Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 10 nr. 87
novembre 1980


Rivista Anarchica Online

Nucleare ultima follia
di Pompeo Bruno

Tra tutte le problematiche che affliggono la società contemporanea, la tematica dell'energia intesa nella sua globalità e con le sue implicazioni politico-ecologiche-etiche e sociali, assume oggi una importanza notevole presentando aspetti e situazioni degni di essere presi in seria considerazione nel contesto delle lotte e delle rivendicazioni sociali tese alla realizzazione di una società libertaria. Per dimostrare tale affermazione, potremmo quindi iniziare dal fatto che la crisi politico-economica-sociale che investe tutto il mondo industrializzato è in larga misura riconducibile ad una sola grande crisi: la crisi energetica. Le parti in cui essa si scompone altro non sono che aspetti e parzialità della stessa crisi.
La crisi energetica è a sua volta, uno degli aspetti di una crisi molto più grande e generalizzata; una crisi che trova riscontro nella moltitudine di conflitti e di inquietanti interrogativi che l'attuale società tecnologica continua a produrre giorno dopo giorno (crisi della scuola, famiglia, del territorio, della medicina, della vita urbana, del lavoro ecc.). Fino ai nostri giorni, il sistema capitalistico-occidentale si è sempre caratterizzato con alti tassi di investimento, alti profitti, alti consumi, scarsa occupazione, il tutto accompagnato da una filosofia dello spreco e da una morale saccheggiatrice su scala planetaria. Una moltitudine di "bisogni" e consumi viene ancora oggi stimolata dai mass-media in funzione di investimenti e di nuove più lucrose quanto inutili produzioni. Questo circolo vizioso che da quasi trent'anni ha caratterizzato la cosiddetta società dei consumi in cui noi oggi viviamo, sembra aver raggiunto il massimo delle compatibilità umane e della gestibilità politico-sociale ed economica.
La sintomatologia di questo fenomeno è alquanto varia e complessa e cerchiamo quindi di coglierne gli aspetti più evidenti: ristagno di molte economie, inflazione, disoccupazione, crisi di valori, degrado ecologico, fenomeni di emarginazione sociale e psicologica, violenza e criminalità a livelli fino a ieri impensabili. L'emergere con evidenza di tali segnali ed il loro progressivo aumento fa pensare quindi di trovarsi di fronte ad una crisi diversa, una crisi che non trova sufficienti spiegazioni dal punto di vista congiunturale, una crisi spiegabile solo ed unicamente dal punto di vista strutturale e dall'intreccio dei limiti fisici e sociali (sperpero delle risorse naturali e degradazione ambientale).
Se l'attuale modello di sviluppo dei paesi industrializzati si è fermato, non lo si deve di certo ad entità astratte, né alla violazione di leggi strettamente economiciste, ma bensì alla sua palese incapacità di far fronte a situazioni nuove ed a esigenze di varia natura, esigenze che sono di carattere ideale-economico-sociale ed ecologico, esigenze non del tutto genuine da un punto di vista rivoluzionario, poiché in parte connaturate allo stesso modello di sviluppo economico-sociale, ma portatrici in sé ed in ogni caso, di una domanda di cambiamento, a cui è d'obbligo rispondere se si vuole uscire dalla situazione di stasi che oggi si è venuta a creare in tutti i paesi industrializzati. Potremo quindi affermare che la soluzione di tale crisi non può più essere trovata in una ulteriore logica dello sviluppo economico, ma bensì solo ed unicamente in una inversione della stessa.
La realizzazione di una società economicamente equilibrata, basata sul rovesciamento dell'attuale sistema economico-sociale e legata a modelli di decentramento e autogestione delle risorse rinnovabili, non è più utopia, risponde a criteri di necessità: Utopia è oggi credere che lo sviluppo continuo, illimitato della produzione e del saccheggio delle materie prime non rinnovabili, possa ancora portare ad un miglioramento delle attuali condizioni di vita e che tutto ciò sia ancora materialmente possibile. In riferimento a quanto sopra citato riportiamo qualche dato: supponendo che le riserve minerali utilizzabili siano cinque volte maggiori di quelle che già si conosce (ipotesi questa reputata da molti ottimistica) e che il consumo globale mantenga lo stesso tasso di incremento di questi ultimi anni, ci resterebbero secondo i dati del rapporto del System Dynamics Group del Massachusetts Institute of Technology (M.I.T.) 41 anni di mercurio, 42 di argento, 48 di rame, 49 di gas naturale, 50 di petrolio e zinco, 55 di alluminio, 61 di stagno, 64 di piombo ecc.. Solo il cobalto ed il cromo riuscirebbero ad oltrepassare il secolo. A sostegno di questa tesi è utile inoltre riportare delle argomentazioni a cui dare una risposta sembra oggi compito assai arduo.
