rivista anarchica
anno 29 n.256
estate 1999


Barcellona libertaria ieri e oggi
a cura di Meritxell Bacardit e Andrea Dilemmi

 

Un virus si diffonde per la città

Intervista a quattro giovani, attivi nel movimento delle occupazioni.

I compagni che abbiamo intervistato sono da tempo attivi nel movimento delle occupazioni di Barcellona. Le loro risposte, dateci in tempi e spazi diversi, vanno insieme a formare un’intervista virtualmente collettiva. Ci dispiace di non aver potuto inserire, per motivi di tempo, anche delle voci femminili.

Come descriveresti il movimento Okupa ad un osservatore esterno che non conosca nulla di Barcellona?

MARC: Più che il movimento Okupa posso descrivere le occupazioni in sé: si tratta di spazi abbandonati alla speculazione che vengono "presi" collettivamente affinché funzionino in maniera assembleare, autogestita, libera da condizionamenti, in modo diverso da ciò che ci trasmette normalmente la società in cui viviamo: l’atmosfera che ci circonda fa sembrare impossibile l’autorganizzarsi per progetti collettivi. Una delle caratteristiche è sicuramente l’eterogeneità, per questo mi è difficile parlare di movimento: non esiste un manuale del "come si devono fare le cose in tutte le occupazioni".
JESUS: C’è un po’ di tutto: case occupate come abitazione, centri sociali, altre occupazioni che hanno solo la funzione di diffondere il messaggio, come le occupazioni nel centro di edifici simbolici abbandonati, che riuniscono gente di tutti i quartieri.
CARLOS: L’occupazione nasce a partire dalle necessità di chi ha bisogno di un luogo non solo per viverci ma anche per riunirsi con altre persone ed organizzare attività.
TXIMMI: Per prima cosa direi che non è un movimento ma una rete di lotte. Un movimento deve avere come minimo un obiettivo ed il movimento Okupa non ce l’ha, anche se apparentemente sembra che sia la lotta per la casa. Il movimento Okupa è la più forte rete di lotte della sinistra radicale che esiste a Barcellona. Di quelle che si inscrivono nei nuovi movimenti sociali, senza una militanza intesa come sacrificio, senza una gerarchia: nessuna delle persone che vi appartengono condivide il concetto di avanguardia rivoluzionaria, si tratta di movimenti orizzontali. L’occupazione di case è il nesso ed in più uno strumento di lotta perché è lì dove più si è visto che si può "far male" al Potere.

 

 

Quante case, Ateneos, Centri Sociali sono attualmente occupate a Barcellona?

TXIMMI: Circa 200, per quello che riguarda le occupazioni politiche. Ci sono molte più occupazioni "non politiche", come quelle delle famiglie gitane. Uno studio informativo del Comune parla di 100, ma io penso siano molte di più, perché ci sono molte occupazioni non rivendicate pubblicamente che possono essere considerate "politiche" in quanto sono messe in atto da persone che potrebbero vivere in case in affitto, lavorare, guadagnare. Sono occupazioni per motivi ideologici più che per motivi pratici: una scelta di vita. Chiaramente il Comune conta solo quelle che "mettono la bandiera".

Come mai questo grande sviluppo delle occupazioni negli ultimi due o tre anni?

TXIMMI: Possiamo dividere grossolanamente la sinistra radicale a Barcellona in tre settori: comunismo, indipendentismo, anarchismo/libertarismo.
Negli anni ’80 il comunismo subisce un gran colpo con la caduta del muro di Berlino, anche per quello che riguarda maoisti e trotzkisti.
Gli indipendentisti subiscono un forte colpo nel 1992 quando quel fascista di Garzón arresta più di quaranta dei militanti più attivi per prevenire azioni durante le Olimpiadi.
Il movimento libertario e autonomo ha due importanti centri di aggregazione: il referendum contro la NATO dell’86 (che, nonostante venga perso a livello statale, viene vinto in Catalogna), da qui nasce un movimento antimilitarista molto forte; e poi la solidarietà con l’America Latina, specialmente con i Sandinisti ed il Nicaragua.
La solidarietà con i Sandinisti perde forza con la loro incorporazione al potere. La lotta per la insumisión1 ha due componenti che la ostacolano: il fatto che si tratta di un movimento di disobbedienza civile individuale - mentre l’occupazione è un elemento di disobbedienza collettiva - ed infine il fatto che lo stato utilizza per combatterlo sia la repressione che l’integrazione. L’integrazione è rappresentata dalla Legge sull’Obiezione di coscienza, che ha rotto il movimento antimilitarista in due (ci sono obiettori di coscienza che accettano il servizio civile sostitutivo mentre altri continuano la lotta per l’insumisión), poi dal passaggio dalla giurisdizione militare a quella civile, la semilibertà automatica, ecc.
Il movimento Okupa, che in Catalogna parte nel 1984 con la prima occupazione nel quartiere di Gracia, è solo una fra le lotte degli anni ’80, una lotta un po’ marginale. Nel 1996 il Potere commette un errore molto grave: nel Nuovo Codice Penale, che in teoria cerca di ricorrere alla via penale come ultima ratio, include per la prima volta nella storia l’occupazione come reato penale. Questo, a mio modo di vedere, è un grande aiuto per il movimento Okupa: è come se il Potere dicesse: "a partire da oggi in cui vi considero delinquenti potete colpirmi sul serio". Da questo momento inizia il boom delle occupazioni: da quando vengono criminalizzate. Comincia con grandi sgomberi che hanno una forte ripercussione mediatica, come quello del Cinema Princesa.
JESUS: Una serie di collettivi che stavano occupando case nei quartieri hanno funzionato come punto di incontro per tutte le altre persone che si sono messe in testa di occupare. Se non ci fosse stata questa base, il solo boom mediatico, che ha funto da detonatore, non sarebbe stato sufficiente.
CARLOS: é da tre o quattro anni che le occupazioni sono uscite dalla formula chiusa, ghetto. Si è lavorato molto per estenderle con lo slogan "Okupa tu també"2 e per farne non solo uno spazio per svilupparvi altre tematiche ma una tematica in sé: occupare come primo atto di disobbedienza rispetto al sistema, al conformismo, alla repressione del ’92.

