Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 10 nr. 84
giugno 1980 - luglio 1980


Rivista Anarchica Online

SenzaTito
di Slobodan Drakulic

Dello studioso Slobodan Drakulic abbiamo già avuto occasione di pubblicare ("A" 78) la relazione presentata alla Conferenza internazionale di studi sull'autogestione (Venezia, 28-30 settembre 1979). In quel saggio Drakulic analizzava con acutezza il fenomeno dell'autogestione yugoslava, in particolare i suoi complessi e contraddittori rapporti con la struttura burocratica del potere. Nell'articolo che pubblichiamo ora, Drakulic punta la sua attenzione sull'attuale situazione yugoslava, dopo la morte di Tito. Convinti come siamo dell'interesse dell'argomento e soprattutto dell'importanza della sua testimonianza dall'interno della Yugoslavia, pubblichiamo questo articolo di Drakulic; ma al contempo non vogliamo nascondere il nostro netto dissenso su certi aspetti della sua analisi (il ruolo del P.C. e dello Stato, tra gli altri) e soprattutto sulla soluzione prospettata in conclusione dell'articolo (riguardo alla positività di un intervento mediatore e moderatore del governo nei conflitti di classe).

La morte di Tito e la successiva caterva di speculazioni apparsa sui mass-media occidentali sul possibile futuro della Yugoslavia ripropone la vecchia e controversa questione del ruolo dell'individuo nello sviluppo socio-storico. In questo articolo si discute di quanto potrà accadere nella Yugoslavia senza-Tito, tenendo ben presenti le contraddizioni interne ed internazionali della società yugoslava. Ci tengo a precisare che queste contraddizioni non sono nuove, ma risalgono in gran parte alla presidenza di Tito, e in misura minore anche a prima. Se la Yugoslavia dovesse soccombervi ora, vorrebbe dire che la leadership di Tito era praticamente indispensabile per mandare avanti l'intera società, e che dunque in certi casi (come appunto quello yugoslavo) la società si basa esclusivamente su di un individuo e non viceversa (o comunque con entrambe queste interazioni).
Senza voler passare sotto silenzio il ruolo dell'individuo nella storia, e nella fattispecie il ruolo di Tito nella storia della Yugoslavia, cercherò di opporre a questa concezione estremamente elitaria e semi-religiosa alcuni fatti, tentando un'analisi della società yugoslava che possa fornire una o più risposte sulla citata domanda sul futuro di questo paese senza Tito. A tal fine debbo sinteticamente analizzare le contraddizioni storiche, sociali, nazionali ed economiche, nonché la posizione geo-politica e le possibili basi per un ulteriore sviluppo.
La Yugoslavia è stata fondata alla fine della prima guerra mondiale sulla base di varie entità nazionali e politiche: la parte meridionale dell'Austria-Ungheria abitata da sloveni, croati, serbi, musulmani e ungheresi (oggi si chiamano rispettivamente: Slovenia, Croazia, Bosnia-Erzegovina e Voivodina); il regno della Serbia abitato da serbi, macedoni albanesi e turchi (oggi Serbia, Macedonia e Kosovo); e dal regno del Montenegro abitato da montenegrini e albanesi. Vi erano anche altre nazionalità: rumeni, tedeschi, slovacchi, ebrei, italiani, austriaci, zigani, russi, ecc.. Le zone settentrionali ed occidentali erano più sviluppate, con un po' d'industria e d'urbanizzazione. La maggioranza della popolazione era composta da contadini, perlopiù poveri ed analfabeti. I lavoratori dell'industria, gli studenti e gli intellettuali non erano molti, la borghesia era debole e scarsamente preparata a governare il paese. La questione nazionale non veniva riconosciuta, né tanto meno risolta, e tutte le nazionalità erano costrette a rinunciare alla loro identità: i macedoni erano considerati serbi del sud, il montenegrini semplicemente serbi, gli albanesi ed i musulmani non erano considerati per niente. Le uniche tre nazionalità ufficialmente riconosciute erano i serbi, i croati e gli sloveni. Per tutta la durata del Regno di Yugoslavia la questione delle nazionalità non è mai stata risolta. Anche il partito comunista e tutti i sindacati erano al bando.
