Rivista Anarchica Online
Questi piccoli grandi messaggi
di Piero Flecchia
Nell'ultimo numero di "A" due felici (a mio giudizio) interventi, hanno sollevato un problema
intorno al quale mi sembra valga la pena di aprire un dibattito attento, perché problema che ne
illumina molti altri e, chiarito il quale, possono discendere cospicue linee di azione pratica. Quello che fa
problema negli articoli di Gabriele R. Il sesso al collo, e Jean Jacques Lebel
Desiderio di schiavitù è finalmente non una vuota astrazione, un'ombra, ma la nostra
concreta
persona fisica: il suo riconoscersi nel contatto con gli altri: il modo di rappresentarsi, e quindi il
viversi della fisicità della figura umana nei nessi societari. In Lebel il grado di astrazione ha già
raggiunto un livello alto, per cui nelle sue tesi è già
contenuta una implicita risposta: egli sottolinea il "desiderio di schiavitù", che esisteva
già prima
dell'avvento del monoteismo giudeo-cristiano, e fin da prima dell'avvento delle società
capitalistiche private o di stato. Lebel scrive: "Già al tempo di Solone l'istituzione prostitutiva era
il prototipo dell'Uno (famiglia, chiesa, partito, scuola, fabbrica...), il prototipo dell'organizzazione
sociale razionalizzata all'esterno (ma forse proporrei come più attendibile una traduzione
dell'all'esterno in dall'esterno), taylorizzata secondo il principio del rendimento o della
redditività. Il corpo prostituito... è il robot ideale... o più socialmente redditizio". La tesi di
Lebel
è seducente: egli individua, e ci fa vedere, una sorta di struttura immobile: che attraversa le varie
mutazioni culturali, sempre incatenando l'uomo a un sistema di dominazione profonda, le cui
rappresentazioni storiche: sistema schiavistico, feudale, capitalista, sono solo le rappresentazioni
contingenti, le forme culturali di un oscuro ma reale desiderio di prostituzione-sottomissione. Per
comprendere il ragionamento di Lebel occorre innanzitutto aver chiaro che il concetto di
"desiderio" è completamente altra cosa rispetto al concetto di istinto. Il desiderio è sempre
culturale. È il tipo di cultura che istituisce non solo le forme del desiderio, ma innanzitutto il
qualitativo del desiderare. D'altra parte, separare la forma (sempre culturale) del desiderio, da un
sub-strato profondo, da una radice naturale, è operazione tecnicamente impossibile. Svolta
logicamente, la tesi di Lebel fa emergere un atteggiamento totalmente negativo davanti al
processo di incivilimento. Comprendiamo che altri sono gli intendimenti dell'autore, ma solo
spingendo alle estreme conseguenze la logica immanente di un ragionamento possiamo
comprenderne la portata conoscitiva. Anche affermazioni del tipo: "Il corpo prostituito... è il
robot ideale... più socialmente redditizio" confermano la nostra deduzione. Dal punto di vista
della società l'optimum è la condizione del corpo prostituito, perché tale corpo è il
"più
socialmente redditizio". Dunque il "Desiderio di prostituzione" è la condizione necessaria
affinché la società si muova al
meglio: non le società del dominio, ma tutte le società. E questa affermazione contiene un
insegnamento decisivo, già rilevato da Clastres: perché si abbia una società soddisfacente
occorre
che tutto sia dato alla società. Che ogni uomo appartenga senza riserve alla società. Il
conformismo della società selvaggia è questo e solo questo: l'assoluto corpo prostituito. Se
così
stanno le cose, noi possiamo vedere nei sistemi della dominazione a un tempo il momento che
insegna a leggere il meccanismo sociale nella sua reale struttura, e il desiderio-capacità da parte
di minoranze attive di sottrarsi al movimento generale di prostituzione al sociale per collocarsi
altrove: nella libertà. Per sviluppare la sua seducente e ingegnosa tesi Lebel ha dovuto tralasciare un
punto capitale: gli
uomini in società stanno non secondo una nuda somma aritmetica dei loro talenti, ma secondo
un
prodotto: le loro forze, nel combinarsi, si moltiplicano. È la battuta di tutte le coppie di grandi
comici: "Tu sei uno e io sono zero, ma assieme siamo 10". Quello che alcuni vogliono leggere
come un universale conformismo è invece un momento di potenziamento dell'umano, nel suo
reciproco interconnettersi, la cui nostalgia-desiderio traspare con grande forza dalle affermazioni
di Gabriele R., quando scrive: "Guardate la gente sui tram come si contorce, come si dimena si
ritrae attratta e respinta dal desiderio-paura di sentire il contatto di un altro corpo, sentire il
suo calore, la sua elasticità: sentire la concretezza degli altri". Ma, contro questo movimento
impulsivo sta: "...il non si può, il non sta bene..." per cui: "Non riesco più a
capire se i desideri e
le pulsioni sono la voce reale o solo un grugnito distorto...". Ma che cosa sono, da dove
provengono i "non si può", i "non sta bene"? "A misura che il bambino impara la sua lingua, ossia
impara i codici specifici che regolano i
suoi atti verbali, egli impara in pari tempo le esigenze della struttura sociale cui appartiene.