Quali sono le principali attività che si sviluppano spazi occupati?

TXIMMI: Aprire il bar e fare concerti; questo è anche il principale problema. Si fanno comunque moltissime altre cose e gli spazi sono serviti come punto di incontro e di conoscenza reciproca, come rete: se oggi più o meno tutta la sinistra radicale di Barcellona si conosce è grazie alle occupazioni, alla condivisione di spazi comuni anche se sono solo il bar o le feste. L’attività principale dei Centri sociali occupati è in realtà esistere: è questo ciò che fa male al Potere e che ha permesso la formazione di nuovi collettivi, il tentativo di dare vita a reti di controinformazione, il coordinamento di lotte settoriali. La cosa più importante che mi viene in mente per il lavoro che ha significato è stato il Secondo Incontro per l’Umanità e contro il Neoliberismo.
JESUS: Le attività sono le più varie e dipendono sia dalle possibilità fisiche dello spazio che dalle decisioni dell’assemblea: alla Lokeria prevalgono i laboratori, ce n’è uno quasi ogni giorno; alla Hamsa ci sono concerti tutti i fine settimana perché c’è un capannone molto ampio; poi ci sono dibattiti... la continuità e la frequenza varia a seconda dei centri.
CARLOS: La prima necessità di molti collettivi è una sala per potersi riunire, soprattutto per i posti che desiderano aprirsi e fare in modo che sempre nuova gente partecipi alle attività. C’è il desiderio di socializzare le conoscenze di ognuno in tutti i campi. Sono spazi in cui questo scambio è possibile senza che ci sia qualcuno che insegni ed altri che imparino.

Come vengono organizzate le attività e come si gestisce lo spazio occupato?

TXIMMI: Ci sono molte differenze fra i centri sociali ma anche elementi comuni, come l’assemblea, che definisce assolutamente tutto ciò che abbia a che fare con il Centro stesso. Il Centro di solito si riserva l’apertura del bar in alcuni giorni e con il ricavato fa fronte alle spese per la manutenzione mentre il resto dei giorni sono a disposizione per l’autogestione di altri collettivi. I prezzi, come anche l’eventuale entrata a pagamento per concerti, si decidono in assemblea. Normalmente nessuno riceve un reddito dall’attività del Centro sociale, tranne il caso di piccole attività autogestite come delle mense popolari, oppure una cooperativa di service per concerti, ma sotto il controllo dell’assemblea. Non conosco alcun caso di gente che riceva dei soldi per stare al banco del bar o all’entrata di un concerto: non se ne parla nemmeno di fare dei Centri sociali una realtà commerciale. L’unica eccezione riguarda le droghe: sono una forma di commercio che prescinde dall’assemblea e che si giova della protezione del Centro sociale in quanto luogo libero da polizia. Il fatto che alcune persone guadagnino sulla droga è un problema che si sta discutendo attualmente, perché nega l’autogestione. è di assolutamente diverso dallo spendere delle ore di lavoro per far da mangiare in una mensa: con le droghe è pura intermediazione, non c’è del lavoro.

Esistono forme di coordinamento fra le occupazioni in città? Le differenze costituiscono un arricchimento oppure un ostacolo insormontabile?

