rivista anarchica
anno 35 n. 305
febbraio 2005


non-notizie

Il Natale abolito
di Francesco Codello

 

La religione non è in se stessa oppio dei popoli ma lo diventa quando una forma qualsiasi di potere la strumentalizza per consolidare il proprio dominio.

 

Tra le tante notizie di fine anno che irrompono nelle nostre vite ce n’è una che ha dello sconvolgente: Ecco la scuola che ha abolito il Natale (“Il Giornale”, 24 dicembre 2004). Sparata in prima pagina, con titolone degno dell’evento epocale che annuncia ciò, la notizia in effetti non è che l’ultima (speriamo) di una serie di “scoop” che i giornali nazionali e locali hanno pubblicato lungo tutto il mese di dicembre, coadiuvati da servizi televisivi e dalla regina delle trasmissioni di cultura della nostra Rai, la vespiana “Porta a porta”.
Se questo presunto fatto (già, perché assolutamente inesistente, state tranquilli bigotti di ogni specie) non fosse maledettamente serio nelle sue implicazioni culturali, non me ne occuperei. Ma è opportuno spendere alcune riflessioni e alcune considerazioni.
La presunta abolizione del Natale matura in una scuola elementare di Treviso per opera degli insegnanti che invece della tradizionale festicciola o recita che precede le vacanze natalizie, mettono in scena (rivista e corretta) una rappresentazione su Cappuccetto Rosso, parte di un programma di lavoro didattico da anni progettato. Apriti cielo! Soloni, benpensanti, amministratori leghisti e non, trevigiani di pura razza Piave, ecc., scatenano una disgustosa polemica e lanciano una nuova crociata in favore della liberazione delle scuole da questi infedeli.
Fin qui è la notizia, come si vede triste e strumentale, in una città già ampiamente all’onore delle cronache per tante esternate e praticate azioni amministrative distintesi solo per ignoranza, violenza, intolleranza (è la città dello sceriffo-sindaco ma anche, e soprattutto, dei tanti che lo acclamano).
Ma da questo fatto di cronaca mi pare indispensabile dover partire per sollevare alcune questioni di più certa importanza.
L’irrompere della questione islamica nei vari Paesi europei, ha prodotto una riapertura della discussione su laicità e religiosità, alla quale le diverse culture hanno dato risposte variegate, contrastanti, contraddittorie. E queste discussioni si sono tradotte in provvedimenti legislativi, in manifestazioni e dibattiti ad ogni livello.
A questi temi non possiamo essere insensibili e, credo, neanche accontentarci di consumate certezze di una sempre pur importante derivazione illuministica.

Espressione di spiritualità

Vorrei affrontare questo argomento non nelle sue implicazioni socio-politiche ma piuttosto in quelle filosofico-culturali. La storia delle religioni è una conoscenza importante e indispensabile per capire non solo gli avvenimenti storici ma soprattutto il modo con il quale gli uomini e le donne, nel corso di migliaia di anni, hanno cercato di dare risposte ai più inquietanti problemi dell’esistenza. Arte, cultura, simbologia, ritualità, pratiche, musica, ecc. non sono forse state contaminate da questa importante manifestazione dell’animo umano e del potere secolare della Chiesa? Per questo la religione è un’espressione della spiritualità dell’uomo che non possiamo trascurare e proprio per questo il pensiero anarchico, seppur con accenti diversi, ha indirizzato le sue riflessioni nello svelarne la natura repressiva in quanto Autorità di ogni altra autorità, autorità per eccellenza.
Da qui nasce l’ateismo anarchico, vale a dire che la religione, in quanto forma di autorità interiorizzata e di potere secolarizzato, è sempre stata combattuta e additata come espressione del dominio e costante elemento di sottomissione (le chiese) e di auto-imposizione (le religioni).
Ma possiamo negare che esista una religiosità, una spiritualità, che l’uomo esprima in tante forme e in contesti storico-geografici diversi? Credo di no, così come credo che una società veramente libera, cioè senza dominio alcuno (esterno o interno), libererà molteplici e diverse forme di spiritualità che non sono altro che diversi modi di esprimere l’essere nella sua autenticità. Poco importa che io sia ateo o agnostico (più il secondo del primo) ma molto importante è che io accetti tutto ciò come una espressione dell’individuo nella sua evoluzione.
Queste premesse (molto schematiche lo ammetto) mi servono però per leggere anche la realtà quotidiana nelle sue varie e articolate manifestazioni e le risposte dei classici del pensiero filosofico occidentale non bastano a cogliere la portata degli avvenimenti storici e dell’immaginario sociale ad essi legati. Una volta assodato che ogni forma di espressione umana quando si trasforma in dominio non può essere accettata, che fare quando la diversità di “essere nel mondo” tocca un tema come questo? È la stessa logica dei sentimenti, quelle forme di “sentire” la propria relazione con gli altri, la natura, se stessi, che arricchisce la nostra esistenza? Quante domande, quanto bisogno di cercare risposte non scontate, non convenzionali (anche tra noi anarchici ci diamo spesso risposte di questo tipo, anche tra noi esistono atteggiamenti fondamentalisti).

