rivista anarchica
anno 29 n.256
estate 1999


Barcellona libertaria ieri e oggi
a cura di Meritxell Bacardit e Andrea Dilemmi


Barcellona 1936

 

La “Rosa de foc”

A colloquio con la ricercatrice storica Dolors Marin sulle radici anarchiche di Barcellona.

Abbiamo incontrato Dolors Marin, ricercatrice storica attiva nel movimento libertario di Barcellona. Il suo lavoro più corposo è la tesi dottorale Dalla libertà di conoscere alla conoscenza della libertà: l’acquisizione della cultura nella tradizione libertaria catalana durante la dittatura di Primo de Rivera e la Seconda Repubblica spagnola.

Perché Barcellona veniva chiamata la "Rosa de foc"?

La chiamavano così i rivoluzionari di tutta Europa perché aveva fama di essere città anarchica: alla fine del secolo scorso ci furono una serie notevole di attentati anarchici, poi negli anni ‘20 gli scontri armati fra le organizzazioni padronali ed il sindacato della CNT. Ha sempre avuto tradizione di città portuale, rivoluzionaria, con idee innovatrici, soprattutto per il modo di essere della sua gente.

Come nacque e si sviluppò il movimento operaio e l’organizzazione sindacale?

Una delle prime città a subire un processo di industrializzazione nello stato spagnolo, la qual cosa dà luogo a germi di malcontento e quindi ai primi tentativi di organizzazione operaia. Già nel 1834 gli operai avevano bruciato i conventi della città, si era diffuso l’anticlericalismo, si erano diffusi la massoneria ed il desiderio di emancipazione e di libertà. Grandi settori del proletariato catalano erano partecipi delle idee del Socialismo utopico. Nel quartiere della Barceloneta, ad esempio, c’era un nucleo di seguaci di Cabet, che poi andranno in America a fondare la loro Icaria, ed era gente di ogni tipo: medici, bottai, piccoli artigiani, pescatori. Da qui si sviluppò successivamente il sindacalismo organizzato. Quando arrivano Fanelli ed i delegati della I Internazionale trovano un terreno fertile per le loro idee. Le prime riunioni degli anarchici sono da subito molto partecipate, anche se non ci sarà una forte organizzazione fino all’avvento di Solidaridad Obrera, poi Confederaciòn Nacional del Trabajo (CNT).

 


Barcellona 1936

 

Come nacque e si organizzò la rete di scuole razionaliste e di atenei libertari?

Uno sviluppo molto lento. Ferrer y Guardia apre la sua prima scuola a Barcellona nel 1901. Viene dalla Francia con l’idea di creare nuove scuole per i bambini visto che lo stato non si era mai preoccupato dell’istruzione obbligatoria: i figli della classe proletaria non vanno a scuola o ci vanno per pochissimi anni, le poche scuole che esistono sono in mano alla classe religiosa del paese. Pensano di creare una scuola per i figli dei lavoratori, dove bambini e bambine stiano insieme, una scuola all’aria aperta dove si faccia ginnastica, ma soprattutto, ed è la cosa più dirompente, una scuola laica, dove si insegna il darwinismo e non i miti della creazione. Sorgono alcune scuole razionaliste negli anni ‘10 ma si diffonderanno soprattutto assieme allo sviluppo della CNT. Quando c’era un sindacato che poteva pagare un maestro razionalista si prendeva in affitto un locale dove alla mattina andavano ad istruirsi i figli dei lavoratori e la sera i lavoratori stessi. Queste scuole duravano fintantoché c’era il denaro del sindacato, o fino a che non venivano proibite. In quasi tutti i paesi della Catalogna c’era una scuola razionalista: è stato come creare nidi di anarchici un po’ ovunque. Un sacco di gente ricorda ancor oggi che i suoi genitori o i suoi nonni erano stati in queste scuole. A Barcellona, durante la dittatura di Primo de Rivera (1923-1930) possiamo dire che ce n’era una per ogni quartiere, anche durante la clandestinità. In genere la scuola non si trovava nello stesso edificio dove si trovava il sindacato, ma normalmente, una volta affittato il locale, era la gente dei sindacati che provvedeva a ristrutturarli.
L’Ateneo era una struttura diversa. Si trattava di un luogo in cui la gente andava per discutere, per incontrarsi. Normalmente l’Ateneo era aperto di sera. Molti nascono nel periodo finale della dittatura di Primo de Rivera, nel 1926-27, ed il loro numero aumenta durante la Repubblica, quando diventano legali. Alcuni si chiamano Atenei libertari, altri Atenei razionalisti, Atenei eclettici, perché a volte non volevano essere associati direttamente al sindacato in quanto erano molto più plurali: fori di discussione e di incontro, soprattutto fra giovani. Non c’erano solo atenei anarchici ma anche di altre formazioni politiche, come le Case del popolo socialiste.

