Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 10 nr. 84
giugno 1980 - luglio 1980


Rivista Anarchica Online

Incertezza e piacere
a cura della Redazione

Intervista a G.P. Prandstraller

- Il tuo libro precedente si chiamava "Felicità e società". Il libro ora uscito si chiama "Incertezza e piacere". Quale collegamento esiste tra questi due libri?
- In "Felicità e società" mi sono occupato dell'idea di felicità nel suo sviluppo filosofico, cercando altresì di evidenziare i caratteri che deve avere una società per consentire agli individui che ne fanno parte di essere felici. Tali caratteri riguardano le strutture sociali, nel senso che queste ultime non debbono essere così oppressive da impedire lo sviluppo delle virtualità individuali. Quando le strutture sociali bloccano lo sviluppo degli individui rendono infelici questi ultimi. "Felicità e società" era una critica delle strutture gerarchiche, verticistiche e burocratiche del mondo contemporaneo. Questa tematica doveva inevitabilmente portarmi a considerare quale fosse l'"etica" che regola il comportamento degli uomini nel nostro secolo. È l'etica infatti che determina la sottomissione degli individui a strutture di questo tipo. L'oggetto di "Incertezza e piacere" è appunto l'etica sociale del secolo ventesimo: il libro è una critica a quest'etica che - postulando la sottomissione, il comportamento gregario, il principio di gerarchia e di acquisizione progressiva del potere - produce come conseguenza una larga diffusione dell'infelicità.
- Che cosa intendi per incertezza?
- Nel nostro secolo la riflessione epistemologica (quella riflessione che riguarda i fondamenti della conoscenza) è giunta a eliminare il principio di certezza: le leggi della natura non sono più considerate certe ma probabilistiche: neppure nelle scienze morali sono più accettate le certezze assolute. Eppure, ignorando ciò che avviene nel campo epistemologico, il ventesimo secolo ha cercato a tutti i costi la certezza nel campo etico. L'etica predominante in questo secolo è basata su assoluti che richiedono una totale dedizione dell'individuo a entità sociali come il partito, la grande impresa ecc.. Questo tipo di etica è comunemente definito "etica sociale". Si ha cioè un radicale contrasto tra l'epistemologia a cui sono giunti grandi pensatori fin dall'inizio del secolo, e l'etica sociale: mentre l'epistemologia valorizza l'idea di incertezza, l'etica sociale ripudia l'incertezza e afferma certezze che schiacciano l'individuo. È pertanto evidente che la certezza su cui si fonda l'etica sociale del ventesimo secolo è una certezza fasulla, basata su presupposti epistemologici falsi e artificiosi. Per questo il mio libro intende rivalutare l'incertezza come la base su cui si deve fondare un'etica coerente con la moderna epistemologia. La conseguenza è la postulazione di un'etica relativistica e democratica, in cui non si danno né si impongono verità assolute, ma soltanto idee problematiche, aperte cioè alla discussione.
- Qual è il senso che dai all'idea di piacere, pure presente nel titolo del libro?
- Il piacere è un elemento complementare rispetto alla problematicità. Ogni individuo problematico - per il fatto stesso che risolvere dei problemi costituisce un impegno e una fatica - ha bisogno di gratificazioni immediate e non faticose. Qualsiasi persona "vitale" è naturalmente portata a valorizzare accanto alla problematicità, anche il piacere. Quest'ultimo invero si pone come ristoro, pausa, ricarica rispetto alla fatica esistenziale data dai problemi. Una vita equilibrata deve perciò alternare fenomeni di sviluppo esistenziale e fenomeni di gratificazione immediata, o piaceri. Nel mio libro ho detto chiaramente che l'incertezza equivale a problematicità, è che se si accetta tale stato si ha bisogno anche del piacere. Nello stesso tempo ho messo in evidenza che la società contemporanea ha valorizzato ipocritamente il piacere senza osare legittimarlo. È tempo quindi di legittimare pienamente il piacere, come componente essenziale della vita.
- Quale è per te il rapporto tra incertezza e libertà?
- L'incertezza produce libertà, mentre la certezza produce asservimento. Tutto ciò che è problematico apre la strada all'influenzamento reciproco, cioè alla discussione e al superamento delle posizioni chiuse. L'incertezza è quindi un concetto profondamente democratico, mentre la certezza è un concetto autoritario. Tutti i regimi autoritari affermano delle certezze: i regimi veramente democratici lasciano sempre aperta la strada alla discussione, al dubbio e alla possibilità di cambiare idea. Un sistema realmente democratico deve quindi accettare e legittimare l'idea di incertezza.
- Nel tuo libro tu ti riferisci ai bisogni e stabilisci un rapporto tra l'economia politica e i bisogni. Puoi chiarire che senso ha per te questa relazione?
- L'economia politica, sia nei paesi capitalisti come nei paesi del socialismo reale, si occupa preminentemente della produzione: il tema dei bisogni umani è per essa del tutto secondario. La produzione viene d'altronde determinata con criterio centralistico, cioè da pochi individui che si arrogano il diritto di determinare quali bisogni umani devono essere soddisfatti e quali devono essere esclusi. Questa strategia implica che il criterio gerarchico di organizzazione sociale arriva fino agli aspetti "esistenziali" della vita. Come conseguenza gli individui cominciano ad essere conculcati proprio a livello delle loro esigenze primarie. Una società che abbia a cuore la felicità dei suoi membri dovrebbe trasformare l'economia politica in una scienza che si occupi dei bisogni prima che della produzione. Cioè si dovrebbero prima rilevare i bisogni espressi dagli individui e poi stabilire qual è la produzione da attuarsi. Questa d'altronde è la interpretazione dell'economia politica data - a mio avviso correttamente - da Kropotkin, che vede nell'economia politica una sorta di fisiologia della società.