Rivista Anarchica Online
L'educazione contro la scuola
di Felix Garcia(trad. Andrea Chersi da "Bicicleta" n.33)
Tre sono le fonti che alimentano il mito educativo: istruire tutti perché tutti possano essere attivi
nella società, cittadini liberi e solidali; abolire le disuguaglianze sociali abolendo la differenza
d'istruzione che le rende possibili; concedere a tutti l'uguaglianza di possibilità per distribuire in
modo più equo le mansioni sociali (in un primo momento non si pensava di distribuire anche le
disuguaglianze inerenti alle differenti mansioni sociali). Il mito educativo si risolve in una
precisa istituzione: la scuola. Scuola per tutti, dai primi tempi dell'infanzia fino a quando lo
permettono le capacità di ognuno. L'estensione dell'istruzione diviene uno dei criteri principali
della politica educativa dal secolo XIX fino ai tempi nostri: sempre più persone scolarizzate e
sempre più anni a scuola. Questo punto sarà comune sia ai movimenti socialisti sia alla stessa
borghesia conservatrice che si costituisce, dopo la rivoluzione francese, in blocco dominante. I
movimenti socialisti vedranno nella scuola gli aspetti più progressisti mutuati dall'Illuminismo; la
borghesia insisterà sul principio dell'uguaglianza delle possibilità, più coerente con la sua
concezione della società come supremazia dei più forti, tralasciando le potenzialità della
scuola
come mezzo per raggiungere l'uguaglianza. Nello stesso tempo lo sviluppo del capitalismo rende
sempre più necessaria la scuola, come luogo per fornire una manodopera più qualificata che
possa svolgere con maggiore produttività (ossia con una maggiore possibilità di estrazione di
plusvalore) i lavori che va creando il progresso industriale. Messe così le cose, l'esplosione scolare non
tarderà a prodursi. Lo sviluppo è lento durante il
secolo XIX, tra l'altro perché la borghesia vede con diffidenza i contenuti rivoluzionari
dell'impostazione scolastica e può ancora fare a meno di una manodopera qualificata. Nel secolo
XX, specialmente dopo la seconda guerra mondiale, l'avanzata è spettacolare, raggiungendo poi
dimensioni assolutamente impreviste durante gli anni '60, con uno sviluppo enorme
dell'istruzione superiore, dato che nella maggior parte dei paesi industrializzati l'istruzione
elementare s'era già diffusa quasi completamente da molto prima. Prendendo la Spagna come
modello, le cifre sono assai eloquenti e confermano questo sviluppo, parallelo, anche se in
ritardo, a quello prodotto negli altri paesi industrializzati. La scolarizzazione obbligatoria è ormai
praticamente totale, anche se continuano ad esserci deficienze di posti scolastici o
scolarizzazione insufficiente in alcune località. Se prendiamo come riferimento alcune cifre delle
spese statali per l'insegnamento, potremo osservare che, in cifre assolute, il denaro investito dallo
Stato nell'istruzione si è moltiplicato per 600 dal 1940 al 1978; in cifre relative, la percentuale del
bilancio preventivo per l'istruzione rispetto al bilancio nazionale è passata dal 5,5% al 17,2%
negli stessi anni. Non vogliamo qui analizzare queste cifre, poiché occorrerebbe troppo spazio,
ma vogliamo darle solo come evidente dimostrazione di questa crescita spettacolare
dell'istruzione, crescita che si potrebbe evidenziare anche soffermandoci sul numero di docenti,
sul numero degli alunni, degli edifici scolastici, sulle spese canalizzate attraverso l'insegnamento
privato, ecc.. D'altronde, la tendenza non pare arrestarsi né decrescere. In questa prospettiva, più
di un
illuminista penserebbe che i suoi sogni si siano avverati e che finalmente la società dimostri un
interesse crescente verso l'istruzione. Tuttavia, lasciando le cifre, i risultati son ben lontani