Quando nel marzo '41 il governo monarchico (composto dalla coalizione delle forze borghesi serbo-croate) si schierò con l'asse nazi-fascista, vi furono imponenti manifestazioni popolari, spontanee, contro il fascismo. Sotto questa pressione popolare, alcuni generali filo-occidentali fecero un colpo di stato, ruppero l'alleanza con l'asse ed iniziarono a preparare il paese alla guerra. Il 6 aprile la Yugoslavia venne attaccata e sconfitta dalle soverchianti forze dell'asse: il suo territorio venne spartito tra Germania, Italia, Ungheria e Bulgaria, mentre in Croazia e in Bosnia-Erzegovina venne installato il cosiddetto Stato indipendente di Croazia, sotto il controllo degli ustascia (fascisti). I grandi massacri di serbi, ebrei, zigani, comunisti e altri patrioti fece scoppiare poderose insurrezioni non solo in Croazia, ma anche in Serbia e Montenegro. In quel momento i comunisti yugoslavi erano l'unica forza organizzata di una certa consistenza, e rapidamente assunsero la leadership di quei moti spontanei, scoppiati anche altrove.
Il ruolo di Tito in quei momenti incerti fu molto importante e nessuno potrebbe negarlo: egli espresse la volontà dei settori più coraggiosi ed amanti della libertà dell'intera società, ma - pur segretario del partito comunista - non scatenò l'insurrezione senza il popolo, per il popolo o prima del popolo: egli volle agire con il popolo. Negli anni successivi il movimento si allargò e così pure si rinforzò il ruolo dominante del partito comunista. Tito divenne il Comandante in capo, quindi il Maresciallo di un esercito che allora contava su 300.000 uomini, ed alla fine della guerra su ben 800.000. I 300.000 partigiani erano volontari, perlopiù non iscritti al P.C.: Tito vinse con loro, non per loro. Essi infatti erano combattenti pieni di iniziativa, che spesso combattevano indipendentemente, non certo coscritti che si fermano e aspettano dall'alto l'ordine di combattimento.
Dopo la guerra Tito respinse i tentativi staliniani di soggiogare la Yugoslavia, ma Stalin non avrebbe potuto esser respinto da un sol uomo: sarebbe assurdo il sostenerlo. Il ruolo del P.C. nell'introduzione dell'autogestione in campo industriale ed in altri settori è innegabile, ma certo sarebbe rimasto lettera morta senza l'approvazione ed il sostegno attivo della maggioranza della gente. Il sostegno all'autogestione costituisce una sorta di critica dell'ideologia e delle pratiche staliniste portate avanti prima dal P.C. stesso. E qui salta fuori la contraddizione basilare della società yugoslava: a causa della sua posizione sociale e del suo ruolo politico, la dirigenza del P.C. ha sviluppato una natura dualistica, trovandosi ad essere contemporaneamente l'élite sociale dominante e l'avanguardia politica rivoluzionaria. Come élite sociale dominante ha i suoi interessi, differenti e spesso contrapposti a quelli dei lavoratori, mentre come avanguardia politica o rivoluzionaria dovrebbe agire nel loro interesse. Questa contraddizione attraversa l'intera società, richiedendo e addirittura imponendo virate politiche a destra o a sinistra.