Sotto ogni aspetto, ogni volta che il bambino parla la struttura sociale di cui egli fa parte si
rafforza in lui, e la sua identità si evolve e si delimita. La struttura sociale diventa la vera realtà
psicologica del bambino.... A monte dello schema linguistico generale del bambino ci sono scelte
preliminari, preferenze prefissate per l'una o l'altra alternativa, iniziative programmatiche che si
sviluppano e si sono stabilizzate nel tempo: insomma, un principio di codificazione, da cui
traggono orientamento gli stimoli sociali, intellettuali ed emotivi...". (B. Bernstein, Classi sociali
e psico-terapia, in British Journal of Sociology, 1964, XV). Le radici della dominazione
sono là: "A misura che il bambino impara..." e molto profonde e
tenaci, perché ha ragione Lebel: "Ben prima dell'avvento del monoteismo...". Il corpo
prostituito
è il risultato "culturale" di una serie di divieti, contro i quali veementemente Gabriele R. leva la
sua protesta, sottolinea la protesta di tutti, la tendenza opposta. Ma all'origine di questi divieti, a
mio giudizio, non c'è alcun calcolo malizioso, bensì una necessaria codificazione dei processi
sociali, per ottenere una più efficace collaborazione sociale: quello che, cedendo alla pressione
dei codici della dominazione, il Lebel chiama: "più socialmente redditizio". In questi codici
di
cooperazione e riproduzione del sociale accede poi una sorta di scambio di valori, per cui regole
introdotte per tutelare il più debole (come il tabù dell'incesto che all'origine protegge la figlia dal
padre, il figlio dalla madre, il fratello minore dal maggiore) questi divieti diventano gli strumenti
della dominazione. Per rimanere nell'ambito del ragionamento svolto da Lebel, il corpo
prostituito, perché emerga come tale, occorre innanzitutto che il codice sociale produca un
gruppo o una persona sottratta al generale movimento di "prostituzione", al generale darsi nel
sociale, per far passare quella o quelle persone dalla parte di chi sottrae, e proprio sottraendosi
ottiene. E il meccanismo si fa trasparente in molte relazioni amorose, dove uno dei due si sottrae,
così acquistando potere sull'altro; un potere che può arrivare a vero e proprio dominio
interpersonale. Tale meccanismo, clamoroso nei rapporti sessuali: perché immediatamente
evidente, chiarisce un nesso sociale generale, sempre possibile, sempre immanente, non solo nei
rapporti interpersonali, ma nei rapporti sociali generali. Ora, i nostri codici linguistici educativi
procedono pericolosamente nella direzione di un sistematico rafforzamento di tale tipo di
rapporti, per automatismi appresi fin dalla prima infanzia: dalla età dei perché. Vede quindi
giusto e profondo Gabriele R., quando scrive: "È molto più importante scoprire
come sia facile comunicare attraverso piccoli messaggi, che attraverso l'urlo sconclusionato di
un orgasmo con tutti i suoi problemi di possessori e posseduti, di danti e riceventi...". È infatti
attraverso tanti piccoli messaggi apparentemente neutri che il sistema della dominazione plasma
il linguaggio a lui adeguato: che culmina con il mito dell'amplesso come grande rivolta
scatologica corporale. La qual riflessione ci porta immediatamente a ridosso del nudo esistente
nel qui e ora: la funzione decisiva, in chiave rivoluzionaria, del contrapporsi diuturnamente ai
microprocessi della dominazione: che si riduplica e rafforza incessantemente anche alimentando
il sogno della grande rivoluzione: le radiose giornate, omologo della grande chiavata. Esiste
insomma un necessario isomorfismo tra forme della dominazione e linguaggi del corpo: uso
sociale del corpo, che si cerca accortamente di eludere. E il fenomeno si fa evidente quando si
denuncia queste ricerche e riflessioni come "fuga nel privato".
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