rivista anarchica
anno 33 n. 292
estate 2003


 

Da Trieste a Baghdad

La missione di Aiutiamoli a Vivere ha coinvolto in una esperienza comune di solidarietà varie persone provenienti da ambienti diversi. Dal sacerdote no-global don Vitaliano della Sala al pediatra triestino Marino Andolina, da «il manifesto» all’Arena di Verona, dal poeta Edvino Ugolini alla cantante rock Gianna Nannini. E da collante fungeva il presidente dell’Associazione Tusio de Iuliis che ringrazio vivamente per avermi offerto la possibilità di fare questa esperienza. L’impatto con un paese reduce da una breve ma devastante guerra, portata avanti da un esercito militarmente e tecnicamente di gran lunga superiore a quello iracheno, sulla pelle di un popolo già stremato da dodici anni di embargo, non è facile da descrivere. Innanzitutto la scena irreale di un paesaggio seminato da carcasse di veicoli militari e non di ogni tipo. La notte passata all’addiaccio perché non è consigliabile girare di notte, a detta della nostra guida, ma poi alla luce del giorno ti trovi davanti a bambini sorridenti e gente che tutto sembra meno dei briganti. L’entrata a Baghdad è stata accompagnata da un caos infernale di traffico urbano. Tutte le macchine sembravano alla ricerca di qualcosa che sfuggiva alla nostra comprensione. Poi le lunghe file davanti alle pompe di benzina. La benzina c’è ma le pompe scarseggiano, per cui tutti a caccia del liquido prezioso che viene anche venduto ai lati delle strade in taniche di fortuna. Il litro costa ancora venti dinari iracheni, un centesimo di euro circa, ma chissà per quanto ancora. Ogni tanto si affaccia sulla strada un venditore ambulante, poche cose essenziali. Si nota la pochezza di un’economia ridotta all’osso dall’embargo e dalla guerra. Arriviamo all’albergo Palestine, dimora dei giornalisti di tutto il mondo, intenti a descrivere una guerra senza storia, protetti dai carri armati americani che non fanno entrare gli estranei. Noi alloggiamo in un albergo più piccolo nelle vicinanze, sempre però all’interno dell’isola felice. Subito facciamo una ricognizione per le vie del centro. Negozi chiusi dappertutto, molto traffico e anche molta gente per le strade. Tutti ci guardano con l’aria interrogativa tra lo stupore e la diffidenza. Qualcuno ci chiede da dove veniamo e alla risposta «From Italy» i volti si illuminano con un sorriso. Non uno dei palazzi che ospitavano uffici e ministeri è rimasto illeso. Alcuni portano i segni delle bombe, altri sono semplicemente incendiati dall’interno. Dopo due ore di vagabondaggio attraverso la città assistiamo ad una delle tante scene di ordinaria prassi che ha imposto le sue regole in questi giorni di caos generalizzato. Un carro armato sta stazionando davanti ad una banca e dopo alcuni minuti escono dei militari americani che scortano e poi fanno sdraiare a terra alcuni giovani iracheni sotto la minaccia delle armi. La folla si stringe minacciosamente intorno ai militari e allora parte una coltre fumogena dal carro armato, una via di mezzo tra gas lacrimogeno e fumo bianco. Ci allontaniamo, mentre i militari trascinano i fermati all’interno dell’edificio. Purtroppo non ho con me la videocamera per filmare la scena. Continuiamo il nostro giro tra cumuli di rifiuti ed edifici devastati. Pian piano si fa sera e le strade cominciano a svuotarsi. Anche noi decidiamo di tornare alla base perché qui la notte non porta consiglio e comunque dopo le undici di sera vige il coprifuoco in tutta la città.
Questo il resoconto della prima giornata a Baghdad. Le seguenti giornate ci hanno dato altre emozioni, come quella di aver visitato l’ospedale di Bakuba a nord-est di Baghdad, dove abbiamo consegnato le medicine e con cui abbiamo iniziato un rapporto di gemellaggio solidale. Un’altra esperienza importante è stata l’incontro con gli artisti di Baghdad che tuttora si incontrano in un ritrovo nei pressi dell’Accademia delle Belle Arti, anch’essa saccheggiata e in parte distrutta dalle fiamme. La stessa sorte è toccata anche alla vecchia Università e al Museo Nazionale.
Ripartiamo accompagnati dal boato del deposito di munizioni che, come apprendiamo più tardi, è stato fatto saltare in aria, con le conseguenze che tutti conosciamo. Un triste congedo da una città ferita nell’orgoglio e nella sua dignità di centro culturale e di sede di una delle civiltà più antiche nella storia dell’umanità. Partiamo con la promessa di tornare al più presto con un altro carico di medicine e di aiuti umanitari.