Possiamo dire che all’incirca in ogni quartiere ci fosse quindi una scuola razionalista, un ateneo ed una sede sindacale...

Sì, anche se sedi sindacali non ce ne saranno fino al 1931, quando verrà legalizzata la CNT. Anche le scuole e gli atenei erano comunque sempre sul filo dell’illegalità. L’importanza degli Atenei è il loro essere all’avanguardia a livello culturale: si fanno dibattiti sul controllo delle nascite, ci sono proiezioni cinematografiche di reportage etnografici su altri popoli, si svolgono dibattiti di tipo scientifico, sul vegetarianismo, corsi di francese, di esperanto, di disegno, ed hanno molto successo: sono innovatori, rivoluzionari. È qualcosa che non ha niente a che vedere con la cultura borghese che in quest’epoca sta "investendo" in valori molto diversi. Una delle cose più importanti è vedere che questa classe politica in incubazione, che sarà poi quella che scenderà in strada il 19 luglio 1936, è una classe politica che esce dal proletariato e con una mentalità molto tollerante in un’Europa che sta incamminandosi verso i fascismi. Sono persone delicate, apprendono dalla diversità perché la sostengono, sono "armonici", molto simili in questo agli uomini del socialismo utopista di Fourier. Incontriamo gruppi anarchici che si dedicano al teatro di Ibsen, al naturismo, al nudismo, ma tutti agiscono assieme quando c’è qualcosa che li minaccia.

 


Barcellona 1936

 

Questo processo di autorganizzazione popolare ha tanto successo anche perché va a colmare un vuoto di iniziativa delle istituzioni?

Sì, loro sanno che stanno occupando questo spazio. Sostengono un processo di autoformazione: dicono che solo conoscendo te stesso, formandoti, puoi essere critico con chi, come lo stato, non ti sta dando niente. Penso che questo processo sia ciò che darà loro la forza il 19 luglio. C’è addirittura il progetto di creare un’università popolare, la "Federazione di coscienze libere".
Uno di loro mi disse: "Quando ci mettevamo insieme in tre anarchici facevamo una rivista": hanno una vera passione per la parola scritta, che è ciò che era stato negato loro da sempre.

Nel 1931 si sviluppa un grande sciopero degli affitti: come viene organizzato?

Il problema che attanagliava Barcellona come anche altre città industriali era la speculazione sui terreni. La gente vive molto male, in case piccole: per la maggior parte si tratta di immigrati che non hanno potere acquisitivo per pagare alti affitti o per accedere all’acquisto della proprietà, quindi la speculazione cresce. Sin dai primi congressi anarcosindacalisti si discute del diritto alla casa, e ci si comincia ad organizzare partendo dal Sindacato della costruzione della CNT. Vengono indetti scioperi degli affitti e con l’azione diretta si cerca di impedire che la gente venga sfrattata dalle case, oppure si aiuta la gente a rioccupare le case da cui viene sgomberata. Durante la guerra civile in alcuni municipi verrà stabilito l’affitto unico per tutti e la requisizione delle case di proprietari che ne abbiano più di due o tre.

