Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 10 nr. 84
giugno 1980 - luglio 1980


Rivista Anarchica Online

Questi piccoli grandi messaggi
di Piero Flecchia

Nell'ultimo numero di "A" due felici (a mio giudizio) interventi, hanno sollevato un problema intorno al quale mi sembra valga la pena di aprire un dibattito attento, perché problema che ne illumina molti altri e, chiarito il quale, possono discendere cospicue linee di azione pratica.
Quello che fa problema negli articoli di Gabriele R. Il sesso al collo, e Jean Jacques Lebel Desiderio di schiavitù è finalmente non una vuota astrazione, un'ombra, ma la nostra concreta persona fisica: il suo riconoscersi nel contatto con gli altri: il modo di rappresentarsi, e quindi il viversi della fisicità della figura umana nei nessi societari.
In Lebel il grado di astrazione ha già raggiunto un livello alto, per cui nelle sue tesi è già contenuta una implicita risposta: egli sottolinea il "desiderio di schiavitù", che esisteva già prima dell'avvento del monoteismo giudeo-cristiano, e fin da prima dell'avvento delle società capitalistiche private o di stato. Lebel scrive: "Già al tempo di Solone l'istituzione prostitutiva era il prototipo dell'Uno (famiglia, chiesa, partito, scuola, fabbrica...), il prototipo dell'organizzazione sociale razionalizzata all'esterno (ma forse proporrei come più attendibile una traduzione dell'all'esterno in dall'esterno), taylorizzata secondo il principio del rendimento o della redditività. Il corpo prostituito... è il robot ideale... o più socialmente redditizio". La tesi di Lebel è seducente: egli individua, e ci fa vedere, una sorta di struttura immobile: che attraversa le varie mutazioni culturali, sempre incatenando l'uomo a un sistema di dominazione profonda, le cui rappresentazioni storiche: sistema schiavistico, feudale, capitalista, sono solo le rappresentazioni contingenti, le forme culturali di un oscuro ma reale desiderio di prostituzione-sottomissione. Per comprendere il ragionamento di Lebel occorre innanzitutto aver chiaro che il concetto di "desiderio" è completamente altra cosa rispetto al concetto di istinto. Il desiderio è sempre culturale. È il tipo di cultura che istituisce non solo le forme del desiderio, ma innanzitutto il qualitativo del desiderare. D'altra parte, separare la forma (sempre culturale) del desiderio, da un sub-strato profondo, da una radice naturale, è operazione tecnicamente impossibile. Svolta logicamente, la tesi di Lebel fa emergere un atteggiamento totalmente negativo davanti al processo di incivilimento. Comprendiamo che altri sono gli intendimenti dell'autore, ma solo spingendo alle estreme conseguenze la logica immanente di un ragionamento possiamo comprenderne la portata conoscitiva. Anche affermazioni del tipo: "Il corpo prostituito... è il robot ideale... più socialmente redditizio" confermano la nostra deduzione. Dal punto di vista della società l'optimum è la condizione del corpo prostituito, perché tale corpo è il "più socialmente redditizio".
Dunque il "Desiderio di prostituzione" è la condizione necessaria affinché la società si muova al meglio: non le società del dominio, ma tutte le società. E questa affermazione contiene un insegnamento decisivo, già rilevato da Clastres: perché si abbia una società soddisfacente occorre che tutto sia dato alla società. Che ogni uomo appartenga senza riserve alla società. Il conformismo della società selvaggia è questo e solo questo: l'assoluto corpo prostituito. Se così stanno le cose, noi possiamo vedere nei sistemi della dominazione a un tempo il momento che insegna a leggere il meccanismo sociale nella sua reale struttura, e il desiderio-capacità da parte di minoranze attive di sottrarsi al movimento generale di prostituzione al sociale per collocarsi altrove: nella libertà.
Per sviluppare la sua seducente e ingegnosa tesi Lebel ha dovuto tralasciare un punto capitale: gli uomini in società stanno non secondo una nuda somma aritmetica dei loro talenti, ma secondo un prodotto: le loro forze, nel combinarsi, si moltiplicano. È la battuta di tutte le coppie di grandi comici: "Tu sei uno e io sono zero, ma assieme siamo 10". Quello che alcuni vogliono leggere come un universale conformismo è invece un momento di potenziamento dell'umano, nel suo reciproco interconnettersi, la cui nostalgia-desiderio traspare con grande forza dalle affermazioni di Gabriele R., quando scrive: "Guardate la gente sui tram come si contorce, come si dimena si ritrae attratta e respinta dal desiderio-paura di sentire il contatto di un altro corpo, sentire il suo calore, la sua elasticità: sentire la concretezza degli altri". Ma, contro questo movimento impulsivo sta: "...il non si può, il non sta bene..." per cui: "Non riesco più a capire se i desideri e le pulsioni sono la voce reale o solo un grugnito distorto...". Ma che cosa sono, da dove provengono i "non si può", i "non sta bene"?
