Rivista Anarchica Online
Vivere da anarchica
di Rosanna Ambrogetti
Maria Zazzi, settanta anni, una lunga militanza alle spalle, una militanza attiva anche se poco
"famosa". La sua militanza si è svolta soprattutto all'estero: Francia, Belgio, Spagna, sempre in
movimento da un posto all'altro. Conosco Maria adesso, che ha dato tutto il possibile alla lotta;
ma non si è fermata, è sempre presente ovunque ci sia un'attività, una prospettiva di lavoro
che la
interessi. Con lei ho voluto parlare del suo passato ed ho ascoltato molto: il racconto è semplice,
fatto con una modestia grandissima, la modestia di chi, avendo creduto sinceramente in quello
che faceva, pensava di non fare mai abbastanza.
Ma quello che più mi ha colpito nel suo racconto è ciò che traspare fra le righe:
l'entusiasmo che
l'ha accompagnata; la totale disponibilità ad una lotta che, come lei stessa dice, era la sola
ragione, il solo modo per sopportare la misera vita di allora; il "mutuo appoggio" realizzato
nella pratica con spontaneità fra i compagni; infine la semplicità con cui ha superato la
difficoltà
che il suo essere donna, certamente una volta più di ora, poteva comportare, per essere fino in
fondo una compagna al fianco ed al pari dei compagni.
Certamente esperienze come questa è meglio ascoltarle che leggerle, ma spero che anche dallo
scritto, senza dubbio meno efficace del racconto, possa scaturire ciò che ho colto dalla viva voce
di Maria.
Maria più che farti domande, preferirei fossi tu a raccontarmi un po' la tua militanza, la tua vita di
compagna anarchica. Oppure una prima domanda potrebbe essere: come è cominciata? Molto
semplicemente. Quando avevo circa diciannove anni, nel 1923, partii per la Francia.
Dovevo andare a Parigi da mio fratello; sua moglie era morta di parto e lui aveva bisogno di
qualcuno vicino, soprattutto per la bambina appena nata. All'epoca non ero ancora
coscientemente anarchica, ma già, istintivamente, avevo uno spirito libertario. Appena
in Francia poi, conobbi Armando Malaguti, che molto tempo dopo diventerà mio marito,
anarchico fuggito da Bologna per una lite con un pezzo grosso fascista. Tramite lui cominciai a
frequentare compagni ed ambienti anarchici e gradatamente mi ritrovai nelle loro idee,
anarchica anch'io. Infatti quello che doveva essere un breve soggiorno a Parigi divenne l'inizio
della mia "militanza", della mia vita movimentata assieme ad Armando, sempre costretti a
spostarci da un posto all'altro.
Maria, qual'era la composizione sociale dei gruppi con cui sei stata in contatto e qual'era la vostra
attività? A Parigi i gruppi anarchici erano in gran parte composti da operai, anche se non
mancavano
alcuni studenti. C'era qualche intellettuale, mentre invece erano quasi completamente assenti le
donne. Inoltre con l'emigrazione fascista si erano aggiunti anche molti lavoratori italiani. In
quel periodo la nostra attività era volta soprattutto all'assistenza ai rifugiati ed alla
propaganda, particolarmente nei luoghi di lavoro. A Parigi conobbi la famiglia Berneri a cui fui
molto legata e che ricordo sempre con molto affetto. La nostra attività procurò ad Armando vari
arresti e la nostra vita fu per questo molto movimentata. Infatti nel 1927 ci trasferimmo nel
Lussemburgo poi in Belgio a causa di un mandato di
espulsione che aveva colpito Armando. Prima andammo a Seraing, poi a Liegi, per fermarci
infine a Bruxelles. Anche a Bruxelles entrammo subito in contatto con i compagni anarchici. Qui
conobbi anche Ida Mett (autrice di "I contadini russi 50 anni dopo" n.d.r.) e suo marito Nicola
Zarevic, fuggito dalla Russia. Più avanti conobbi anche Durruti ed Ascaso. Del gruppo con cui
lavoravo io faceva parte anche un professore, Giulio Manon, che fu condannato a 10 anni di
carcere per aver messo una bomba carta (tra l'altro rimasta inesplosa) nel pianerottolo di casa
di un giudice che aveva condannato ad una pena durissima un giovane compagno anarchico.
Dopo cinque anni gli fu concessa la grazia, ma egli molto coerentemente la rifiutò. Anche qui a
Bruxelles la nostra attività continuava fra la propaganda e l'assistenza ai rifugiati. Ricordo che,
precedentemente, a Liegi, mi occupavo soprattutto di portare cibi, vestiti e saluti ai compagni in
carcere e siccome mi presentavo sempre come zia del compagno di turno che cercavo, i
secondini mi affibbiarono il soprannome di "tante Marie" (zia Maria). In Belgio fu molto
importante l'agitazione a favore di Sacco e Vanzetti. Questa campagna culminò il giorno
dell'esecuzione con uno sciopero generale organizzato da noi. La sera prima, ai capolinea,
riempimmo tutti i tram di manifesti inneggianti allo sciopero generale: ricordo che io ero
assieme a Bruno Guaraldi e a Sbardellotto. I sindacati ufficiali non promossero nessuna
iniziativa, né furono al corrente della nostra. Per cui all'indomani mattina, quando - spinti dalla
nostra propaganda - i lavoratori aderirono in massa allo sciopero di protesta, restarono di
sasso.