Quali sono le trasformazioni urbane della Barcellona del 1936?

Già da parecchi anni si era venuta sviluppando una sorta di "città anarchica" all’interno della stessa città. Una struttura di gruppi di affinità anarchici che sono attivi in ogni quartiere, una struttura sindacale, scuole, atenei, luoghi di riunione come anche i bar o i teatri. Nel momento del golpe di Franco la gente scende spontaneamente in strada; una spontaneità che non è però incosciente, visto che tutta questa gente scende in strada per occupare le caserme ritrovandosi e partendo dalle proprie scuole e dai propri atenei. Le persone erano già abituate ad agire: i periodi di clandestinità erano più lunghi di quelli di legalità, quindi sapevano tutti ciò che dovevano fare, ed in più stavano difendendo qualcosa per cui avevano lottato per anni. Sono organizzati, ed è un intero tessuto sociale che li appoggia mentre lottano per difenderlo. Quasi senza armi sconfiggono un esercito organizzato, uomini e donne insieme. Una delle prime cose che si fanno è liberare i prigionieri dalle carceri e cominciare ad organizzare una città rivoluzionaria. Nei piccoli municipi di tutta la cintura esterna di Barcellona i libertari arrivano al potere reale, a volte senza volerlo, ed è lì che vedono la possibilità di trasformarli in "municipi anarchici". Promuovono la scolarizzazione, stabiliscono il salario unico, promuovono una campagna sulla sanità: vengono requisite le case dei ricchi e vi si installano cliniche, viene promossa la legge sull’aborto. Anche se è una città in guerra, la stanno trasformando per tutti i cittadini. Poi ci sono le collettivizzazioni: i padroni erano fuggiti dalla città oppure erano in vacanza, ed è quindi la popolazione che si fa carico direttamente della gestione delle fabbriche. Alcune fabbriche vengono convertite per la produzione di guerra. I grandi hotel e ristoranti come il Ritz vengono trasformati in mense popolari, e mense popolari si trovano in tutti i quartieri, anche per fare fronte al problema degli sfollati. Vengono promosse transazioni con cooperative o collettività agrarie in cui si scambiano prodotti della città con i frutti della campagna. Ci sono addirittura luoghi dove viene abolito il denaro. Si modifica la toponomastica. Come spiega bene Orwell, tutti gli atteggiamenti servili risultano aboliti e le persone si dirigono le une alle altre come compagno.
Un fattore importante di cui non si parla spesso è che con le collettivizzazioni non si sta inventando niente di nuovo: era dall’inizio del secolo che gli anarchici avevano tentato di creare cooperative. Quando decidono di gestire direttamente le fabbriche, alcuni di loro hanno già un’esperienza in questo senso, in seguito ai processi di autoformazione non erano solo operai manuali, ma nelle imprese c’erano anche quadri intermedi libertari, ed è quindi più semplice collettivizzare queste fabbriche.
Dal 19 luglio, con la scomparsa del controllo municipale, è tutto un fiorire di iniziative di questo tipo.

 


Barcellona 1936

 

Il congresso di Saragozza del maggio 1936 prospetta l’organizzazione della società postrivoluzionaria come federazione di municipi liberi. C’era un idea su come doveva essere il municipio libero nei quartieri di città come Barcellona?

No: le collettivizzazioni si sviluppano spontaneamente senza controllo. La stessa organizzazione anarchica si è atomizzata molto: alcuni sono andati al fronte... Credo che non si siano posti realmente il problema di cosa avrebbe potuto succedere in grandi città come Barcellona, che rimane comunque una specie di eccezione: dove realmente funziona bene il comunismo libertario è nei paesi, nelle piccole località, dove la gente si conosce. La città è più impersonale.