dall'essere soddisfacenti. Il sistema scolastico si presenta con sempre maggior chiarezza come un
mostro in grado di divorare gran parte delle risorse economiche ed umane della società, con una
funzione sociale e un rendimento sempre più discussi. Il mezzo ritenuto come più adeguato per
ottenere quei fini educativi (la scuola, cioè), è cresciuto smisuratamente, si è trasformato
in fine a
sé stante ed ha finito col divorare il padre che lo diede alla luce, un ideale pedagogico: è così
accaduto che le sue funzioni educative sono sempre minori nonostante vi si investa sempre più
denaro. Da un lato, la stessa struttura scolastica rende molto difficile la possibilità dello sviluppo
di un'educazione; d'altra parte, non pare nemmeno che oggi la scuola sia il luogo in cui si
raggiunge l'integrazione e la sottomissione al sistema, anche se, come vedremo in seguito, è
l'unico campo in cui pare conservare una certa validità. Il processo è accelerato: ci son sempre
più scuole, ma vi si impara sempre di meno. Pare che il sistema resista perché, come ogni
istituzione, tende a rimanere, anche se la sua funzione sociale è scarsa. Possiamo passare in fretta
in rivista queste funzioni inadempiute dalla scuola. L'istruzione, e quindi il sistema scolastico che doveva
diffonderla, si poneva come un mezzo per
diminuire e persino eliminare le disuguaglianze sociali. I risultati in questo campo non possono
essere più insoddisfacenti e le critiche più generalizzate. Alcuni, soprattutto gli americani,
insistono sul fatto che la scuola non influisce quasi per nulla sulla stratificazione sociale né sulla
distribuzione dei posti di lavoro tra i più dotati. Da ciò deducono lo scarso rendimento del
sistema scolastico, come pure l'inutilità di esso per ottenere un'uguaglianza sociale, che si deve
piuttosto raggiungere per altre strade. Altri, soprattutto gli europei, sottolineano il fatto che la
scuola non fa altro che selezionare quelli già avvantaggiati per la loro origine sociale; i figli della
classe dominante hanno molte più probabilità di eccellere a scuola che i figli delle classi
dominate, sia perché l'ambiente familiare e sociale offre loro i codici linguistici che permettono
questa supremazia, sia perché mette a loro disposizione un capitale culturale superiore. La
scuola, in entrambi i casi, non fa che riprodurre le disuguaglianze esistenti e, cosa più grave, le
giustifica ideologicamente cercando di dimostrare che effettivamente arrivano ai posti più alti
coloro che se lo meritano per le loro capacità intellettuali. In ogni caso, la scuola permetterebbe
di rinnovare parzialmente il blocco dominante, selezionando alcuni membri provenienti dagli
strati inferiori della società. Inoltre la scuola sta rendendo effettiva una nuova stratificazione sociale in
cui le disuguaglianze
sono più accentuate. Come abbiamo già detto, uno dei principi ideologici della scuola in origine
era di rendere possibile l'uguaglianza di possibilità per permettere la supremazia dei migliori,
indipendentemente dalla loro origine sociale. Anche se questa correlazione tra scuola e società
meritocratica non è più molto credibile per quanto abbiamo appena detto, il male sta nelle radici
stesse del sistema. Optare per l'uguaglianza di possibilità significa optare fin dall'inizio per una
società basata sulla disuguaglianza, nello sviluppo di tutte le possibilità alla portata solamente di
una minoranza, mentre la maggioranza ne rimane esclusa. La scuola è orientata a permettere un
processo di selezione sociale, appoggiato dalla concessione di alcuni titoli che permettano
l'esercizio di una professione. Lo stesso sistema scolastico si trasforma in una macchina poderosa
e frustrante di selezione, in una piramide al cui vertice si trova soltanto una minoranza, mentre la
