rivista anarchica
anno 29 n.256
estate 1999


Barcellona libertaria ieri e oggi
a cura di Meritxell Bacardit e Andrea Dilemmi

Il paradiso del giovane alternativo: i bar colorati, non ancora del tutto patinati, i negozi di vestiti usati, i concerti e quell’atmosfera creativa e multicolore che si respira nelle strade. Il paradiso dell’italiano de playa, con le discoteche, i locali alla moda, e tutto per lo shopping a pochi chilometri dalla Costa Brava. Il paradiso del manager progressista, con la modernità fatta di palazzoni lustri, di ampi spazi metropolitani, di iniziativa imprenditoriale: le meraviglie della transizione dal franchismo ormai provinciale ai fasti della globalizzazione gestita trionfalmente dai bonari socialisti catalani, con in testa l’ex plurisindaco Margall, amicone di Cacciari. E il paradiso dei nostalgici della rivoluzione, sballottati da un carrer all’altro con il cuore che palpita passo dopo passo, leggermente storditi nel riconoscere sotto la patina della metropoli contemporanea i luoghi tante volte ritrovati sulle pagine dei libri, nei racconti, nelle foto.
Tutto questo, e altro ancora: come ogni metropoli che si rispetti, a Barcellona c’è un po’ di tutto, per tutti. Ma stupisce vedere come questo avamposto della modernità, scolpito e continuamente rimodellato nei decenni da una borghesia potente e progressista quanto sfruttatrice e crudele, non sia riuscito a schiacciare la Barcellona proletaria e libertaria che fin dal secolo scorso, dagli umidi vicoli dei quartieri popolari, non cessa di contribuire con forza a modellare la città secondo parametri opposti a quelli del denaro e del potere: quelli della libertà, dell’uguaglianza, della solidarietà che prende forma nel sindacato anarchico, negli ateneos, nelle rivolte urbane.
Così, accanto alla Sagrada Familia ed alle geniali opere della ricca architettura modernista, nelle strade che percorrono quella follia fatta di ottagoni che è il barrio dell’Eixample tutt’intorno alla Ciutat Vella, opera di Ildefons Cerdà, finiscono per correre i tram rossoneri della CNT nel luglio del ‘36, mentre la vita quotidiana di decine di migliaia di persone si trasforma con la collettivizzazione quasi totale di industria e servizi: dai barbieri alle società elettriche, dalle falegnamerie alle grandi industrie metalmeccaniche, fino al dramma dello scontro armato fra "rivoluzionari libertari" e "autoritari statalisti" all’interno dello stesso campo antifascista.
La normalità della metropoli finisce per fluttuare in un’atmosfera leggermente surreale, dove sembra trovare conferma la fattibilità dell’Utopia, il "tutto è possibile", nel bene e nel male. Fino ai nostri giorni.
I politici, i padroni, gli urbanisti non si sono infatti tirati indietro quando si è trattato, per l’ennesima volta, di cambiare pelle alla città: correva l’anno 1992 ed una parola chiave: Olimpiadi.
Comincia allora in grande stile quella radicale opera di pulizia sociale e di lifting architettonico che allunga le sue ombre, con effetti devastanti, fino ai nostri giorni.
Così, si "ripulisce" il porto dalla marea di chiringuitos, famosi per il pesce a buon prezzo, la malavita e l’atmosfera popolare per far posto al cinema 3d più grande del mondo ed al centro commerciale World Trade Center, ancora in fase di ultimazione, si "dota" la città di svariate circonvallazioni ad anello che attraversano di netto interi quartieri, sventrandoli, si costruiscono grattacieli in riva al mare, si riduce la parte vecchia e popolare della città ad un gruviera di interi isolati abbattuti per fare spazio a nuovi palazzi-carcere tutti uguali ed a strade disegnate in linea retta dove prima erano grovigli di vicoli. Si arriva a rifare le caratteristiche piazze terrose dai piccoli alberi ricoprendole di asfalto o di lisce superfici di pietra, incandescenti sotto il sole, togliendo le vecchie panchine "collettive" con nuovi modelli di design costituiti da sediloni individuali, magari di schiena l’uno rispetto all’altro.
Le linee morbide e curve del gusto modernista di cui è intrisa tutta la città sono costrette a lasciare il posto ad una ripetizione infinitamente monotona di moduli lisci e squadrati, che esprimono chiaramente nelle forme quel tentativo di normalizzazione sociale che vi sta alla base.
Ho ancora da parte un articolo apparso sul Manifesto nel maggio 1996, a firma di tal Nico Piro, in cui tutta questa galleria degli orrori viene descritta nei toni entusiastici della smania di onnipotenza di certa architettura contemporanea.
Ecco quindi fiorire le boutique, le gallerie d’arte, ecco i turisti azzardarsi dove prima non avrebbero mai osato (ma se ne vedono ancora correre inutilmente dietro il loro portafogli ormai in mani altrui): da "Barcellona fatti bella" il Comune passa, l’anno scorso, al nuovo slogan "Barcellona: la migliore bottega del mondo".
Barcellona si trasforma in Carcelona, con un azzeccato gioco di parole che ricorda gli arresti preventivi di massa e la repressione delle manifestazioni di protesta nel ‘92.
Tutto questo non passa in maniera indolore. Sotto l’asfalto, dicono, prosperano ancora gli adokines, quei grossi porfidi che ricoprivano le strade e che servivano così bene a fabbricare le famose barricate che costellarono ogni evento rivoluzionario della città.
Così, accanto alla città di plastica del turismo, dello shopping e delle multinazionali è cresciuta un’altra città che si è particolarmente espressa, in questi ultimi anni, con una formidabile espansione degli spazi occupati ed autogestiti, che hanno riempito di sé con intelligenza e creatività le strade della metropoli, in controtendenza rispetto all’Europa intera.
Certo, non è tutto rose e fiori: in particolare stupisce la scarsa risposta che ha ricevuto in queste ultime settimane la guerra della NATO in Jugoslavia, nonostante la presenza di una forte e radicata cultura antimilitarista.
Ma i segni di resistenza ed insieme di volontà di superamento dell’omologazione del dominio sono qui ancora forti e ben visibili, e vale quindi la pena fare un viaggio attraverso l’altra Barcellona di ieri e di oggi.

Andrea Dilemmi
e Meritxell Bacardit

 

Spagna 1936: l’utopia si fa storia
(VHS, 45 mm., b/n,, prezzo £ 25.000)
Le immagini di questo documentario sono state girate tra il 1936 e il 1937 da operatori del Sindicato de l’Espectaculo di Barcellona aderente alla CNT (Confederaciòn Nacional del Trabajo). Finalizzato a sollecitare la solidarietà internazionale antifascista, il commento originale del documentario, intitolato Fury over Spain, era in inglese, con una retorica modellata sullo scopo. Alla metà degli anni ‘70, a cavallo tra il tardo franchismo e il primo post-franchismo, il Comitato Spagna Libertaria di Milano ebbe dagli archivi iconografici della CNT copia di questo filmato per il quale riscrisse la colonna sonora secondo lo "spirito dell’epoca". Vent’anni dopo, il Centro Studi Libertari/Archivio "G. Pinelli" ha rimesso in circolazione questo filmato con un nuovo commento sonoro. E con le stesse immagini. Perché la memoria di un evento storicamente enorme non si perda.

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