Nel contempo la società ha sviluppato un'economia squilibrata ma diversificata che ha radicalmente trasformato la società, facendo diminuire la percentuale di disoccupati nell'agricoltura a tutto vantaggio della crescente popolazione urbana (lavoratori e classi medie). Le classi medie composte dagli impiegati dello stato e della burocrazia di partito, dagli intellettuali, dai piccoli proprietari e dai professionisti, i cui interessi sono contrapposti a quelli dei lavoratori. Il sistema dell'autogestione, secondo il quale i dipendenti decidono da soli sui salari, ha introdotto questa contraddizione in ogni industria, in ogni istituzione sociale e politica. A livello dell'intera società questa contraddizione non è vissuta come una lotta sociale a causa della natura stessa del sistema politico, bensì come una lotta ideale nella quale sono impegnati alcuni strati intellettuali e la burocrazia dello stato e del partito. Questi due diversi livelli e tipi di lotta esistono da molto tempo e continueranno ad esistere finché i lavoratori ed altri gruppi sociali continueranno ad essere svantaggiati, mentre altri sono privilegiati. Ma queste contraddizioni non sembrano così profonde ed acute da mettere in crisi il sistema, dal momento che vi sono ampi spazi nel sistema stesso per attutire temporaneamente, ed anche a lungo termine. La sola seria opposizione a questo sistema di privilegi e gerarchie è stato il momento degli studenti nel '68, che durò poco e che apertamente non trova oggi eredi diretti. Una parte degli intellettuali che allora ebbero rapporti con il movimento non esercita al giorno d'oggi alcuna influenza significativa. È quindi realistica la previsione che queste diseguaglianze non provocheranno nessuna seria sollevazione popolare, se l'élite dominante saprà - come appare probabile - svolgere un ruolo equilibratore fra i vari interessi sociali ed economici.
Negli ultimi dieci anni le sei repubbliche e le due province autonome che costituiscono la Yugoslavia hanno sviluppato tutti gli attributi statali, eccezion fatta solo per l'esercito, la politica estera e la posta. Sono così soddisfatte le richieste che in passato erano appannaggio dei nazionalisti, e nello stesso momento sono in gran parte annullate le preoccupazioni riguardo le "antiche rivalità etniche" (Newsweek, 12 maggio 1980, pag. 34) e la "tradizionale ostilità tra serbi e croati" (Time, 19 maggio 1980, pag. 15), dal momento che le contraddizioni nazionali si sono formate nel corso dello sviluppo storico e potranno scomparire solo alla scomparsa delle cause che le hanno prodotte. In questa direzione molto è stato fatto e ancora può essere fatto all'interno del sistema, che così diminuisce le minacce alla sua sopravvivenza e al tempo stesso a quella della Ygoslavia.
I problemi economici della Yugoslavia sono molti e complessi: l'inflazione è molto alta (più del 25%), la disoccupazione anche (più del 10%), il deficit commerciale ha superato i 6 miliardi di dollari, mentre i debiti con l'estero superano i 13 miliardi di dollari. La struttura dell'economia è squilibrata (con un immenso deficit nelle materie prime e nell'energia), e ci sono anche differenti stadi di sviluppo, che causano contraddizioni tra nord e sud. Il governo federale sta investendo massicciamente al sud, che appunto è meno sviluppato, con l'obiettivo di incrementare lo sfruttamento delle sue ricche risorse naturali (materie prime, energia e un po' di agricoltura). I salari in Yugoslavia non sono bloccati per legge, ma i prezzi aumentano colpendo sempre per primi gli strati inferiori. Debbo dire che non è assolutamente vero quanto sostenuto nel citato articolo di Time, che cioè "i lavoratori con il sistema dell'autogestione si sono decretati aumenti di paga inevitabilmente inflazionistici": la verità è che quel giornale tenta di denunciare l'autogestione operaia come fonte della crisi economica, mentre è vero soprattutto l'opposto, che cioè sono le classi medie e alte a fissarsi paghe troppo alte. È interessante notare che Newsweek (19 maggio 1980, pag.13) si serve della stessa logica quando auspica che "un certo grado di pianificazione e di controllo deve essere introdotto", ma è ancora più interessante sottolineare il fatto che questa stessa argomentazione viene usata dagli stalinisti per attaccare l'autogestione come inefficace e caotica (loro dicono "anarchica"). Ma allora come mai sia all'est che all'ovest vi sono gli stessi problemi? Forse anche nei loro paesi gli è scappata, senza che se ne accorgessero, un po' di autogestione?