maggioranza continua a cadere nelle diverse prove selettive che le vengono imposte lungo il
corso di studio. Proprio nel momento in cui comincia ad accedere ai livelli più alti della scuola
(l'università) un elevato numero di allievi, il sistema dimostra un'incapacità assoluta di offrire
istruzione o cultura, in quanto serve solamente a fornire titoli. Poiché in una società stratificata
tali titoli superiori possono essere alla portata unicamente di una minoranza, la società non è in
grado di assorbire tanti candidati, provocando un profondo senso di frustrazione, mentre allo
stesso tempo dimostra la falsità dell'ipotesi che giustificava ideologicamente l'istituzione. D'altra
parte, con questa distribuzione degli allievi nella piramide scolastica, si viene a consolidare una
nuova stratificazione sociale grave quanto la precedente: la società deve dividersi tra una
maggioranza, dotata di conoscenze sufficienti per potere obbedire alle norme date dal sistema e
una minoranza di esperti, sempre più gelosi del loro sapere, sempre più distanti dalla
maggioranza della popolazione cui impediscono la partecipazione alla vita politica proprio
perché, secondo loro, ignora gli aspetti tecnici dei problemi: il quoziente intellettuale ha
soppiantato i privilegi di nascita e di eredità. Il risultato è identico: una società in cui pochi
comandano e sfruttano i privilegi del loro dominio, e la maggioranza obbedisce e subisce le
conseguenze dell'obbedienza. Ma la scuola ha fallito anche in quello che si proponeva come suo fine
fondamentale: educare
cittadini responsabili e critici che potessero intervenire in modo autonomo e creativo nella
società, fallimento di ben maggiore importanza degli altri. Due sono le ragioni principali di
questo fatto: uno discende dall'interno stesso del sistema educativo e l'altro dalla società in cui si
inserisce. Lo stesso sistema scolastico si è trasformato in una specie di percorso ad ostacoli, in
cui l'importante è vincere più che educare, accrescendo così la divisione sociale tra una
minoranza di esperti ed una maggioranza che viene emarginata già nello stesso processo
scolastico. Con questa impostazione di base, risulta difficile che tutta quanta la vita scolastica,
dai programmi di studio fino ai docenti, passando per gli edifici stessi, possa aiutare gli allievi a
sviluppare tutto ciò che potenzialmente hanno dentro di loro. La scuola così si allontana dalla
vita reale, dal diffondere un'istruzione critica, per quanti sforzi vengano fatti per correggere
questi difetti. In fondo, pare che adempia solamente ad una missione che non ha nulla a che fare
con l'educazione, mentre ha una grande utilità nella riproduzione di un sistema di oppressione e
sfruttamento. La scuola adempie fondamentalmente al compito di sottomettere i ragazzi fin da
piccoli, abituarli a non avere iniziative proprie, a tacere allorché l'autorità lo vuole anche se gli
ordini non sono né giusti né ragionevoli, a annientare le differenze e l'originalità. Nelle prime
fasi
si trasforma in una specie di sorveglianza che garantisce quella sottomissione che a stento ottiene
la famiglia oggi in crisi, nelle fasi seguenti, in una specie di succursale dei commissariati di
polizia in cui si collabora a controllare la dissidenza. Noi docenti finiamo coll'avere la sensazione
di non far nulla di diverso da ciò che fa la polizia, anche se ci viene concesso il roboante titolo di
educatori. Il secondo motivo è intimamente connesso col precedente. Non si tratta solo di questa
funzione
repressiva della scuola, ma del fatto che, nel caso che un gruppo di docenti, o persino tutto il
corpo insegnante volesse recuperare una missione pedagogica, i suoi sforzi risulterebbero inutili.
