Rivista Anarchica Online
La scienza dei padroni
di R. Brosio
Un discorso che dall'inutilità della gara spaziale si allarga ai contenuti di classe della scienza
Due lettere, ricevute mi inducono a ritornare sull'argomento dei lanci
spaziali e del loro significato. La
prima, da Roma, è del compagno e collaboratore di "A" Guido Montana, la seconda viene da
Pisa a firma
(se leggo bene) del Sig. Emilio Celiandro.
Cari compagni, leggo su "A" la lettera dello studente di fisica Roberto
Flaibani su "i faraoni che vanno sulla luna" e
la risposta del compagno Brosio. Non vi nascondo le mie perplessità. Da un atteggiamento
troppo
fideistico, mistico, nei confronti della scienza e della tecnologia si passa, col compagno Brosio, al
rifiuto non solo delle conquiste spaziali volute dalla tecnoburocrazia, ma perfino del concetto - in
sé
ineccepibile - di ricerca e di conoscenza cosmica. Quando egli infatti contesta a Flaibani
l'utilità di
andare sulla Luna, la necessità di "conquistare" lo spazio, per ottenere risultati tecnici e scientifici
utili
anche all'uomo sulla terra (la miniaturizzazione dei computers, la scoperta di nuove leghe di metalli,
ecc.), inavvertitamente tocca un tasto dolente e di grande importanza: il problema della ricerca e della
scoperta disinteressata. Non entro qui nel merito della polemica, se sia
oggi opportuno effettuare imprese costosissime per
scopi di prestigio e di potenza tecnico-militare. La risposta sarebbe troppo facile. Ma proprio
perché
la nostra posizione sul problema è lineare, non sentirei di avallare ogni settarismo di carattere
obbiettivamente antiscientifico. Innanzitutto contesto la compiacenza letteraria di certi titoli ad effetto,
come "I Faraoni vanno sulla Luna". Non è, oltre tutto, ideologicamente coerente ed è
impreciso. È
sempre superficiale istituire paragoni storici disarmonici e remoti, per amore di accostamenti
inevitabilmente retorici. Paragonare le conquiste spaziali alle piramidi è solo una battuta ad
effetto.
Le piramidi erano non solo la di glorificazione del potere delle caste privilegiate, ma anche e
soprattutto un modo di rendere tangibile e perpetuare il mistero soprannaturale per scopi religiosi e
di classe, di religione in quanto oppressione di classe. La scienza spaziale, invece, pur asservita alla
tecnoburocrazia, è obiettivamente antireligiosa, poiché allontana dalla psiche umana l'idea
del
soprannaturale. Non vorrei essere frainteso: non dico affatto che oggi il problema
più urgente sia di "conquistare lo
spazio". Sottolineo solo una questione di misura e di obiettività scientifica e ideologica. Dopotutto
è
incongruente valutare quanto si spende per le conquiste spaziali, quando poi non si fa nulla per
impedire la produzione - per esempio - delle inutili, costosissime automobili fuori serie, quando poi
la società consumistica spreca tanto danaro nella produzione di oggetti superflui che ne
avanzerebbe,
e per conquiste spaziali e per risolvere il problema della fame su questa terra. Per non dire delle
enormi, vergognose spese militari. È chiaro che le classi al potere, la
tecnoburocrazia, il capitalismo di stato, fanno il loro gioco e tentano
- tenteranno sempre - di utilizzare e asservire la tecnica e la scienza. Ma questo che significa?
