rivista anarchica
anno 33 n. 292
estate 2003


canzone d’autore

a cura di Alessio Lega

 

Una grande arte
per un’eterna rivolta


La dedizione dei ferréiani, cui mi pregio di appartenere a pieno titolo, al grande Léo sfiora l’idolatria... lo dico consapevole dell’intima contraddizione di pendere dalle labbra di chi, prima di scendere dal palco, non mancava di «augurare di non avere mai ni dieu ni maître» (che vuol dire padrone ma anche maestro).
Di conseguenza spesso mi trovo nella complicata situazione di dover consigliare «qualcosa» a chi mi chiede di avvicinarlo all’opera del nostro... ma cosa proporgli per cominciare?
Gli inni rabbiosi, violentemente anti-civili (e – attenzione – mai incivili!) quali appunto Ni dieu ni maître, Les anarchistes, Y en a marre, L’espoir... ma come poterli comprendere a pieno senza tener conto dei contemporanei folgoranti versi esistenzial-visionari, che travolgono le nostre coscienze personali quanto quegli altri travolgono il «buon senso comune»? Come capire a fondo Les anarchistes senza La memoire et la mer o Tu ne dis jamais rien?
Forse si dovrebbe far percepire la rivoluzione formale dei lunghi recitativi musicati, dove Beethoven e Ravel s’incontrano con Rimbaud, dove strutture e logiche saltano in aria e si viene travolti da un attacco «a parole armate», da cascate d’immagini e suoni come onde in tempesta, come l’esplosione di un big bang creativo e apparentemente caotico... ma come apprezzare appieno tale, ancora oggi, novissima concezione di allargamento della struttura canzone (Le chien, Il n’y a plus rien,...), senza tener presente la solida base, la perfetta gestione delle cadenze popolari che Ferré aveva dimostrato di possedere quando negli anni ’50 distillava la compiutezza di Paris canaille, di La guinche, di Paname...
E se invece si consigliasse un approccio a partire da quel vertice inarrivabile che è L’Opéra du pauvre, opera per coro, canto, recitazione e orchestra, summa della magniloquenza creativa del nostro (per circa tre ore di sublime ascolto)?
O ancora se ci si accostasse a Léo attraverso le centinaia di versi dei suoi «fratelli» poeti maledetti, trasformati in altrettanti classici della... canzone (Baudelaire, Verlaine, Rimbaud, Apollinaire... avete mai conosciuto migliore équipe di parolieri)?
Insomma... da qualunque parte la si prenda, l’opera di Ferré assomiglia a una cima montuosa che si può scalare da lati opposti sempre certi di giungere a un vertice, ma anche di averne impressioni diversissime.
Nell’arte – rivoluzionaria e necessaria – di far conoscere Ferré in Italia, Mauro Macario, poeta noto e apprezzato in proprio con ben tre libri di feroci versi all’attivo, cultore della rivolta intesa come forza (ri)creatrice e vitale che gli fa unire, in un turbinio di fratellanze ribelli, Rimbaud a Bukowski a Lance Henson a Victor Jara a De André, cugino di sangue dei Sioux di Cavallo Pazzo in missione segreta, fra Liguria e Toscana, per conto del grande spirito, sono dieci anni che ci si prova!
Vent’anni di dialogo ininterrotto – di cui i primi dieci quando Léo si degnava ancora di abitare quest’infame pozza di sangue che chiamiamo la terra, e i secondi dieci a continuare con un infinito tour de force di conferenze, letture, pubblicazioni, organizzazioni di serate in memoria, un’amicizia che non può essere la stupidità della morte a far finire – hanno cementato una conoscenza che per certi versi sfiora l’apostolato laico e che si è concretata in due cardini che propongono al lettore italiano la possibilità di schiudere il portone della maison Ferré.
Il primo cardine era uno smilzo librettino – Ferré il cantore dell’immaginario – pubblicato da Elèuthera nel 1994 – e quindi a pochi mesi di distanza dalla morte del nostro –, che raccoglieva 17 testi di canzone e qualche scampolo di prosa ordinati per sottili filoni tematici; congegnato come «il minimo indispensabile», ma ancora lontano dall’essere, in qualche modo, un’antologia appena esaustiva, interessante soprattutto per la memorabile prefazione dello stesso Macario, il libro aveva il limite di essere davvero una goccia d’oceano: veramente troppo pochi i testi concessi al lettore per farsi una seppur minima idea del vulcanico autore.
Ora, all’incirca dieci anni dopo, ci viene presentato questo secondo, e ben più consistente, cardine.
L’arte della rivolta (Selene edizioni, 190 pagine, € 12,90, ovviamente a cura di Mauro Macario) raccoglie gli interventi saggistico-poetici di Léo, sistematizzati in due sezioni.