In realtà, noi professori, nella funzione di integrare criticamente gli allievi nella società, non
possiamo fare nulla, siamo vittime di una concorrenza disuguale. Oggi questa funzione, anche se
evidentemente senza alcun senso critico, si realizza al di fuori della scuola, attraverso i mezzi di
comunicazione sociale, soprattutto la televisione e la pubblicità. È qui che i bambini ed i giovani,
e anche noi stessi, riceviamo un modello di vita, una gerarchia di valori, un senso del bene e del
male, ecc.. Alla scuola rimangono solo le briciole di un impegno educativo e noi ci vediamo
impotenti dinanzi a questa educazione che gli allievi ricevono dal di fuori. Educazione che non
ha alcun senso creativo, ma che riproduce solamente la sottomissione e la dipendenza grazie ad
un'abile e massiccia manipolazione di fronte alla quale la scuola non offre alcuna difesa, ma che
contribuisce anzi a potenziare ed imporre. Lo scrittore, il giornalista, i lavoratori della
televisione, hanno sostituito efficacemente i maestri in molte delle loro funzioni. Si comprende perfettamente
come ogni aumento della scolarizzazione venga considerato un
enorme spreco, almeno se si identifica scuola con educazione, a meno che accettiamo con
rassegnazione questa funzione di sorveglianza che oggi la società assegna alla scuola. Non si
otterrà nulla aumentando il numero di scuole, il numero di insegnanti, il numero di anni di
scolarizzazione, finché tutto il sistema funzionerà come funziona attualmente; e sembra molto
difficile che cambi. Comunque, pare anche evidente che ciò che c'è al di fuori è peggio della
scuola! Se scomparisse questa, non è affatto certo che i mezzi di comunicazione sociale e la
sofisticata tecnologia al loro servizio contribuirebbero a un'educazione critica e creativa, anzi,
proprio il contrario, in quanto aumenterebbe la manipolazione e potrebbe diminuire la capacità di
contrastare con un certo successo questa manipolazione. In fondo, tutta questa crisi riflette alcune
verità molto elementari che si erano dimenticate. In primo luogo che la scuola non è che un
riflesso della società in cui agisce; non ha senso una trasformazione della società a cominciare
dalla scuola, poiché le stesse strutture sociali vigenti impediscono questa possibilità. Ma, nello
stesso modo, non si deve dimenticare che non sarà mai possibile una trasformazione sociale se
non ci impegnamo seriamente perché questa sia una trasformazione culturale, pedagogicamente
orientata e realizzata, di modo che dall'inizio al traguardo (se un traguardo esiste) tutto sia
ispirato, fini e mezzi, alla formazione di persone autonome, critiche, creative, solidali, ossia teso
a raggiungere il massimo sviluppo di tutte le possibilità. Ci limiteremo ad esporre i punti che ci
paiono fondamentali, rimandando ad altra occasione il loro approfondimento. 1. Sarebbe assolutamente
necessario recuperare la capacità pedagogica della scuola, che, come si
può arguire, esige una modificazione profonda di tutto il sistema, modificazione che deve
riguardare programmi, contenuti, modo di funzionamento, edilizia, ecc.. In sostanza, la scuola
deve orientarsi ad offrire a tutti noi che vi siamo implicati la possibilità di intervenire
criticamente e creativamente nella realizzazione di una società libera, egualitaria e solidale. Deve
aprirsi alla vita quotidiana, smettendola di essere un ghetto, un ridotto frustrante e castrante; se
non si è convinti che dalla scuola si possa trasformare la società, non si deve che accettare la
funzione che la società ci affida, ossia diventare guardiani gelosi del disordine costituito.
Qualunque riforma della scuola dovrà tener presente, con assoluta priorità, la coerenza tra i fini
ed i mezzi. Non si può educare alla libertà in una scuola basata sulla sottomissione e sulla
repressione; non si può educare all'uguaglianza ed alla solidarietà in una scuola che incoraggia la
concorrenza, la meritocrazia, l'opportunismo; non si può educare criticamente senza articolare
tutta la scuola in un processo di autogestione che tocchi non solo le forme di funzionamento ma
anche i contenuti. 2. Sarebbe necessario anche modificare profondamente la funzione sociale degli educatori.