TXIMMI: Esistono ovviamente spazi per il coordinamento, di tipo informale: siccome ci conosciamo tutti, se oggi c’è uno sgombero domani ci chiamiamo, se c’è un dibattito in breve ti arriva la notizia, ecc. Poi, formalmente, esiste la Asamblea de Okupas, ma non è uno spazio reale per scambiarsi idee e dibattere ed alcuni non vi si sentono a loro agio. L’Asamblea de Okupas è utile per questioni concrete, è un coordinamento per dare risposte rapide ed agili. Normalmente l’Asamblea riunisce più o meno tutti i Centri sociali. Ha un andamento ciclico: ci sono volte in cui si trovano molte persone ed altre in cui ci vanno in pochi. Una delle cose più interessanti che ha partorito il movimento sono l’Info Usurpa ed il Contrainfos3 : gli spazi di controinformazione sono entrati in rete, stanno lavorando assieme, e sta funzionando alla perfezione, i bollettini murali arrivano in ogni Centro sociale tutti i Martedì. Ci sono molte differenze, e potenzialmente questo rappresenta una bomba ad orologeria. Abbiamo la fortuna di trovarci di fronte ad un potere imbecille e fintantoché ci colpirà ci manterremo uniti. Le differenze non sono tanto in senso ideologico ma soprattutto per quello che riguarda la forma di agire, e questo si nota. Ve ne sono anche per quanto riguarda la stessa concezione dell’occupazione: si va dai "postmoderni" dell’Oficina 2004, ai "garantisti" della Lokeria, agli anarchici e libertari di molte case di Gracia, a gente che viene da tradizioni trotzkiste come nelle case di Sants, a indipendentisti e comunisti nello stile Jarrai4 come le case della PUA5 , fino a gente che viene dalla tradizione del movimento associativo di educazione non formale, come nel caso di Can Kadena. Sono maniere diverse di intendere le cose che vengono dalla formazione anteriore degli occupanti. Queste differenze sono un fattore importantissimo di arricchimento, a parte qualche eccezione.
CARLOS: La relazione di amicizia, di conoscenza reciproca fra le varie persone dei centri sociali è molto forte ed è questa la base del flusso di comunicazione fra le case.
JESUS: Le differenze che esistono non sono differenze che escludono, non creano incomunicabilità fra le persone dei diversi centri o quartieri.
MARC: C’è abbastanza rispetto per le scelte di ognuno.

 

 

Che tipo di relazione esiste fra le occupazioni e la città?

CARLOS: È difficile rispondere perché le situazioni variano molto. I nostri vicini, soprattutto quelli che abitano accanto al Centro sociale, e fra di loro particolarmente gli anziani, ci odiano per i concerti del fine settimana. Quelli che vivono nelle strade vicine e che vedono tutte le attività che facciamo pensano invece: "Ostia! Che gente in gamba".
MARC: La gente che più utilizza i Centri sociali sono i giovani del quartiere, sia per la prossimità geografica che per le relazioni reciproche che spesso esistevano anche prima dell’occupazione. Per ciò che riguarda gli adulti la relazione varia da quartiere a quartiere e spesso non supera il saluto o lo scambio di poche parole.
TXIMMI: La relazione con la società funziona come la teoria della "spirale del silenzio": l’occupazione ha meno sostegno di ciò che crede la stessa società ma, siccome sembra che di sostegno ve ne sia molto, sempre più gente sostiene. Fintantoché un movimento crea maggiore simpatia, continua a crearne di più; quando si trova a crearne di meno, meno gente si azzarda ad esprimere in pubblico che è a suo favore. L’occupazione, grazie ai mass-media, dà la sensazione di avere un supporto praticamente unanime. In realtà la gente che è contraria non si sta esprimendo pubblicamente, per questo abbiamo un effetto di questo tipo. Se lo pensiamo a freddo, è abbastanza difficile che la gente appoggi l’occupazione in una società tradizionale e conservatrice come la nostra in cui la famiglia è il gruppo d’appoggio per eccellenza e la proprietà privata è importantissima: qui solo il 15% delle case sono in affitto ed il 75% di proprietà, mentre in Germania siamo al 50%.
Altro discorso è quello dei vicini: normalmente coloro che abitano vicino ad un’occupazione sono a favore (a parte forse quelli più contigui, per il rumore). La gente ha un’immagine preconcetta degli Okupas ma quando li vede di persona spesso cambia di opinione e simpatizza con l’occupazione. In diverse occasioni l’appoggio dei vicini è stato utile: dal procurare cibo e mobili ai casi di sgomberi in cui la gente esce sui balconi a gridare contro la polizia. Questa relazione è frutto indubbiamente dello sforzo e del lavoro degli stessi occupanti per convincere i vicini che "questi ragazzi fanno qualcosa per il quartiere". La Hamsa l’estate scorsa ha organizzato un "casale estivo per bambini" con attività gratuite diurne per i bambini del quartiere i cui genitori lavoravano durante l’estate; poi si fanno continue denunce pubbliche sulla mancanza di piazze, fontane e spazi verdi, ed infine c’è il tema scandaloso della speculazione edilizia: 79.000 case vuote, la gente non ne può più dei prezzi degli affitti, che negli ultimi anni - con il boom speculativo dei giochi olimpici - sono saliti del 500%. A Sants inoltre c’è una fanzine di quartiere ed un’Assemblea dei giovani del quartiere, che va oltre i soli occupanti e tenta di riunire tutti coloro che si muovono.
Ovviamente ci sono case di pies negros6 che hanno la gente assolutamente contro, ma anche quelle come Kan Cadena, in cui il natale scorso hanno fatto marmellate e sono andati a regalarle alla gente del mercato dove vanno normalmente a "riciclare"7 .
Le Asociaciones de vecinos sono una cosa a parte. C’è stata una trasformazione sostanziale di queste associazioni: erano comuniste negli anni ’80, ma il Partito socialista e Iniciativa8 le hanno "ribaltate" sottraendo loro le persone più attive, i dirigenti, che poi ora sono quelli che stanno governando. La complicità di molte Asociaciones de vecinos con la politica municipale ha fatto sì che molta gente se ne sia andata, e adesso si stanno spostando a destra. Nelle Asociaciones de vecinos attuali c’è molta reticenza nei confronti del movimento Okupa. Altra cosa è la "cupola" che è rimasta: la Federazione delle Asociaciones de vecinos ha da sempre appoggiato il movimento Okupa, anche se non vogliono discutere il problema di fondo, l’autogestione, ma lo trattano dal punto di vista del diritto alla casa ed al lavoro.
JESUS: La relazione con i mezzi di comunicazione varia molto da spazio a spazio: c’è gente che ha deciso di giocare ad utilizzarne la parte che risulta vantaggiosa, soprattutto in situazioni di forte repressione, con qualche risultato, mentre altre case se ne sono fregate completamente.
TXIMMI: Non siamo mai riusciti a separaci dai mezzi di comunicazione: scrivono merda ma abbiamo bisogno che scrivano. Non considero mai positivo aggredirli; purtroppo non siamo stati capaci di creare un’opzione controinformativa sufficiente per non averne bisogno. Ci sono buoni giornalisti che tentano di far passare più che possono cose interessanti ma le redazioni li censurano finendo per convertire il tutto in spettacolo o criminalizzazione aperta; nel nostro paese, tranne Egin che è stato chiuso d’autorità, non esiste nessun quotidiano "decente".