In tutto ciò qual è stato il ruolo delle donne?

La donna svolge da sempre un ruolo importante nel movimento libertario. Le donne, anche se non facevano direttamente parte dei gruppi di affinità, hanno sempre appoggiato i propri compagni nelle lotte, e a volte sono le grandi dimenticate, ingiustamente, da parte dello stesso movimento. Il movimento libertario in quell’epoca era la realtà che più agiva a favore della donna, soprattutto per quanto riguarda il tema della sessualità: si preoccupò come nessun altro movimento proletario del controllo della natalità, della conoscenza del proprio corpo, per il diritto della donna alla parità rispetto all’uomo. Per le donne l’attività clandestina è più difficile - ma ci sono sindacati, come quello tessile, in cui quasi tutte sono donne - quindi sono più attive nelle scuole razionaliste, come maestre o alunne, e soprattutto negli atenei. Vi entrano spesso per mano degli uomini, in quanto sorelle o madri di militanti, ma quando entrano prendono parte attivamente alla vita degli atenei. Negli anni ‘30 le vedremo già più emancipate: parlano in pubblico, scrivono... il movimento libertario le lascia scrivere e loro si azzardano a pubblicare nelle riviste libertarie: questo è molto importante perché fino ad allora nessuna poteva pubblicare. Donne che scrivono poesia saranno a fianco del movimento libertario proprio perché è un canale per poter pubblicare ed esprimersi liberamente.
Le donne poi vanno al fronte, e questo dimostra realmente che si sentivano a loro agio, che non c’era differenza di ruoli fra uomini e donne.

 


Barcellona 1936

 

Puoi dirmi qualcosa sui movimenti urbani sotto il franchismo?

Dopo il ‘39 mancava la metà della popolazione, che è ormai morta, in esilio o deve subire il carcere e la repressione franchista, durissima. Nonostante ciò la gente continua a resistere: cadono molti comitati clandestini della CNT che tentavano di riorganizzarsi. Questo perché esisteva un substrato libertario notevole: il movimento libertario si era radicato molto profondamente in tutta la cintura industriale di Barcellona. Sotto il franchismo tutti hanno un genitore o un nonno anarchico, e anche gente che poi sarà attiva nelle Comisiones Obreras mi ha raccontato che i primi libri che legge gli vengono prestati da vecchi anarchici che hanno ancora enormi biblioteche conservate in appartamenti dove la polizia non era mai arrivata. Una cosa importante fu la lunga lotta del maquis: "Quico" Sabaté, "Caracremada"... una lotta dura e solitaria che per molti anni, fino al 1963, fu un po’ la speranza della gente che stava qui, un po’ come i "banditi gentiluomini". Erano aiutati, la gente di "dentro" collaborava con loro fino a che non cadevano assassinati dalla polizia, che faticò molto per eliminarli. Non a caso questi guerriglieri agivano proprio a Barcellona. La CNT ha comunque una grossa difficoltà a riorganizzarsi: i militanti sono sparsi per il mondo, anni di contrasti fra la CNT dell’esilio e quella interna non permettono che il movimento libertario torni ad essere ciò che era stato, ed inoltre sono cambiate parecchio anche le condizioni sociali.
Negli anni della transizione, gli anni ‘70, ci sono molti giovani che si avvicinano al movimento libertario: si tenta di creare una scuola diversa da quella franchista, dove tra l’altro insegnare il catalano allora proibito; c’è inoltre l’idea di creare nuovamente atenei in tutti i quartieri. La maggior parte di questa gente finirà per perdere fiducia, anche a causa della repressione: alcuni entrano in formazioni politiche più strutturate credendo che stando all’interno del potere lo possano sovvertire, mentre in realtà si integrano. I nuovi politici promuovono un processo di istituzionalizzazione e si verifica quindi un forte calo di partecipazione attiva. C’è stato comunque un lungo periodo in cui la realtà degli atenei funzionò magnificamente.
All’inizio degli anni ‘70 si formano le asociaciones de vecinos, che sono presenti soprattutto nei quartieri popolari con forte immigrazione, quelli periferici. Qui però l’anarchismo non si radicò: non abbiamo saputo in quel momento lavorare realmente nelle associazioni di vecinos, che oggi vanno a destra. Il movimento vecinal si sviluppò anche grazie a vecchi anarchici, che aiutarono per esempio a redigere gli statuti. Dopo il franchismo c’era bisogno di gente che sapesse organizzare rivendicazioni, e qui sì che ebbero un ruolo i vecchi anarchici: erano persone che avevano sempre lavorato con gli avvocati e avevano conoscenze per le lotte. Le associazioni di vecinos prendevano in affitto locali dove la gente si riuniva. Mancavano scuole, zone verdi, fognature, e promuovevano lotte per i servizi, organizzavano campagne di alfabetizzazione per gli adulti, mobilitazioni per l’amnistia ai prigionieri politici od in favore dei primi obiettori di coscienza, ed infine l’appoggio alle lotte operaie nelle grandi fabbriche come la SEAT, con grandi mobilitazioni di piazza. A quel tempo, dal ‘73 al ‘78, sono più importanti le associazioni di vecinos che gli stessi partiti. C’erano anche occupazioni di case popolari da parte di immigrati poveri che erano difese dal resto dei vecinos: alcune sono durate anni.