Al di là del lavoro strettamente politico, che impressioni, che ricordi hai di questo periodo? Di
tutto questo periodo ricordo sempre con piacere la grande solidarietà che esisteva fra i
compagni. Ci si aiutava reciprocamente, si divideva quel poco che c'era, ci si sosteneva
moralmente, in modo spontaneo, pronti ad affrontare assieme, serenamente, sia le piccole cose
di ogni giorno sia la continua persecuzione poliziesca. Proprio a proposito della solidarietà che
si manifestava tutti i giorni, ricordo che poiché io col mio lavoro (facevo la sarta per uomo)
aiutavo anche alcuni compagni che stavano da noi, questi molto naturalmente e spontaneamente
mandavano avanti la casa.
Andando avanti nei ricordi, rimaniamo in Belgio o siamo di nuovo in movimento? I ricordi sono tanti
e parlandone ne riaffiorano sempre alla mente, in modo non sempre
ordinato. Ma almeno cercherò di parlarti delle tappe più importanti. A Liegi Armando, per un
litigio con un prete fascista (faceva parte di una delle tante "opere di assistenza per gli
emigranti" che il fascismo in accordo con la Chiesa aveva seminato all'estero ovunque ci fossero
emigranti da "controllare") fu colpito da espulsione. Cercammo però di rimanere in Belgio ed
Armando continuò a stare a casa clandestinamente. Però un giorno arrivarono a casa dei
poliziotti per cercare Armando, che fortunatamente era assente; perquisirono la casa e mi
interrogarono, chiedendo spiegazioni per gli abiti maschili trovati. Io non mi feci intimorire, ma
dopo questa perquisizione decidemmo di tornare a Bruxelles. Io però alla stazione fui fermata e
portata al commissariato a causa di un mandato di espulsione spiccato contro di me a Liegi.
Quando fui portata davanti al commissario però mi accorsi che nel mandato di cattura il mio
cognome era sbagliato (Faggi anziché Zazzi) ed anche la foto non molto chiara non poteva
assicurare con precisione la mia identità. Giocando su queste cose tentai il tutto per tutto ed
insistei sul fatto che non ero la persona che cercavano. Effettivamente non poterono fare altro
che rilasciarmi, chiedendomi però di tenermi a disposizione. Naturalmente li presi alla lettera e
raggiunsi immediatamente Parigi (era il 1932) dove mi ritrovai con Armando e dove
riprendemmo subito i contatti coi compagni. Durante questo secondo periodo a Parigi conobbi
anche Machno e Volin.
Maria, fra i compagni che hai conosciuto hai già citato parecchi nomi passati alla storia (i
Berneri, Ascaso, Durruti, Ida Mett, ed ora Machno e Volin). Di tutti loro che impressioni hai
avuto? Erano compagni eccezionali. Di tutti loro ho un ottimo ricordo; erano di una modestia e di un
cameratismo eccezionali. Non si comportavano affatto da "superiori" nonostante la stampa
borghese spesso li presentasse come dei capi. In genere la stampa li presentava come uomini
d'azione, mentre invece erano anche uomini di pensiero, in grado di affrontare qualunque
argomento o contraddittorio.
E del periodo "Spagna", cosa puoi dirmi? Quando scoppiò la guerra di Spagna Armando
andò subito a Barcellona e di lì andò con la
colonna Ascaso, a combattere a Monte Pelato, sul fronte d'Aragona. Poco dopo andai anch'io a
Barcellona.
Maria, ciò che noi leggiamo su Barcellona è più vicino al mito o alla
realtà? Barcellona era una cosa fantastica. Arrivando là si entrava in un altro mondo. Si
vedeva
veramente da ogni cosa, dalla più grande alla più piccola, che era avvenuto un grande
cambiamento. Si viveva in piena solidarietà e fraternità con la coscienza di lottare non solo per
abbattere il fascismo, ma per costruire un mondo migliore basato sull'uguaglianza e sulla
libertà.
Oltre agli anarchici, quali erano le altre forze politiche che lavoravano in questo senso? Per quel che
vidi io, oltre agli anarchici ed al piccolissimo POUM, non c'erano altri che si
impegnassero sinceramente per far trionfare questi principi rivoluzionari. I comunisti,
contrariamente a quanto si legge nei loro libri, erano del tutto assenti e solo dopo i fatti del
maggio '37 riuscirono ad avere posto nella vita di Barcellona. Io comunque non mi fermai molto
in Spagna e poco dopo tornai a Parigi. Armando tornò dalla Spagna in licenza nel '37 ma fu
subito arrestato. A Parigi mi occupavo soprattutto di sistemare i compagni che tornavano dalla
Spagna. Trovavo loro documenti e alloggio e vi assicuro che non c'era molto tempo per
fermarsi.