Proibizionismo laico

E allora come reagire di fronte alle scelte dello Stato francese, ad esempio, lo Stato laico per eccellenza, di fronte alla proibizione di ostentare nella scuola i propri simboli religiosi nel proprio abbigliamento, è con una proibizione che possiamo ampliare la dimensione della libertà, siamo d’accordo solo perché la neutralità è rassicurante e invece l’espressione della diversità può fare paura? Oppure temiamo che delle statuine che raffigurano una natalità possano turbare animi innocenti e puri da non condizionare? Per favore, diamo per scontato che nessuna istituzione in quanto forma dello stare assieme debba essere confessionale, almeno tra di noi. Ma pensiamo di negare la diversità religiosa, o peggio la spiritualità dell’uomo, con questi provvedimenti? Non credo che ciò sia possibile e neanche giusto.
In fin dei conti anche il laicismo è una forma di dominio in quanto pretende di far assurgere a verità comune una questione che è prima di tutto individuale e tale deve restare. Insomma non essere credenti non significa imporre ad altri di diventarlo. Ancora una volta è nelle cose di ogni giorno, nelle relazioni interpersonali e sociali, che possiamo trovare momenti di confronto e di arricchimento personale. Sento vicini a me, al mio modo di pensare, di agire, di vivere, tante più persone religiose, sinceramente e non strumentalmente legate ad una particolare forma di espressione religiosa, che tanti rivoluzionari tutti d’un pezzo o peggio tanti religiosi di potere. Non temo questi incontri, anzi li cerco, perché da essi nascono tanti motivi di confronto, spesso molto più autentici di altri.
Con questo voglio dire semplicemente che incontrare e condividere tratti di strada comune con esseri umani che professano una fede religiosa, non si è mai dimostrato come un fatto che abbia in alcun modo compromesso un comune sentire e un desiderio forte di modificare una realtà oppressiva qualsiasi. Quando la religiosità e la spiritualità sono prive di secondi fini (secolarizzati) o quando esse sono un mezzo per esprimere una maggiore profondità del proprio vissuto e una più autentica natura del proprio essere, non sono mai di ostacolo a questo incontro tra diversità.

Volgari e violente strumentalizzazioni

Detto tutto ciò non posso che denunciare, proprio anche in nome di questo mio anarchismo, come siano volgari e violente le strumentalizzazioni che soprattutto la Lega ha messo in atto a seguito di questi fatti locali e, al contempo, come vi sia una evidente ondata clericale che, soprattutto nella scuola, sta assumendo forme decisamente insopportabili. Ma non è un caso che proprio la cultura pedagogica del cattolicesimo romano-bergamasco (il cattolico professor Bertagna, ispiratore dei nuovi provvedimenti e indirizzi nazionali scolastici è di Bergamo), si incontri con la cultura berlusconiana delle tre “i” (inglese, informatica, impresa) e che Chiesa e Industriali siano quelli che hanno il disegno più chiaro circa il presente e il futuro da dare anche alla scuola. E questo non ci piace, statene certi e per quanto possiamo, e potremo, lo osteggeremo. Ma senza confondere tutto ciò a cui stiamo cercando di dare delle risposte, magari con tanti punti di domanda al posto di quelli ostentatamente esclamativi. La religione non è pertanto in se stessa oppio dei popoli ma lo diventa quando una forma qualsiasi di potere la strumentalizza per consolidare il proprio dominio. Io comunque resto un post-religioso che non nega la propria dimensione spirituale.

Francesco Codello