Ammettendo pure che l'attuale tecnologia ufficiale possa essere in grado in un periodo relativamente breve di recuperare (fermo restando l'attuale ritmo produttivo) buona parte delle materie prime attraverso operazioni di riciclaggio, dove andrà ad attingere l'energia necessaria per fondere, riprodurre e ridistribuire i prodotti finiti? Con quale energia si potranno poi far funzionare impianti che riproducono quello che altri impianti distruggono? L'attuale modello di sviluppo, basato sulla crescita e sulla espansione, sul saccheggio planetario e sulle grandi dimensioni dell'apparato industriale, commerciale e civico, di quale energia si servirà per depurare i fiumi, i laghi, i mari, gli oceani e rendere abitabili megalopoli che contano oggi milioni di abitanti? Con quale energia si riuscirà a rendere respirabile l'aria, a rendere fertile la terra, a ristabilire quel delicato equilibrio uomo-natura già tanto terribilmente compromesso ma nello stesso tempo tanto necessario alla sopravvivenza della specie umana? Quanti e quali capitali saranno necessari per effettuare tali riciclaggi oramai indispensabili anche sotto il profilo industriale per riprodurre quello che fino ad oggi era stato abbondante e gratuito? (es: aria ed acqua). E per finire fino a che punto tutte queste costose operazioni potranno essere compatibili senza incidere pesantemente sull'assetto economico-sociale dei ceti medi e delle classi più povere?
Oltre a questo, l'avanzata della società tecnologica ha sconvolto tutti quei settori che vanno dall'agricoltura all'artigianato all'urbanistica e con loro è stata distrutta tutta quella rete preziosa di interazioni sociali e di rapporti interpersonali ed umani che da sempre hanno costituito il tessuto connettivo di ogni società in ogni epoca storica. In questa folle corsa suicida, la condizione esistenziale dell'uomo è stata completamente sconvolta, come pure sconvolto è l'ambiente in cui esso viene relegato a vivere. L'aggressività tecnologica, l'urbanizzazione selvaggia, il degrado ecologico-sociale, sono tra le caratteristiche più squallide e deprimenti che l'attuale società del "benessere" ha prodotto. Oggi la vita nelle città, resa insopportabile dalle tortuosità burocratiche, dalla congestione del traffico, dall'inquinamento, dalle interminabili code agli sportelli, da una assurda stratificazione gerarchica delle amministrazioni civiche seguita a sua volta da una polverizzazione delle mansioni degli amministratori è divenuta tale che i grossi problemi che attanagliano la vita collettiva ed individuale, lungi dal venire risolti, si accavallano l'un l'altro, moltiplicandosi in tutta la loro drammaticità e trovando soluzioni sempre più parziali e limitate. Per la prima volta nella storia, la vita sociale nelle città assume dimensioni così lontane dalla scala e dal controllo umano, che la stessa società non si qualifica più come un rifugio per l'umanità, bensì appare quasi come una forza ostile, una forza che agisce al di sopra delle sue componenti umane, seguendo una legge di sviluppo completamente estranea ad ogni fine prettamente umanistico.
Così, l'uomo soffocato, oppresso, atomizzato, viene ridotto a particella di un misterioso universo nel quale giorno dopo giorno tentare di orizzontarsi diviene impresa quasi impossibile. Queste considerazioni generali ci debbono far riflettere seriamente su questo dilemma, e meritano di essere prese in seria considerazione poiché già adesso noi stiamo vivendo il momento della transizione da un modello energetico ad un altro e mai come oggi ci si trova nella inderogabile necessità di far luce su un futuro dove sembra non ci sia più posto nemmeno per la speranza.
Come risposta a tutto ciò, il sistema si accinge a giocare quella che si può considerare come l'unica carta a portata di mano: il nucleare.