"A misura che il bambino impara la sua lingua, ossia impara i codici specifici che regolano i suoi atti verbali, egli impara in pari tempo le esigenze della struttura sociale cui appartiene. Sotto ogni aspetto, ogni volta che il bambino parla la struttura sociale di cui egli fa parte si rafforza in lui, e la sua identità si evolve e si delimita. La struttura sociale diventa la vera realtà psicologica del bambino.... A monte dello schema linguistico generale del bambino ci sono scelte preliminari, preferenze prefissate per l'una o l'altra alternativa, iniziative programmatiche che si sviluppano e si sono stabilizzate nel tempo: insomma, un principio di codificazione, da cui traggono orientamento gli stimoli sociali, intellettuali ed emotivi...". (B. Bernstein, Classi sociali e psico-terapia, in British Journal of Sociology, 1964, XV).
Le radici della dominazione sono là: "A misura che il bambino impara..." e molto profonde e tenaci, perché ha ragione Lebel: "Ben prima dell'avvento del monoteismo...". Il corpo prostituito è il risultato "culturale" di una serie di divieti, contro i quali veementemente Gabriele R. leva la sua protesta, sottolinea la protesta di tutti, la tendenza opposta. Ma all'origine di questi divieti, a mio giudizio, non c'è alcun calcolo malizioso, bensì una necessaria codificazione dei processi sociali, per ottenere una più efficace collaborazione sociale: quello che, cedendo alla pressione dei codici della dominazione, il Lebel chiama: "più socialmente redditizio". In questi codici di cooperazione e riproduzione del sociale accede poi una sorta di scambio di valori, per cui regole introdotte per tutelare il più debole (come il tabù dell'incesto che all'origine protegge la figlia dal padre, il figlio dalla madre, il fratello minore dal maggiore) questi divieti diventano gli strumenti della dominazione. Per rimanere nell'ambito del ragionamento svolto da Lebel, il corpo prostituito, perché emerga come tale, occorre innanzitutto che il codice sociale produca un gruppo o una persona sottratta al generale movimento di "prostituzione", al generale darsi nel sociale, per far passare quella o quelle persone dalla parte di chi sottrae, e proprio sottraendosi ottiene. E il meccanismo si fa trasparente in molte relazioni amorose, dove uno dei due si sottrae, così acquistando potere sull'altro; un potere che può arrivare a vero e proprio dominio interpersonale. Tale meccanismo, clamoroso nei rapporti sessuali: perché immediatamente evidente, chiarisce un nesso sociale generale, sempre possibile, sempre immanente, non solo nei rapporti interpersonali, ma nei rapporti sociali generali. Ora, i nostri codici linguistici educativi procedono pericolosamente nella direzione di un sistematico rafforzamento di tale tipo di rapporti, per automatismi appresi fin dalla prima infanzia: dalla età dei perché.
Vede quindi giusto e profondo Gabriele R., quando scrive: "È molto più importante scoprire come sia facile comunicare attraverso piccoli messaggi, che attraverso l'urlo sconclusionato di un orgasmo con tutti i suoi problemi di possessori e posseduti, di danti e riceventi...". È infatti attraverso tanti piccoli messaggi apparentemente neutri che il sistema della dominazione plasma il linguaggio a lui adeguato: che culmina con il mito dell'amplesso come grande rivolta scatologica corporale. La qual riflessione ci porta immediatamente a ridosso del nudo esistente nel qui e ora: la funzione decisiva, in chiave rivoluzionaria, del contrapporsi diuturnamente ai microprocessi della dominazione: che si riduplica e rafforza incessantemente anche alimentando il sogno della grande rivoluzione: le radiose giornate, omologo della grande chiavata. Esiste insomma un necessario isomorfismo tra forme della dominazione e linguaggi del corpo: uso sociale del corpo, che si cerca accortamente di eludere. E il fenomeno si fa evidente quando si denuncia queste ricerche e riflessioni come "fuga nel privato".