Non
possiamo limitarci a quanto ci viene ordinato attraverso un intrico di leggi, ma non possiamo
nemmeno limitarci alla funzione esclusiva di educare nella scuola. Se, come abbiamo cercato di
dimostrare, l'educazione, nel senso peggiore della parola, non è più nelle nostre mani, la scuola
non è l'ambiente adatto per cercare di contribuire all'educazione di nessuno, o almeno non è
l'ambiente sufficiente. Non si vuol dire che i genitori, le associazioni di quartiere, la società in
generale, devono partecipare alla vita della scuola perché questa è loro e essi devono intervenire
e controllare. L'argomentazione che qui vogliamo sostenere è opposta: si vuol dire che la nostra
funzione pedagogica non può avere che una minima efficacia se non incidiamo allo stesso tempo
sulla società che circonda i fanciulli durante la maggior parte della loro vita. Il nostro compito si
complica un po', ma allo stesso tempo si arricchisce; dobbiamo sforzarci seriamente ad ottenere
che tutti questi ambienti della vita sociale quotidiana si imbevano di pedagogia perché tutti
insieme, in modo collettivo e critico, contribuiamo ad ottenere il massimo sviluppo possibile di
tutte le nostre facoltà. Ma con ciò arriviamo al terzo ed ultimo punto. 3. Sarebbe assolutamente
necessario che la società recuperasse la dimensione pedagogica di cui
attualmente è mancante. Una delle conseguenze marginali, ma in assoluto deleteria, dello
sviluppo della scuola, è che questa ha monopolizzato ingiustamente la pedagogia, trasformandola
in mansione per esperti, che in molti casi non lo sono nemmeno. Con ciò s'è perduta la
possibilità
che tutta la struttura sociale recuperi una dimensione educativa senza la quale presto o tardi si
riproducono i rapporti di dominazione. Partiti politici, sindacati, associazioni dei più diversi
generi, mancano in genere di qualunque impostazione educativa; non si tratta affatto, per loro, di
potenziare la capacità critica e partecipativa degli individui, ma di ottenere voti, dividersi il
piccolo o grande pezzo di potere che gli tocca: a tal fine non è necessario educare, ma solo
manipolare. La storia delle lotte per una società migliore è ricca di esempi nei quali si può
facilmente constatare che solo articolando la lotta in sistemi autenticamente pedagogici, di
crescita personale e collettiva, si apriranno strade che possano avvicinarci a questa società che
potremmo considerare come ideale. Esempi come "Borse del Lavoro" o i molti movimenti sociali
attuali (vedi le lotte contro le centrali nucleari) possono servire come punto di riferimento per
recuperare questa capacità pedagogica sociale che attualmente brilla per la sua assenza. Se
analizzando la scuola non è difficile arrivare alla conclusione che essa rappresenta un autentico
spreco di risorse umane ed economiche, ponendoci in questa prospettiva, la situazione è
completamente diversa. Scarsissimo è lo sforzo che la società sta realizzando per dotarsi di
questo orientamento pedagogico; la cosa più grave è che per gran parte si sta già
sottoutilizzando
una grande capacità, sia in edifici che in persone, che potrebbe svolgere un evidente ruolo
dinamizzatore. In definitiva, l'analisi ci spinge a riconoscere che dinanzi alle apparenti contraddizioni del
sistema educativo attuale, questo funziona abbastanza bene e raggiunge gli obiettivi prefissi:
riprodurre una società che non è né libera né ugualitaria né solidale;
è quindi rigorosamente
coerente con una logica di supremazia. Ma l'educazione si è sempre ispirata ad una logica della
liberazione e guardando le cose da questa prospettiva le contraddizioni sono drammaticamente
reali. È probabile che voglia dire semplificare molto l'argomento ridurlo alla contrapposizione tra
due logiche radicalmente opposte, ma anche la storia è ricca di esempi, da Socrate fino a Ferrer
Guardia, di persone che han pagato colla loro vita per testimoniare un'educazione liberatrice.
Educare è qualcosa di più che trasmettere informazioni o far sì che la gente accetti delle
norme
imposte da pochi; educare sarebbe, come giustamente ha scritto Goodman, contribuire a creare
un mondo in cui valga la pena di vivere.
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