    giorno di riposo. Gli eventi di questi ultimi giorni, la situazione 
                    internazionale sono sempre al centro delle nostre discussioni, 
                    soprattutto il futuro di questo paese che ci pone quotidianamente 
                    mille problemi, ma che proprio per la sua varietà etnica 
                    e religiosa ci affascina. 
                    Il Sudan è uno strano paese (è un invenzione 
                    post-colonialista degli Inglesi) sia dal punto di vista etnico 
                    che religioso. Etnicamente gli Arabi costituiscono il 39% 
                    della popolazione, gli Africani il 61%. Dal punto di vista 
                    religioso, il 70% risultano essere Mussulmani e il restante 
                    tra Cristiani e altre fedi religiose. (5) 
                    
                    Il potere economico e politico è saldamente in mano 
                    alla componente militare arabo/mussulmana della popolazione. 
                    Un fragilissimo equilibrio che negli anni si è macchiato 
                    di sanguinose guerre, prima nel sud del paese (per quarant’anni) 
                    ed ora nella regione del Darfur. Il caro vecchio Darfur, luogo 
                    di confine di civiltà e religioni. 
                    Darfur, luogo che se mal governato, è a forte rischio 
                    di “balcanizzazione”. I segnali provenienti dal 
                    panorama internazionale mostrano invece il tentativo di infuocare 
                    quest’area per le ragioni più diverse, ma in 
                    molti iniziano a sospettare per ragioni energetiche. Accentuando 
                    un latente conflitto di religioni, si va a rendere incandescente 
                    una situazione estremamente precaria. Ora, in questo quadro 
                    generale, si affaccia un nuovo soggetto/spettro “politico”: 
                    il petrolio. (…). 
                  
                  Khartoum 
                    - La casa dei parenti del Centro Cardiochirurgico di Emergency 
                    “Salam”
                   
 
                    Tra il dire e il fare 
                  “Un serbatoio di umanità”, ci si sente 
                    così dopo un’esperienza come questa. Però 
                    il lavoro non è finito, bisogna essere testimoni di 
                    quanto si ha avuto il “dono” di vedere e di provare. 
                    Anzi il lavoro inizia proprio ora, ed è il più 
                    difficile. 
                    Perché è difficile spiegare e far provare. Gli 
                    occhi di Amarsa guarita, l’orgoglio degli operai Dinka, 
                    la gioia di Dem, Santino, Jumà. Ma soprattutto è 
                    difficile spiegare e far provare l’orrore della guerra, 
                    l’ingiustizia, la sofferenza. 
                    Parole sentite ripetere mille volte. Parole di circostanza. 
                    Chi non è contrario alla guerra o contro la fame e 
                    l’ingiustizia? A parole sono tutti concordi. È 
                    nell’azione che ci si rende veramente consapevoli e 
                    partecipi degli eventi. “L’azione, la sola 
                    attività che mette in rapporto diretto gli uomini senza 
                    la mediazione di cose materiali, corrisponde alla condizione 
                    umana di pluralità, al fatto che gli uomini, e non 
                    l’Uomo, vivono sulla terra e abitano il mondo”. 
                    (6) 
                    La nostra testimonianza, il nostro “esserci” rendono 
                    vive le nostre azioni, fanno sì che non restino isolate 
                    nella nudità della realtà, nella carnalità 
                    del mondo. 
                    Mi piace chiudere questo viaggio di conoscenza con le parole 
                    di colei che ha fatto dell’azione uno strumento rivoluzionario 
                    di senso, H. Arendt: “Con la parola e con l’agire 
                    ci inseriamo nel mondo umano, e questo inserimento è 
                    come una seconda nascita in cui confermiamo e ci sobbarchiamo 
                    la nuda realtà della nostra apparenza fisica originale”. 
                    (7)