L'ultima follia

La scelta nucleare rappresenta il tentativo da parte della elite tecnocratica dominante di rilanciare su scala planetaria e in termini più "aggiornati" lo stesso modello di sviluppo oramai divenuto fatiscente. Si tratta quindi di una colossale operazione di riconversione industriale dell'apparato produttivo-distributivo messo in crisi dalle lotte degli sfruttati nel mondo, ma soprattutto dal logoramento degli stessi meccanismi del mercato internazionale; l'obiettivo che tale scelta si prefigge è quello di ristabilire il dominio fondato sulla legge del massimo profitto e della rapina economica. Attraverso questa scelta emerge con maggiore evidenza l'incapacità del sistema tardo-capitalista internazionale ad uscire dalle proprie contraddizioni se non scaricandole violentemente contro le classi più povere in termini di disoccupazione, di inasprimento dello sfruttamento, di abbassamento del tenore di vita, di ulteriore distruzione dell'ambiente naturale.
La scelta del nucleare, dietro la concentrazione di profitti che essa presuppone innesca inoltre un processo di autoritarismo militare, politico e sociale, tanto territorialmente diffuso quanto arbitrariamente controllato da caste istituzionali sempre più ristrette. La scelta nucleare inoltre è posta in termini in cui già oggi si possono prefigurare con una certa approssimazione, i connotati di quella che potrebbe essere la futura società del "tutto elettrico". Una società in cui lo status quo non sarebbe minimamente intaccato, poiché essa si distinguerebbe dalle altre solo per l'introduzione di nuove tecnologie e nuovi servizi, quali i turbotreni, le auto-elettriche, i velocipedi a batteria, i treni elettrici, le stazioni di servizio erogatrici di elettricità, i condomini riscaldati con vapore da cogenerazione elettronucleare, il tutto immerso in una specie di atmosfera fredda e asettica, che i più sprovveduti si affretterebbero a considerare positiva ed a scambiare con una delle soluzioni al problema dell'inquinamento ambientale.
Poiché, come dice il proverbio "occhio non vede, cuore non duole", l'energia elettronucleare e la sua intrinseca pericolosità sarebbero cose scontate in partenza e quindi diventerebbero così lo "scotto" da pagare in nome del "benessere e della civiltà", diventerebbero quindi necessità imprescindibili in special modo per l'ENEL, che continuerebbe ad erogare sempre più elettricità per incoraggiare sempre nuovi "bisogni", per la FIAT, che con qualche piccolo accorgimento tecnico continuerebbe a produrre le stesse automobili agli stessi ritmi di sempre, per le fabbriche che continuerebbero indisturbate le loro produzioni di morte ed i loro eventuali riciclaggi, ed infine per la riproduzione di altre centrali nucleari che diventerebbero così le nuove roccaforti del potere e i centri nevralgici di tutto il sistema produttivo economico e sociale.

La scienza contro la società

È forse pensando a queste cose, che il M.I.T. e il Club di Roma, composto da 25 esperti mondiali e finanziato dalla fondazione Agnelli, dalla fondazione Ford e dalla Volkswagen, si son resi promotori di un dibattito internazionale sui problemi dell'industrializzazione, dello sviluppo demografico, dell'ambiente e del crescente divario tra i paesi ricchi e i paesi poveri. Nel 1971 gli stessi ricercatori del M.I.T. in collaborazione con il Club di Roma, previdero attraverso i dati elaborati da un calcolatore elettronico una catastrofe a livello planetario, che si dovrebbe verificare all'incirca verso l'anno 2000-2010.
I dati introdotti nell'elaboratore elettronico sono i seguenti: 1) Attuale modello di sviluppo basato sulla crescita esponenziale (raddoppio ad intervalli costanti della produzione); 2) Depauperamento delle materie prime; 3) Aumento demografico; 4) Alto tasso di inquinamento della biosfera; 5) Prodotto nazionale lordo.
Tale impostazione del problema è però alquanto discutibile, poiché questioni come quella del P.N.L., dell'aumento demografico, della crescita economica esponenziale, meritano una analisi più attenta ed approfondita ed un accostamento al problema da una angolazione politica diversa. Infatti il M.I.T. pone la questione da un punto di vista squisitamente neo-Malthusiano, per cui se la popolazione continuerà ad aumentare in progressione geometrica, lo spazio sufficiente alla sua alimentazione ed ad una vita più dignitosa verrà sempre meno; come dire che la fame, la miseria, lo sfruttamento e l'ignoranza sono l'effetto di un eccessivo incremento demografico e non la conseguenza di una ineguale distribuzione della ricchezza sociale.
A prescindere da queste considerazioni sta di fatto però, che l'inquinamento, il depauperamento delle materie prime, l'aumento demografico ecc., sono realtà oggettive con cui prima o poi si dovrà fare i conti. Quindi le previsioni del M.I.T. non sono da prendersi completamente alla lettera, poiché oltre a quanto detto sopra, decine di studiosi di tutto il mondo sono riusciti a controbattere in parte le tesi del M.I.T., arrivando alla conclusione che l'intreccio tra i limiti fisici del pianeta e i limiti socio-economici sembrano poter consentire una certa sopravvivenza del ciclo produttivo, una sopravvivenza che è data più che altro dalla flessibilità della socio-economia e dalla sua capacità di adattarsi a condizioni di vita più precarie.
Una cosa però è certa, in un mondo finito anche le risorse naturali non potranno durare in eterno, e questo accadrà se si continuerà ad usare risorse non rinnovabili, se si continuerà cioè sulla strada del potere per il potere, della produzione per la produzione, del consumo per il consumo.