Esiste una linea che unisce questa "città nella città" dalla Rosa de foc fino ad oggi?

Penso di sì, perché esiste una memoria storica della città rivoluzionaria: generalmente dove c’è stata una barricata nel 1835 ce n’è stata un’altra nel 1909, un’altra nel ‘32/’33 e un’altra nel 1936. Penso che esista una continuità, soprattutto di un certo spirito antiautoritario nelle classi lavoratrici. La struttura dei quartieri fa pensare ad una città non centralizzata: Barcellona è formata da piccoli municipi che nei secoli XIV e XV erano indipendenti. Ancora oggi ci sono i Comuni di Gracia, Hostafrancs... Fino al 1927 ci furono annessioni di paesi da parte di Barcellona, annessioni che incontrarono tra l’altro molte resistenze: c’erano manifestazioni di vecinos che non volevano fare parte della "grande città". Non è mai stata una città con un centro visibile: non c’è mai stata un’aristocrazia o una corte, ma sono sempre state al potere classi liberali ed inoltre con la presenza di un movimento operaio radicale, che quasi sempre proveniva dall’immigrazione. Un movimento operaio "mal digerito", non immediatamente assimilato nella struttura della città: si tratta di una dialettica continua. Gli okupas sono l’ultima espressione di tutto ciò: poche città in Europa hanno tante occupazioni come Barcellona. La differenza è che oggi le occupazioni sono di giovani e non di famiglie. Gli okupas si portano dentro la stessa idea antiautoritaria: sono contrari agli spazi che la città offre loro attraverso il Comune perché vogliono crearsi i propri. Come gli anarchici di inizio secolo stanno elaborando un discorso proprio, critico e autoformato. L’anarchismo non è un’opzione politica ma una maniera di vivere antiautoritaria che comprende ogni aspetto della vita. Gli okupas di oggi stanno facendo lo stesso percorso di vita, sono autodidatti a modo loro ma come nei primi anni del secolo: è una ricerca costante per essere se stessi. In più questi okupas sono accolti con simpatia dalla gente di Barcellona o dalle loro stesse famiglie, proprio perché esiste questo passato antiautoritario.

a cura di Meritxell Bacardit
e Andrea Dilemmi

1. La "Rosa di fuoco"
2. Edilizia
3. Sindacato comunista
4. Associazioni di "vicini", che riuniscono gli abitanti di una via o di un quartiere

 


Barcellona 1936