Qual è il rapporto fra le occupazioni e la struttura della città?

TXIMMI: Sono molto concentrate, nonostante ciò che possa apparire: l’area metropolitana è molto grande e ci sono in realtà pochi quartieri che hanno occupazioni. La struttura dei quartieri di Barcellona è di classe: ci sono quartieri di servizi (il centro), quartieri di piccolo commercio come Gracia o quartieri operai come Nou Barris. Non ci sono occupazioni nei quartieri più ricchi. L’altra questione che influisce è la tradizione associativa del quartiere: Sants, San Andreu, Gracia ne hanno di storicamente importanti e sono i tre nuclei più ricchi di occupazioni. Ci sono eccezioni: Nou Barris è un quartiere operaio con una forte tradizione associativa ma non vi sono occupazioni. Qui probabilmente la politica municipale per i giovani - secondo parametri istituzionali - è stata particolarmente azzeccata. Per lungo tempo la maggior parte delle occupazioni si sono concentrate a Gracia, perché lì c’era il più forte movimento libertario. Dalle altre parti è quando nasce un’occupazione, quando un nucleo di gente decide di fare il primo passo, che il movimento comincia ad estendersi in tutto il quartiere, con altre occupazioni a catena. Per questo credo che vi sia molta concentrazione. I giovani dei quartieri dove non ci sono occupazioni o hanno la forza di farne una o preferiscono spostarsi in quartieri dove ce ne sono già, per non rimanere isolati. Nel centro non vi sono occupazioni non perché manchi movimento ma perché il potere non le ha permesse: sono state tutte sgomberate.

Pensi che la tradizione anarchica della città abbia influito nella diffusione del movimento Okupa?

TXIMMI: Direi di sì, e non solo per quello. La Catalogna, con Barcellona come punto di riferimento, è la zona di tutto lo stato con maggior movimento associativo e cultura della partecipazione, e credo che questo abbia qualcosa a che vedere con il radicamento storico del movimento libertario. L’anarchismo è un immaginario molto diffuso fra gli occupanti di case.
MARC: Credo non molto, almeno a livello personale. Conosco poco la tradizione anarchica della città, ma questo non vuol dire che ciò valga per tutti.
CARLOS: Io invece credo di sì, anche se non so se si possa definire come tradizione anarchica. Certo, c’è la tradizione anarchica del ’36, ma anche tutta la tradizione libertaria degli anni ’70 e ’80. C’è stata anche l’influenza dell’insumisión e del movimento zapatista, ma tutto ciò più come riferimento per la resistenza, la disobbedienza al sistema, più che come corpo di norme che la gente debba seguire come fosse il manuale del buon anarchico.