Ecologia o eco-fascismo

In ultima analisi, il Club di Roma con le sue deduzioni lascia intravedere due tipi di soluzione: una è quella della scelta nucleare con sbocco nei reattori autofertilizzanti al plutonio, in grado attraverso complicati impianti di riprocessamento del combustibile irradiato di moltiplicare fino a due ordini di grandezza superiori le riserve del combustibile nucleare (Le attuali riserve di uranio naturale sarebbero sufficienti solo per 20-30 anni). Questa soluzione, mantenendo inalterato l'assetto economico-sociale-produttivo, dovrebbe garantire a loro avviso, una certa ripresa delle economie per il tempo necessario alla messa a punto di una nuova tecnologia più stabile in grado di fornire una fonte "veramente alternativa", quale ad esempio la fusione nucleare (si pensa che questa tecnologia sarà pronta nel 2010-2050). L'altra invece, molto più insidiosa, propone una specie di "austerità di massa" e di limitazione dei consumi come scelta ineluttabile per la sopravvivenza del genere umano, beninteso che l'austerità resti confinata al di fuori del potere che deve gestirla.
Sempre secondo i tecnocrati del Club di Roma, il passaggio da una società "opulenta" a quella dei sacrifici attraverso una politica della transizione del contenimento dei consumi è la scelta da pagare in nome della "ratio ecologica" quasi ad avallare una filosofia della miseria per la conquista di una penuria accettabile in quanto distribuita equamente fra le classi subalterne. Ecco che il quadro della situazione comincia già a farsi un po' più chiaro: o il mostro salvatore nucleare (che per molti è ancora sinonimo di civiltà, di progresso, di tecnologia, secondo l'equazione più energia uguale più benessere) o nel caso questa scelta trovasse troppi ostacoli di carattere economico e sociale e si optasse per la "candela" come dicono i filonucleari, (nel senso di una società a basso consumo energetico) gli unici a doverla usare sarebbero quelli di sempre: i diseredati, gli emarginati, gli sfruttati, quelli a cui il M.I.T. vorrebbe addossare la responsabilità di questo mondo che va in rovina, consegnando loro le sorti dell'umanità, ma riservando per sé e per quelli che esso rappresenta il diritto esclusivo all'opulenza, alla comodità, alla ricchezza.
In quest'ottica i limiti necessari alla conservazione della vita verranno calcolati, programmati e pianificati in modo accentratore da ingegneri ecologici, e la produzione stabilita per un ambiente di vita "ottimale" sarà affidata a istituzioni centralizzate ed a tecniche oppressive. Ci troveremo così dinnanzi ad una soluzione di chiara marca tecnocratica (o eco-fascista) che cercherà di gestire la crisi uscendo con il minor danno possibile, scaricandola naturalmente sulle spalle di coloro i quali ancora una volta non hanno saputo cogliere i nodi storici della questione al fine di cambiare la propria vita.
Se è vero che l'attuale modello di sviluppo è in declino e che la crisi attuale del capitalismo internazionale trova il suo fondamento nello sviluppo eccessivo e disordinato, nella distruttività delle materie prime, nella degradazione ecologico-sociale, nell'impossibilità di reperire l'energia necessaria alla sua sopravvivenza ed alla sua espansione, è anche vero però che la gente dei paesi industrializzati per la prima volta si trova a dover affrontare una soluzione in cui l'utopia sembra poter essere l'unica alternativa ad una eco-catastrofe, o nella più ottimistica delle ipotesi l'unica strada percorribile al fine di scongiurare una crisi la cui gravità e durata sono ben lungi dall'essere quantificabili.