Edvino Ugolini
per Aiutiamoli a Vivere

 

Ciao Augustina!

Augusta Farvo

«Ai morti ci stringiamo
E senza impallidire
Per l’anarchia pugnamo
O vincere o morire»
(Figli dell’officina)

«Hai fame?», «vuoi fare un bagno?», «vuoi dormire?»… Arrivavi dall’Augusta ed era come entrare in porto. Da qualunque viaggio, o corsa, o tempesta venissi, c’era una compagna, un’Amica che ti aspettava. Prediligeva i «cani sperduti», cui non imponeva nessun collare… Davide si lanciava abbaiando a salutarti e dietro vedevi il corpo esile (sempre più piccolo e lento negli anni) e gli occhi immensi di Augusta. L’avevo conosciuta nell’autunno del ’67, credo il giorno dopo il mio incontro con Pinelli. Lui stesso mi aveva portato all’ultimo piano di passaggio degli Osii 1, in pieno centro. Una stanza lillipuziana e magica, che dava su via Torino e che laggiù, nel traffico, non avresti neanche potuto immaginare. Pinelli, l’Augusta… e tramite loro (molto spesso, la prima volta, in quella casa tra le nuvole) quasi tutti i compagni che avrei amato di più, «vecchi» e giovani: da suo fratello Renzo, a Valpreda, a Leggio, a Del Grosso, a Steve, a Lello…
Non era una «teorica» Augusta Farvo, piuttosto una donna di cuore e di azione – staffetta partigiana, così nella resistenza come in seguito –, ma aveva (fino all’ultimo) una memoria meravigliosa e un giudizio sugli uomini sempre centrato e saggio e sapeva bene quanto contasse, per gli sfruttati, la conoscenza. Autodidatta, come gli altri magnifici «vecchi», critica, libera, non conformista, da lei trovavi tutta la stampa anarchica (compresa «L’adunata dei refrattari»), e i libri, gli opuscoli… Franco Leggio i suoi stupendi testi della collana «Anteo» e della «Rivolta» glieli portava di persona… Penso che la sua edicola-casa sia stata anche la prima libreria libertaria del dopoguerra a Milano, ben prima della Vecchia Talpa, della Calusca, dell’Utopia… Lo rivedo Franco, ma anche Pino o Pietro o Fernando, lì a giocare a scopa con lei, accanto a un bicchiere mai vuoto… Non c’era verso… Era quasi impossibile batterla. Anche Facerias, l’anarchico spagnolo che aveva scelto di non arrendersi, quando passava da Milano, andava a trovarla e… a perdere!
Decisa, coraggiosa, indomita – «insuscettibile di ravvedimento», come il suo amico Failla –, Augusta era stata in prima fila nella difesa ardente della memoria di Pino e della vita e libertà di Valpreda. Per un lungo periodo aveva tenuto, ricordo, nascosti da qualche parte nella sua camera da letto i dischi de «La ballata del Pinelli», per impedire che li sequestrassero… Rivedo zia Rachele, salda come una roccia, seduta al tavolo a parlare con lei degli ultimi sviluppi, di quel che si poteva e doveva fare… o la moglie, dignitosissima, di Pino che passava a trovarla con le bimbe. E poi la solidarietà senza mezze misure verso Pulsinelli, Braschi, Faccioli… manifestazioni, sit-in davanti a San Vittore (nella sera eccola arrivare con un pentolone fumante di minestra!), scioperi della fame…
Indipendente e fiera, ma anche affettuosissima, senza smancerie o sentimentalismi, gli uomini l’Augusta li amava, e li sceglieva lei – e li lasciava… Sette «mariti» o forse più… e nessun figlio, per non dare carne da esercito allo Stato. I figli, del resto, non le mancavano, eravamo tutti noi.
Riposa Augustina, dormi in pace compagna.

Joe Fallisi