L’esistenza dei Centri Sociali può fare molto male al Potere ma può fargli anche molto piacere, se il luogo che hai si converte nel ghetto dove trovarsi soddisfatti di ciò che si ha...

TXIMMI: Io sono per la non depenalizzazione dell’occupazione, perché finché ci sarà illegalità dovremo per forza trasferire alla società il problema, non potremo rimanere fra di noi con i nostri spazi piacevoli e tranquilli: poiché ci sono aggressioni dobbiamo rispondere, e queste aggressioni si diffondono a livello mediatico, quindi la tua lotta viene conosciuta dal resto della società. Vedo un pericolo nella legalizzazione, perché la cosa importante è rompere il consenso. Se c’è un consenso a favore dei Centri sociali occupati da parte del Potere e della società in generale è cattivo segno: bisogna sempre creare contraddizioni, ed il fatto di esistere è una contraddizione. Nel momento in cui c’è uno sgombero, oltre alla spettacolarità delle cariche della polizia o al fatto di uscire per tre giorni in prima pagina, l’importante è che poi un sacco di scuole cercano qualcuno per un dibattito sull’occupazione, i centri civici lo stesso, nell’università si vuol parlare di occupazione, perfino gli scout parlano di occupazione... questo è il momento in cui c’è la capacità da parte del movimento Okupa di trasferire direttamente alla società i motivi fondamentali del perché si sta lottando. È triste pensare che questo accade in occasione degli sgomberi: ovviamente non sto facendo un’analisi normativa: "come dovrebbe essere, come sarebbe bello che fosse", ma una descrittiva.

 

 

Qual è la situazione della repressione?

MARC: Per il nuovo codice penale l’occupazione è un reato che comporta dai 3 ai 6 mesi di carcere. Anche se i conti non gli tornano, perché invece di diminuire c’è stato un aumento delle occupazioni, gli sgomberi non si sono fermati, anche se condanne clamorose finora non ce ne sono state.
CARLOS: Arrestare gente negli sgomberi provoca loro ancora più problemi, perché ci sono altre manifestazioni. Inoltre molti giudici stanno assolvendo occupanti di case perché considerano incostituzionale questo articolo del codice penale. A livello politico infine si parla molto di possibili patti, sostenendo che questo è un problema sociale, che si rendono conto di come sia difficile per i giovani accedere ad una casa, oppure apprezzando l’occupazione in senso "educativo", per le attività che vi si svolgono, come una controcultura che bisogna permettere. é una maniera sottile di reprimere assimilando.
MARC: Ad ogni modo quello che non smettono di fare è criminalizzare tutto ciò che si muove attorno alle occupazioni: anche se non le attaccano direttamente di fronte all’opinione pubblica poi però arrestano la gente nelle manifestazioni e sostengono, con il classico modulo, che sono bravi ragazzi dietro cui si nascondono mani occulte che li dirigono con finalità violente, magari evocando il fantasma dell’ETA.
CARLOS: Vi è poi una repressione quotidiana delle persone che frequentano posti occupati: gli agenti in borghese ci pedinano, ci minacciano, ci arrestano e abbiamo anche casi di torture. Si sta mettendo in pratica il piano Policia 2000 secondo i parametri della "tolleranza zero" di New York, aumentando la visibilità della polizia nelle strade. Nel 2002 i Mossos d’Escuadra9 saranno definitivamente incorporati nelle funzioni di polizia per la città di Barcellona, senza che la Polizia nazionale se ne vada fino al 2005. Questo significa che per tre anni ci saranno qui 2 corpi di polizia funzionanti a pieno ritmo con tutto ciò che comporta, visto che in mezzo ci sarà, nel 2004, il famoso Forum della cultura. Questo significherà repressione per ogni tipo di dissidenza, non solo per l’occupazione.

Alcuni dossier delle istituzioni catalane e municipali sembrano protendere, accanto alla repressione, per tentativi di dialogo sul modello di altri stati europei. Come pensate reagirà il movimento? Vi sono state molte iniziative degli stessi occupanti per la "depenalizzazione dell’occupazione". Cosa significa questa campagna?