Urge quindi un cambiamento radicale per scongiurare questo pericolo, ed è in questo quadro che si dovrebbero leggere la crisi energetica e le sue implicazioni (decentramento, tecnologie, dimensioni, comunità ecc.) poiché non si vede quali altri modelli di sviluppo possano subentrare al tramonto del sistema tardo-capitalista, se non quello ed è l'unico, che vada in senso opposto, cioè in grado di consentire un'uscita della crisi in avanti: un modello quindi che imponga dei limiti alla tecnologia ed alla produzione, che risparmi le risorse naturali, utilizzando maggiormente quelle rinnovabili, che preservi gli equilibri favorevoli alla vita, che favorisca la crescita e la sovranità delle comunità e degli individui.
Un modello questo che rappresenta il punto di riferimento per tutto l'eterogeneo movimento ecologista, ma che in ogni caso non è sufficiente da solo a garantire un progetto globale di liberazione umana, poiché quest'ultima presuppone l'abbattimento e la soppressione di ogni forma di dominazione e di sopraffazione politica-economica-psicologica-sessuale e sociale. Far derivare dall'ecologia una morale o una dottrina è compito assai difficile, anche se l'ecologia nel suo aspetto migliore è, come afferma Murray Bookchin, una forma di poesia che riunisce scienza ed arte in una unica sintesi e che induce ad interpretare ogni relazione sociale, psicologica, naturale, in termini non gerarchici. Infatti, sempre secondo Bookchin, l'ecologia non riconosce alcun "re degli animali", e nel suo complesso fornisce le basi sociali e biologiche per una critica distruttrice della società gerarchica, indicando parallelamente le linee per una utopia vivibile e armoniosa; perché è proprio l'ecologia che ratifica sul terreno scientifico l'idea di una società decentrata, fondata sulla base di nuove tecnologie e nuovi modelli di organizzazione sociale. Quindi, se è vero che l'ecologia possiede intrinsecamente delle potenzialità liberatrici, far leva su di essa per riportarle alla luce ed alla nostra comprensione è senz'altro doveroso, come altrettanto indispensabile è affiancare ad essa una solida teoria della società umana, una teoria sociale in cui si configurino compitamente la libertà e l'uguaglianza, una teoria che già esiste e che in pratica si chiami Anarchia.
Non è per presunzione, ma al punto in cui siamo arrivati non esiste altra alternativa; se siamo concordi nel ritenere il nucleare una strada senza ritorno, se siamo concordi nel ritenere fascista una "austerità di massa" imposta con la forza e con la coercizione, se siamo convinti che di questo passo ci avvicineremo ad una eco-catastrofe, dovremmo anche convenire che non esiste altra soluzione che quella di cambiare, e per cambiare bisogna lottare. Lottare contro lo Stato, l'autorità, la gerarchia, è lottare contro il nucleare, l'eco-fascismo, la tecnologia, o meglio quella particolare tecnologia che fa di ogni uomo uno schiavo, quella tecnologia che distrugge, annienta e avvilisce la fantasia, la creatività, la spontaneità, quella tecnologia a cui oggi sembra lecito sacrificare anche la vita.
Abbiamo quindi bisogno di ridefinire ed approfondire meglio tutta l'intera questione perché se l'ecologismo, l'antinucleare, e il movimento delle tecnologie alternative vanno sempre più espandendosi, è segno che qualcosa sta cambiando nelle persone, qualcosa che ancora ci sfugge poiché forse si tratta di un fenomeno refrattario alle analisi convenzionali. Sta di fatto che questi movimenti incarnano valori ed idee libertarie, e se noi non fossimo in grado, in quanto anarchici, di fungere come forza di aggregazione, di chiarificazione e di stimolazione, perderemmo un'altra buona occasione.

Caratteristiche qualitative dell'acqua in relazione al suo impiego
Usi batteri salinità durezza metalli nutrienti deficit ossigeno
Potabile X X O X O O
Pesca O X X X
Balneare X X O
Agricolo O X X
Industriale X O O
Il segno X indica che il dato è completamente compromesso da un rilevante peggioramento della corrispondente caratteristica. Il segno O indica che vi è una compromissione parziale. (Questi dati sono stati tratti dal libro "Oltre l'ecologia" di Walter Ganapini Ed. Etas).