Newsweek cade proprio nell'isteria - ma mente - quando scrive che "nei Centroproms di proprietà governativa, cioè nella catena nazionale di negozi alimentari, il burro e il latte hanno cominciato a scarseggiare negli ultimi mesi" e che "la mancanza di benzina ha provocato lunghe file ai distributori": in Yugoslavia, infatti, non ci sono negozi di proprietà statale o altre cose simili, inoltre i problemi relativi al burro e al latte derivano dai bassi prezzi offerti ai contadini e dalle speculazioni di alcuni intermediari commerciali che aspettano prezzi più alti e non derivano invece dalla sottoproduzione; è inoltre falso che vi siano state code ai distributori per mancanza di benzina o altri carburanti. Non vorrei che Newsweek avesse confuso le lunghe file americane dell'ultimo periodo con quelle yugoslave (inesistenti), e mi meraviglio che invece non abbia riferito della mancanza di caffè, durata a lungo e per me particolarmente scocciante (e pare stia cominciando di nuovo!), dovuta al blocco delle importazioni e alle speculazioni finanziarie di alcuni individui (contro la stessa legge e per questo puniti). Forse non ha riferito di ciò, perché il caffè non è una questione abbastanza importante per un paese in crisi? O forse perché si inventano le informazioni e basta?
In ogni caso, passiamo all'ultimo punto da esaminare, relativo alla posizione geo-politica della Yugoslavia. È evidente che si tratta di una posizione tra i due blocchi, come quella della Finlandia o dell'Austria, ma nessuno specula sulla possibile entrata dei russi in questi due paesi neutrali. Che cosa c'è allora di speciale nel caso yugoslavo? La Finlandia non aggiungerebbe alcun ulteriore sbocco ai mari caldi che la Russia non abbia già, mentre l'Austria non offrirebbe nessun tipo di sbocco del tutto: la Yugoslavia invece sì. La Finlandia e l'Austria sono nazioni neutrali pro-occidentali, mentre la Yugoslavia non lo è. Ed infine la Yugoslavia costituisce un esempio poco piacevole (a loro avviso) per i satelliti della Russia. Tutto calza a pennello, se non fosse che tutto ciò dura già da oltre trent'anni: l'unica differenza rispetto a prima è che ora Tito è morto. È sufficiente questo fatto perché i russi invadano un paese che non è né la Finlandia né l'Austria, ma nemmeno l'Afghanistan o la Cambogia? È difficile pensarlo. E allora perché tutta questa propaganda nei paesi occidentali? Forse perché gli spiriti umanitari delle multinazionali nutrono timori riguardo a quel 51% che spetta alla Yugoslavia in caso di investimenti comuni nell'economia yugoslava, oppure forse vogliono aiutare il turismo yugoslavo quest'estate, oppure semplicemente vogliono difendere la Yugoslavia dal totalitarismo russo, difendendo al contempo l'autogestione e il non-allineamento - nel loro interesse? Ma la Yugoslavia non è nemmeno la Somalia. D'altro canto i russi devono sapere che la Yugoslavia non è la Cecoslovacchia e che Belgrado non è Budapest.
Ma, come dicevo, la Yugoslavia non è certo priva di contraddizioni e di punti deboli. La più grave è la stratificazione sociale rafforzata dalla quotidiana lotta delle classi medie per sempre maggiori privilegi ai danni dei lavoratori, spesso con il consenso e le pressioni politiche dell'élite dominante dall'alto della gerarchia. Questa contraddizione mantiene e consolida le altre, ma è difficilmente evitabile a livello di una singola società. In ogni caso può essere attutita, come ho detto, dedicando maggiore attenzione alla posizione dei lavoratori e dei gruppi sfruttati a tutto vantaggio delle classi medie e alte, il che è possibile nel contesto dell'autogestione, semplicemente dando meno appoggio politico da parte dello stato e del partito alle richieste delle classi medie: ciò provocherebbe maggiore distensione in altri campi e rafforzerebbe la coesione delle forze sociali rafforzando al contempo la stessa autogestione. Si potrà farlo nel prossimo futuro? Si potrebbe, anche facilmente, se si mettessero al loro giusto posto le preoccupazioni da coccodrillo riguardo al destino della Yugoslavia. La continua sequela di spettacoli con i quali la gente è distratta da ciò che veramente dovrebbe preoccuparla: le loro stesse classi dirigenti ed i loro stati che li portano da uno spettacolo all'altro, finché saranno pronti per lo spettacolo finale nel quale difficilmente ci saranno spettatori o sopravvissuti per raccontarlo. Ecco ciò che mi preoccupa.