CARLOS: Credo che ognuno reagirà a suo modo, sapendo che ci sono dei limiti minimi sui quali siamo tutti d’accordo. In realtà, nonostante le differenze, questi tentativi di dialogo non stanno influendo sulla dinamica della lotta.
MARC: C’è stata ovviamente discussione sul tema e si è coscienti del fatto che sia un pericolo da non sottovalutare perché sono politiche già applicate in altri paesi e che hanno "funzionato". Tutti hanno sotto gli occhi il fatto che da una parte il Comune offre accordi mentre dall’altra colpisce ed inoltre esiste una sfiducia istintiva e spontanea rispetto alle istituzioni e alle loro proposte.
TXIMMI: Ho partecipato personalmente ad alcuni di questi tentativi di dialogo: non credo al loro dialogo. Il Potere, nello stato spagnolo, è assolutamente segmentato: i comuni hanno molta poca capacità normativa e forza. Come interlocutori non sono validi: non posso offrire niente al Comune perché loro non hanno niente da offrirmi, non possono negoziare una soluzione. Lo fanno per ripulirsi la faccia; solo in pochi casi c’è volontà reale, ma incapacità pratica. La strada della repressione la conoscono perfettamente perché hanno represso per quaranta anni ma in quella dell’integrazione non si sono sforzati molto. Se il Potere avesse più immaginazione di quella che ha saremmo fottuti, perché credo che il movimento Okupa arriverebbe ad un accordo, almeno in parte, e quindi si dividerebbe: come in Italia, in Germania, in Olanda, ovunque. Non siamo migliori.
CARLOS: Con la depenalizzazione non si vuole che l’occupazione diventi legale, perché non vogliamo funzionare a partire da ciò che loro considerano o meno legale. Si vuole che non venga criminalizzato il fatto di occupare uno spazio abbandonato. In questo senso trovo positiva la campagna: se avesse successo vorrà dire che potremo fare un po’ ciò che vorremo.
MARC: Concorre anche a diffondere l’idea che è possibile organizzarsi in modo diverso, e serve inoltre a spingere associazioni e partiti che spendono tante buone parole sull’occupazione a prendere posizioni concrete, visto che sono loro che hanno dato l’assenso al nuovo codice penale.
TXIMMI: Il movimento Okupa non ha una testa pensante, ne ha infinite, quindi per ogni persona la "depenalizzazione" può avere un significato differente. C’è chi senza analizzare bene la ripercussione che possa avere lancia la parola d’ordine e la vuole ottenere. C’è chi la lancia come pura demagogia per combattere la demagogia del Potere. Io sono contrario perché equivale a perdere uno strumento.

Come commenteresti la definizione di occupazione come forma di disobbedienza civile?

TXIMMI: L’occupazione è un movimento di disobbedienza civile collettiva, e questo è molto importante. Una delle cose più preoccupanti è che lo Stato sta oltrepassando la sua frontiera e si sta convertendo in società civile, oppure sta facendo sì che la società civile si converta in Stato, soprattutto attraverso la creazione di consenso. Il consenso viene generato adattando a sé il discorso che porta avanti la società civile e facendo in modo che la società civile assuma il discorso dello Stato. Tutto ciò è molto pericoloso perché se c’è consenso non c’è contraddizione, e se non c’è contraddizione non c’è trasformazione. Condizione preliminare per ogni lotta è il riuscire a rompere il consenso, ma per rompere il consenso la prima cosa da fare è tornare a separare lo Stato dalla società, marcare di nuovo la linea. La disobbedienza civile in questo periodo ha come obiettivo quello di colpire lo Stato per marcare questa linea. Se non facciamo questo sforzo di separazione sarà tutto molto più difficile perché non solo bisognerà combattere il Potere, ma anche la società che si mette dalla parte del Potere perché è già Potere. Qui da noi i giochi olimpici riuscirono a far sì che una gran parte della cittadinanza si identificasse con il Potere per un progetto di città, ad esempio attraverso il volontariato come forma di partecipazione democratica. La disobbedienza civile nell’occupazione sta assolvendo alla funzione di rompere il consenso. La legalizzazione delle case invece toglie quest’arma, toglie la capacità di marcare la linea.

a cura di Meritxell Bacardit
e Andrea Dilemmi

1. Nonsottomissione: il rifiuto del servizio militare e di quello civile
2. Occupa anche tu
3. Vedi scheda a lato
4. I gruppi giovanili del Movimento di liberazione nazionale basco, in cui si trova l’ETA
5. Plataforma per la Unitat d’Acció, di ispirazione catalanista rivoluzionaria
6. I nostri "punkabbestia"
7. Cioè a farsi dare i resti delle verdure non vendute: una pratica comune e diffusa
8. Unione di partiti di sinistra, fra cui il PSUC, il partito comunista.
9. Polizia autonoma catalana

 

SPAZI OCCUPATI
(selezione)

CSOA Les Naus
c/Alegre de dalt, 52
[Metro linea 4, Joanic]

Kasa de la Muntanya
Av. Josep Muntanya, 33
[Metro linea 3, Lesseps]
www.biosys.net/okupa
Ex caserma, è l’occupazione più longeva di Barcellona: 10 anni

CSO El Palomar
Gran de Sant Andreu, 1
[Metro linea 1, Fabra i Puig]

Can Mireia
c/Mireia, 4 (Trinitat V.)
[Metro linea 1, Trinitat Vella]

CSO Can Vies
c/Jocs Florals, 42
[Metro linee 1/5, Plaça Sants]
...accolse con bengala e fuochi artificiali (alle 8.00 di mattina!) la colonna di oltre 1000 partecipanti al II Incontro intercontinentale per l’umanità e contro il neoliberismo dell’agosto 1998, provenienti da Madrid.