Nel 1939, quando ci fu l'invasione tedesca, dove ti trovavi? Quando ci fu l'invasione tedesca io mi
trovavo ancora a Parigi, nonostante l'invito delle autorità
francesi ad evacuare la città. In dicembre fui arrestata dalla Gestapo e portata al quartier
generale. Fui subito interrogata: volevano informazioni su Armando Malaguti ed io per non
tradirmi decisi di rispondere sempre "non lo so". Mi interrogarono per tutta la giornata, ma non
mi fecero nulla. Verso sera mi portarono in cella dove rimasi sola per tutta la notte. Dalla cella
sentivo le urla, che non cessavano mai, di quelli che venivano torturati. Il giorno dopo ripresero
lo stesso interrogatorio. Ad un certo punto mi chiesero l'indirizzo ed il mio nome: io ormai non li
ascoltavo più e risposi col solito "non lo so". A questa mia risposta uno di loro mi dette un
pesante ceffone, poi fui riportata in cella. Non subii altri maltrattamenti e dopo tre giorni e tre
notti fui rilasciata. Appena fuori mi recai in un bar, che sapevo frequentato da compagni,
sperando di avere notizie di Armando: anche lui era stato arrestato. Il giorno dopo il mio
rilascio subii una perquisizione; volevano di nuovo strapparmi notizie di Armando e, alle mie
risposte negative, mi schiaffeggiarono di nuovo. Cominciai a cercare Armando in tutte le
prigioni di Parigi. In una trovai Giovanna Berneri anche lei in arresto. Alla fine trovai anche
Armando: chiesi un permesso di visita che mi fu negato, ma con decisione mi rivolsi
direttamente ai francesi, che non vedevano di buon occhio i tedeschi occupanti, e con qualche
stratagemma riuscii a vederlo. Dopo un mese Armando fu portato in Germania ed in seguito
mandato al confino a Ventotene. Questo lo venni a sapere solo tre mesi più tardi da mia sorella
e nel '42 cercai di tornare in Italia. Alla frontiera fui fermata per tre giorni: nel visto che mi
avevano rilasciato al consolato c'era un segno particolare che mi aveva segnalato alla polizia di
frontiera. Tornai comunque a Bologna e qualche tempo dopo andai a Ventotene per vedere
Armando. Per vederci occorreva però un ottimo motivo e così decidemmo di sposarci. A
Ventotene c'era, come capo della polizia, il "famoso", per noi anarchici, questore Guida. Al
confino fui aiutata da Pertini e da Terracini, che se ne intendevano più di noi, per ottenere i
documenti necessari al matrimonio. Questi documenti però tardavano ad arrivare e Pertini mi
consigliò di tornare a Bologna - nonostante l'opposizione di Guida che voleva aggregarmi alle
confinate - per poter sfruttare una seconda volta il diritto alla visita matrimoniale.
Successivamente Armando fu trasferito ad Ustica e poi a Renicci d'Anghiari da dove scappò
dopo l'8 settembre 1943. In seguito continuammo la nostra militanza a Bologna. Armando, da
certi documenti trovati da dei compagni a Firenze, risultava fucilato per cui fummo lasciati
abbastanza tranquilli. Lavoravamo con i partigiani nell'attività antifascista, aiutavamo i
compagni vivendo alla giornata e rischiando più volte di essere scoperti; in questi casi la
fucilazione era assicurata. Fui però delusa dall'ambiente dei compagni italiani. Mi mancava il
clima fraterno che avevo sempre trovato tra i compagni con cui avevo lavorato all'estero. Non
c'era la stessa forte solidarietà che ci aveva sempre sostenuto, che ci aveva fatto proseguire
nella lotta con sempre maggior energia, perché sì, i rischi erano tanti, ma quella era la sola
ragione, il solo modo di poter sopportare la misera vita di allora.
Maria, e adesso? Beh, il movimento anarchico è sempre il mio punto di riferimento, l'idea
è sempre la stessa e
sono contenta quando vedo compagni giovani lavorare con impegno. A modo mio sono con loro;
se posso cerco ancora di aiutarli.
Maria per "chiudere", diciamo così, il tuo racconto di compagna militante vorrei farti una
domanda che è una mia curiosità personale. Anch'io sono una compagna e sto vivendo la mia
militanza circa 40 anni dopo la tua, sono tentata ai paragoni: che cosa ha significato per te essere
"donna" nella lotta? Cosa pensi di questo problema in generale? Certamente non posso che
essere d'accordo col desiderio di emancipazione della donna, con la
volontà di superare questa discriminazione, anche se ormai per me non ha molta importanza.
Devo dire però che io non ho avuto grosse difficoltà; innanzitutto ho vissuto e lavorato quasi
sempre con compagni, donne ce n'erano poche e quando c'erano non eravamo molto affini. Poi
nel lavoro politico ed anche nella vita, dal mio compagno e da tutti i compagni con cui ho
lavorato non sono mai stata discriminata e non mi sono mai comportata come tale.
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