Rivista Anarchica Online
Incertezza e piacere
a cura della Redazione
Intervista a G.P. Prandstraller
- Il tuo libro precedente si chiamava "Felicità e società". Il libro ora uscito si chiama
"Incertezza e piacere". Quale collegamento esiste tra questi due libri? - In "Felicità e
società" mi sono occupato dell'idea di felicità nel suo sviluppo filosofico,
cercando altresì di evidenziare i caratteri che deve avere una società per consentire agli individui
che ne fanno parte di essere felici. Tali caratteri riguardano le strutture sociali, nel senso che
queste ultime non debbono essere così oppressive da impedire lo sviluppo delle virtualità
individuali. Quando le strutture sociali bloccano lo sviluppo degli individui rendono infelici
questi ultimi. "Felicità e società" era una critica delle strutture gerarchiche, verticistiche e
burocratiche del mondo contemporaneo. Questa tematica doveva inevitabilmente portarmi a
considerare quale fosse l'"etica" che regola il comportamento degli uomini nel nostro secolo. È
l'etica infatti che determina la sottomissione degli individui a strutture di questo tipo. L'oggetto di
"Incertezza e piacere" è appunto l'etica sociale del secolo ventesimo: il libro è una critica a
quest'etica che - postulando la sottomissione, il comportamento gregario, il principio di gerarchia
e di acquisizione progressiva del potere - produce come conseguenza una larga diffusione
dell'infelicità. - Che cosa intendi per incertezza? - Nel nostro secolo la riflessione
epistemologica (quella riflessione che riguarda i fondamenti
della conoscenza) è giunta a eliminare il principio di certezza: le leggi della natura non sono più
considerate certe ma probabilistiche: neppure nelle scienze morali sono più accettate le certezze
assolute. Eppure, ignorando ciò che avviene nel campo epistemologico, il ventesimo secolo ha
cercato a tutti i costi la certezza nel campo etico. L'etica predominante in questo secolo è basata
su assoluti che richiedono una totale dedizione dell'individuo a entità sociali come il partito, la
grande impresa ecc.. Questo tipo di etica è comunemente definito "etica sociale". Si ha cioè un
radicale contrasto tra l'epistemologia a cui sono giunti grandi pensatori fin dall'inizio del secolo,
e l'etica sociale: mentre l'epistemologia valorizza l'idea di incertezza, l'etica sociale ripudia
l'incertezza e afferma certezze che schiacciano l'individuo. È pertanto evidente che la certezza su
cui si fonda l'etica sociale del ventesimo secolo è una certezza fasulla, basata su presupposti
epistemologici falsi e artificiosi. Per questo il mio libro intende rivalutare l'incertezza come la
base su cui si deve fondare un'etica coerente con la moderna epistemologia. La conseguenza è la
postulazione di un'etica relativistica e democratica, in cui non si danno né si impongono verità
assolute, ma soltanto idee problematiche, aperte cioè alla discussione. - Qual è il senso
che dai all'idea di piacere, pure presente nel titolo del libro? - Il piacere è un elemento
complementare rispetto alla problematicità. Ogni individuo
problematico - per il fatto stesso che risolvere dei problemi costituisce un impegno e una fatica -
ha bisogno di gratificazioni immediate e non faticose. Qualsiasi persona "vitale" è naturalmente
portata a valorizzare accanto alla problematicità, anche il piacere. Quest'ultimo invero si pone
come ristoro, pausa, ricarica rispetto alla fatica esistenziale data dai problemi. Una vita
equilibrata deve perciò alternare fenomeni di sviluppo esistenziale e fenomeni di gratificazione
immediata, o piaceri. Nel mio libro ho detto chiaramente che l'incertezza equivale a
problematicità, è che se si accetta tale stato si ha bisogno anche del piacere. Nello stesso tempo
ho messo in evidenza che la società contemporanea ha valorizzato ipocritamente il piacere senza
osare legittimarlo. È tempo quindi di legittimare pienamente il piacere, come componente
essenziale della vita. - Quale è per te il rapporto tra incertezza e libertà? -
L'incertezza produce libertà, mentre la certezza produce asservimento. Tutto ciò che è
problematico apre la strada all'influenzamento reciproco, cioè alla discussione e al superamento
delle posizioni chiuse. L'incertezza è quindi un concetto profondamente democratico, mentre la
certezza è un concetto autoritario. Tutti i regimi autoritari affermano delle certezze: i regimi
veramente democratici lasciano sempre aperta la strada alla discussione, al dubbio e alla
possibilità di cambiare idea. Un sistema realmente democratico deve quindi accettare e
legittimare l'idea di incertezza. - Nel tuo libro tu ti riferisci ai bisogni e stabilisci un rapporto tra
l'economia politica e i bisogni.
Puoi chiarire che senso ha per te questa relazione? - L'economia politica, sia nei paesi capitalisti come
nei paesi del socialismo reale, si occupa
preminentemente della produzione: il tema dei bisogni umani è per essa del tutto secondario. La
produzione viene d'altronde determinata con criterio centralistico, cioè da pochi individui che si
arrogano il diritto di determinare quali bisogni umani devono essere soddisfatti e quali devono
essere esclusi. Questa strategia implica che il criterio gerarchico di organizzazione sociale arriva
fino agli aspetti "esistenziali" della vita. Come conseguenza gli individui cominciano ad essere
conculcati proprio a livello delle loro esigenze primarie. Una società che abbia a cuore la felicità
dei suoi membri dovrebbe trasformare l'economia politica in una scienza che si occupi dei
bisogni prima che della produzione. Cioè si dovrebbero prima rilevare i bisogni espressi dagli
individui e poi stabilire qual è la produzione da attuarsi. Questa d'altronde è la interpretazione
dell'economia politica data - a mio avviso correttamente - da Kropotkin, che vede nell'economia
politica una sorta di fisiologia della società.
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