CSO L’Hamsa
c/Miguel Bleach, 14 (Sants)
[Metro linea 1, Hostafrancs]
È attualmente la più grande occupazione di Barcellona, e una delle più frequentate.

CSO La Lokeria
Plaça Espanyola (L’Hospitalet)
[Metro linea 1, Torrasa]

Can Pascual
Camì de Can Balasch
Les Planes (Collserola)
www.cascall.org/canpascual/
Singolare ed interessante esempio di occupazione rurale sulle colline circostanti la metropoli, fornisce di pane biologico parte degli altri spazi occupati della città.

CSOA Oficina 2004
www.geocities.com/Baja/Canyon/1683/
Centro sociale in esilio virtuale dopo lo sgombero immediatamente seguito all’occupazione, nel pieno centro cittadino, il 21 marzo ‘98. L’occupazione voleva essere una prima risposta al prossimo "Forum mondiale della cultura Barcellona 2004", già ribattezzato il "Forumculo 2004".

 

SPAZI AUTOGESTITI

El Lokal
c/La Cera, 1/bis (Raval)
[Metro linea 3, Liceu]
Fornita libreria alternativa, sede di una distribuzione autogestita e di collettivi fra cui il Col.lectiu de solidaritat amb la rebel.liò zapatista.

Espai Obert
c/Blasco de Garay, 2
[Metro linea 3, Poble Sec]
Sede di varie attività autogestite (Ateneu llibertari Poble Sec, Col.lectiu La Canalla per attività con bambini, Sociedad Gastronomica "Civet") ed iniziative editoriali come l’agenda anarchica e la rivista Polemica.

Ateneu llibertari @ Gràcia
c/Perill, 52 (Gràcia)
[Metro linea 4, Verdaguer]

Ateneu llibertari del Xino
c/Robadors, 25 (Raval)
[Metro linea 3, Liceu]

Bar Cuatro pasos al Norte
c/Carretas, 18 (Raval)
[Metro linea 2, Sant Antoni]

Casal Autogestionari
c/La Verneda, 18
Sede di cooperative autogestite come Trevol (pony express) e BiciClot (vendita, noleggio e riparazione biciclette), oltre che di attività culturali e solidali (come "Bicicletes Solidàries").

 

CENTRI DI DOCUMENTAZIONE

Ateneu Enciclopedic Popular / Centre de Documentaciò Històrico-Social
Passeig de Sant Joan 26, 1er, 1a
Fondato nel lontano 1902 e chiuso dai franchisti nel 1939, viene rifondato nel 1980. Specializzato in storia dei movimenti sociali, associativi e libertari, il patrimonio comprende circa 35.000 volumi e 6.000 testate di riviste, oltre a numerosi fondi d’archivio.

Fundaciò d’Estudis Llibertaris i Anarcosindicalistes
c/Joaquin Costa, 34, bajos

RIVISTE

La lletra @
Apartado de correos 314,
43280 REUS
La redazione sta a circa cento chilometri da Barcellona ma è rivista libertaria di ambiente "barcellonese", sensibile ai movimenti sociali, all’antimilitarismo, all’autogestione. Esce tre o quattro volte l’anno.

Polémica
Apartado de Correos 21.005,
08080 Barcelona
Rivista anarchica presente da una quindicina d’anni, dopo un periodo con la formula monografica (come Itineraire in Francia) è tornata ad occuparsi di temi di attualità, in particolare di disobbedienza civile e delle divisioni nel mondo anarcosindacalista.

Solidaridad Obrera
Storica testata della CNT catalana, oggi ne esistono due versioni parallele: una, mensile, della CNT "sfederata", sicuramente più interessante e ben fatta, ed una della CNT "federata". Per gli indirizzi vedi la scheda sui sindacati.

Etcetera
Apartado de Correos 1363,
08080 Barcelona
Interessante rivista-quaderno di origine consiliarista e libertaria. Approfondimenti su temi come la transizione dal franchismo ed il conflitto in Euskadi. Edita anche una collana di opuscoli.

 

CONTROINFORMAZIONE

Info Usurpa
c/Perill, 52
usurpas@iname.com
www.tande.com/usurpa

Contrainfo
c/Blasco de Garay, 2
zitzània@nodo50.org
Bollettini murali e telematici settimanali dal mondo delle occupazioni e del "movimento". Il primo riporta le attività giorno per giorno della settimana a venire in tutti gli spazi occupati ed autogestiti della città, il secondo tratta principalmente fatti e brevi notizie.

 

SINDACATI LIBERTARI E AUTOGESTIONARI

CNT/AIT ("sfederati")
c/Joaquin Costa, 34, bajos

CNT/AIT ("federati")
Plaça Medinaceli

CGT
Via Laietana 18, 9a

 

CASE EDITRICI

Virus
c/Vistalegre 9, bajos
[ma in fase di trasloco]
virus@pangea.org

comunicare con la città

...Ci tolgano pure la musica,
ma più balleremo e meno ce la potranno togliere.