La prima Esilio notturno mette assieme gli scritti concepiti per la pubblicazione, interventi quindi in cui, pur essendo fortissima la tensione verso un linguaggio che non distanzi i mezzi dai fini (all’espressione di un sentimento rivoluzionario si vuole far corrispondere una ricerca letteraria che Léo avrebbe chiamato «stile dell’invettiva»), si troverebbe maggiormente presente l’intenzione analitica.
La sezione «requisitorie in scena» invece presenta quelle lunghe illuminazioni che Léo usava riferire su un accompagnamento musicale (come peraltro avrebbe fatto anche coi testi rimbaldiani del Battello ebbro e di una memorabile versione discografica della Stagione all’inferno) come parte integrante del suo stesso repertorio cantato.
Tale divisione, ci teniamo a dirlo, è solo morale, dal momento che spesso Léo amava mischiare le sue carte, recuperando brani scritti in altri contesti e poi diventati parte dell’opera incisa e portata in scena, cosicché la Prefazione, scritta per la sua stessa raccolta poetica Poète vos papiers, era presto diventata in una versione di molto scorciata, la folgorante Préface che si conclude «Alla scuola della poesia non si impara: ci si batte!», così come il disco postumo di inediti Metamec, uscito un paio d’anni fa, ci rivelava come il testo La Méthode stesse subendo anch’esso un’evoluzione musicale; ma, precisazioni a parte, finalmente anche in Italia è disponibile un libro che permette di esplorare uno dei territori più ardui dell’universo Ferré, quello su cui le barriere linguistiche pesavano maggiormente.
Ne emerge un vero Ferré-pensiero: il prodotto di una mente non sistematica, e anzi in una continua esplosiva sovrapposizione e sovraesposizione d’idee, immagini, pulsioni e riflessioni, ma anche il prodotto di una ricerca che si inoltra, con orecchio musicale e con vista poetica, nel territorio della speculazione filosofica ed estetica, disseppellendo le perle di una saggezza anarchica, di un buon senso rivoluzionario, capaci di condensare in una sola battuta propositi che ci vorrebbero enciclopedie intere a dispiegare: «Il disordine è uguale all’ordine meno il potere», «L’anarchia è la teorizzazione politica della disperazione», «Gli uomini che pensano in massa hanno le idee curve»... e via così di aforisma in aforisma, di lampo in lampo.
Un discorso a parte merita invece il testo Alma Matrix, capolavoro della letteratura erotica, folgorante eruzione della sensualità, che forse, assieme allo spirito rivoluzionario, rappresenta la più evidente pulsione vitale di quest’autore, altrimenti «straordinariamente votato alla disperazione», come diceva di lui Charles Aznavour; non che anche in questo testo manchi il senso di dannazione che aveva pervaso fino ad allora le canzoni di Léo con tematica esplicitamente sessuale (La damnation, appunto, Petite, Ton Style, ecc.) ma quest’oscurità si sposa alla pienezza gaglioffa e saziante di altre canzoni esplicitamente provocatorie nei confronti della prouderie benpensante (Jolie môme, Les bonnes manières), facendo germinare un’opera in cui il sesso (in particolare quello femminile) diviene al contempo simbolo, oggetto e soggetto d’ogni pienezza d’ogni slancio. Pare che finalmente il Ferré di Alma Matrix si sia affrancato dalla visione baudelariana del letto di tormenti ed estasi, da lui oltretutto ben cantato con le versioni di La mort des amants e Les métamorphoses du vampir, per presentarci una sensualità, e in ultima analisi un ritratto dell’amore, in cui passione e tenerezza, foga e appagamento, sono due volti imprescindibili l’uno all’altro, del medesimo sentimento.
Giunto dunque, anche questo libro, all’attenzione del pubblico cosa ci manca ancora per continuare ad approfondire la nostra visione di questo artista imprescindibile?
Ci manca una raccolta sistematica dei testi delle canzoni, mancanza particolarmente lancinante visto che, bene o male, per quanto riguarda gli altri mostri sacri Brassens e Brel, questa lacuna appare in qualche maniera colmata.
Ci manca una versione italiana dei meravigliosi poemi fiume, testi sublimi e visionari, politici e polemici, musicali e esplosivi quali Words, Words, Words, Le chemin d’enfer,...

Ci manca la ristampa della bellissima traduzione di Giuseppe Gennari del Benoît Misère – la cui prima edizione è ormai esaurita da tempo –, il romanzo autobiografico, sugli anni della formazione di Léo.
Insomma... buon lavoro e a presto, compagni ferréiani!

Alessio Lega
amoreanarchia@tiscalinet.it

Léo Ferré