Le circostanze hanno già prodotto, come è naturale, un evento simbolico forte in cui il movimento Okupa si è riconosciuto.
Il 10 marzo del 1996 veniva occupato un vecchio e grande cinema abbandonato nel centro della città. Durante più di sette mesi il Cine Princesa si converte nella più grande occupazione di Barcellona. Situato nella centralissima Via Layetana, a poche decine di metri dalla sede degli industriali, dalla Cattedrale, dal Comune e dalla Generalitat, dalle sedi bancarie e dalla famigerata Jefatura Superior de Policia, tristemente nota come luogo di tortura prima e durante il franchismo, diventa in breve il centro di riferimento per i collettivi di tutti i quartieri della città, che vi organizzano una serie infinita di attività. All’alba del 28 ottobre dello stesso anno un imponente schieramento di polizia assalta il Princesa, con abbondante dispendio di pallottole di gomma. Il bilancio è di 40 arresti e una decina di feriti da entrambe le parti. La sera stessa duemila persone scendono in piazza scontrandosi per 4 ore con la polizia: altri 8 arresti e feriti. Per la prima volta da tempo non sono i manifestanti a dover scappare dai manganelli, ma è la polizia costretta a barricarsi dentro la Jefatura de Policia, che viene bersagliata con ogni tipo di oggetto. Si è rotto un tabù. Nei giorni successivi una nuova manifestazione vede la partecipazione di circa 20.000 persone, che rioccupano simbolicamente per una notte il Princesa, sfondando i muri costruiti al posto delle porte.
La repressione non si risparmia: solo dal 1996 al luglio 1998 si contavano in Catalogna 54 sgomberi, circa 400 fermati, 344 denunce, circa 400 anni di carcere richiesti in totale dai P. M.
Caratteristica del movimento barcellonese è comunque di non cercare lo scontro per lo scontro, pur non scartando la "resistenza attiva" agli sgomberi. La nota dominante rimane infatti la volontà comunicativa verso la città, lo scherno nei confronti del potere, che si riflette nelle manifestazioni, spesso di carattere festoso, e in molte azioni creative, come ad esempio la sostituzione della bandiera spagnola con quella Okupa dal tetto della sede del Comune (27/2/97), il completo congestionamento del traffico della città ottenuto appendendosi con corde dai cavalcavia delle circonvallazioni, le "feste in maschera" organizzate negli uffici delle immobiliari, oppure, nell’anniversario dello sgombero del Cine Princesa, l’azione di muratura della porta della residenza di campagna del Presidente della Catalogna, Pujol (28/11/97), tutte azioni concluse senza identificazioni o detenzioni, spesso per l’incapacità della polizia di "acciuffare" gli attivisti.

Piccola bibliografia sulla città rivoluzionaria

Chi volesse approfondire i temi oggetto di questa intervista non ha a disposizione molti testi in lingua italiana. Quelli in lingua castigliana e catalana non sono inoltre facilmente reperibili nelle librerie di Barcellona: sarà spesso necessario fare un salto in qualche biblioteca.
Oltre alla tesi dottorale di Dolors Marin del 1995, già citata in apertura, centrale e corposo è: Joaquìn Romero-Maura, La rosa de fuego: el obrerismo barcelonés de 1899 a 1909, Alianza Editorial, Madrid, 1989. Sullo stesso periodo: Joan Connelly Ullman, La semana tragica: estudio sobre las causas socioeconomicas del anticlericalismo en España: 1898-1912, Ariel, Esplugues del Llobregat, 1972.
Sullo sciopero degli affitti è un interessante articolo: Nick Rider, "Anarquisme i lluita popular: la vaga de lloguers de 1931", in: L’Avenç, n° 89, Genn. 1986, p. 6.
Sulla Barcellona rivoluzionaria del 1936-1939, oltre alla cronaca del golpe e della resistenza popolare in: Abel Paz, 19 de juliol del "36" a Barcelona, Hacer, Barcelona, 1988, preziose testimonianze (in lingua italiana) per comprendere la quotidianità della vita urbana nella rivoluzione sono in: Abel Paz, Spagna 1936: un anarchico nelle rivoluzione, Lacaita, Manduria (BA), 1998, nel classico George Orwell, Omaggio alla Catalogna, Mondadori, Milano, 1993 ed in: Hans Erich Kaminski, Quelli di Barcellona, Il Saggiatore, Milano, 1966. Infine, sulla collettivizzazione delle industrie e dei servizi: Antoni Castells Duran, Les Collectivitzacions a Barcelona 1936-1939, Hacer, Barcelona, 1993 (un breve riassunto in italiano è: Antoni Castells Duran, "La fabbrica autogestita", in: Volontà, a. V, n. 2, ott. 1996.) e diverse testimonianze contenute in Chi c’era racconta: la rivoluzione libertaria nella Spagna del 1936, Zero in Condotta, Milano, 1996.