Vogliamo forse dimenticare che l'uomo non vive di solo pane e che tutta l'evoluzione della specie fu
data dalla curiosità speculare e scientifica? Vogliamo forse rinunciare alla conoscenza - anche
riguardo al futuro - solo perché può essere utilizzata a fini di potere e di classe? Il
problema non è di
rinunciare alle conquiste scientifiche e tecnologiche, ma di distruggere il potere che ora le guida e
l'utilità politico-economica. Questa è la vera questione; il resto non
è che i piagnisteo populista che assegna all'uomo un destino
che non dovrebb'essergli congeniale: quello della rinuncia e della ristrettezza mentale. Conoscere, non
significa solo capire quello che può essere utile, ma anche imparare ciò che ci piace:
l'arte, la scienza,
la vita. Se domani ci farà piacere saperne di più sull'universo, perché il compagno
Brosio vorrebbe
negarcelo? Siamo anarchici anche per questo. Guido Montana
Caro Brosio, La risposta che ha dato a R. Flaibani è superficiale,
nulla posso dire del suo articolo "I faraoni vanno
sulla luna" perché non l'ho letto. 1) Innanzitutto appoggio pienamente tutto
quello che ha detto R. Flaibani. 2) Che ci importa se per il momento quella scienza
è in mano agli invasori del Vietnam o della
Cecoslovacchia? Io studio Scienza della Informazione e domani avrò a che
fare con quei maledetti computers che solo
per lo stimolo dei programmi spaziali hanno raggiunto l'attuale grado di perfezionamento, (e così,
glielo dico io che me ne intendo). L'importante, secondo me, è che a costruire
i modelli matematici per i computers (mi limito a questo
esempio) domani siano persone come me: rivoluzionarie e proletarie. Spiego con un
esempio cos'è un modello matematico: le attuali previsioni meteorologiche si fanno su
modelli matematici, cioè si trasformeranno in equazioni stati attuali dell'atmosfera, al variare di
una
o più variabili si sa come sarà il tempo dopo qualche giorno. I modelli naturalmente sono
applicati
anche nei processi produttivi nelle fabbriche per scopi più o meno disumanitari. Presto i
matematici
e gli informatici in particolare saranno in grado di costruire modelli della personalità umana, per
mezzo dei quali, ad esempio, partendo da dati iniziali sulla cultura di una persona o di un insieme di
persone, si potrà sapere se dopo un certo tempo quella persona tenderà a destra oppure
sarà un
comunista. Lo stesso suo discorso sugli egiziani mi dà ragione: ce ne frega
poco se le piramidi furono costruite
per scopi religiosi: la matematica e la geometria di oggi che allo stato embrionale era nelle mani dei
Faraoni ora la usano anche i cinesi (tanto per fare un esempio coreografico). Emilio
Celiandro
Sono entrambe lettere di dissenso, e dal momento che riecheggiano obiezioni alle quali, in tutta
sincerità,
mi illudevo di aver già risposto esaurientemente, mi fanno pensare che il contrasto non verta
tanto sui
temi particolari dell'articolo "incriminato", ma su questioni più generali, di fondo, che stanno a
monte
dell'articolo medesimo. Cercherò quindi di chiarire tali questioni generali, la cui importanza, io
credo, va
al di là della polemica sulla gara spaziale. Sia Montana che Celiandro (e a suo tempo
Flaibani) parlano della scienza come di un valore assoluto,
"a sé", una sorta di strumento né buono né cattivo, che diventa buono o cattivo
a seconda soltanto dell'uso
che ne viene fatto. "È chiaro" dice Montana "che le classi al potere... tenteranno sempre di
utilizzare e
di asservire la tecnica e la scienza". E Celiandro: "Che ci importa se per il momento quella
scienza è in
mano agli invasori del Vietnam e della Cecoslovacchia?". Bene, ma in realtà le cose stanno assai
diversamente. La scienza non è soltanto momentaneamente posseduta, come un oggetto, dalle
varie classi
dirigenti, essa è più propriamente prodotta, fatta, dai vari gruppi che si
susseguono al potere, in stretto
rapporto con le loro caratteristiche e le loro esigenze. La scienza pura è un'astrazione, un luogo
comune
cui può anche essere comodo far riferimento, qualche volta, ma, purtroppo, non ha alcun
significato dal
punto di vista storico. Ogni classe genera la sua propria scienza, ed essa è, di volta in volta, a
seconda dei
casi, borghese, feudale, tecnocratica eccetera, e non può essere, come tale, che usata in modo
borghese,
feudale, tecnocratico, eccetera. È pur vero che ogni classe fa tesoro della cultura scientifica
accumulata
da quella che l'ha preceduta, ma solo di quella parte di essa che, obbiettivamente, è utile per
consolidare
e razionalizzare il tipo di potere che esercita. Gran parte della tecnica agronomica elaborata dalle
borghesie agricole greco-romane si perse quando il potere passò alle nobiltà feudali.
Quasi tutta la scienza
economica cosiddetta "classica" (teoria della rendita, formazione del prezzo, funzionamento dei mercati,
ecc.) formatasi in seguito all'ascesa delle borghesie commerciali, è oggi abbandonata come un
oggetto da
museo dai rappresentanti delle moderne tecnoburocrazie. Ogni epoca storica non differisce dalle
precedenti solo per il livello di cultura scientifica che la contraddistingue, ma anche (e in
gran parte) per
l'indirizzo che tale cultura prende, per le vecchie strade che vengono abbandonate e per
le nuove che
vengono intraprese. Anche i lanci spaziali, quindi, non sono una manifestazione della
"curiosità speculare e scientifica": più
correttamente, sono una manifestazione di quella particolare curiosità speculare e scientifica
propria delle
classi tecnoburocratiche che li realizzano, e in questa prospettiva vanno considerati. È tutto da
vedere se
distruggendo il potere che guida queste sedicenti conquiste scientifiche esse continuerebbero, come spera
Montana. È tutto da vedere, cioè, quale sarà la società senza classi,
senza monopolio del sapere, senza potere da
glorificare ed esaltare, che saprà spedire un razzo sulla luna senza bisogno di far ricorso alla
organizzazione verticale, alla divisione del lavoro, agli accordi politici e commerciali ad alto livello, alla
programmazione autoritaria, all'imposizione di direttive precise e a lunga scadenza a tutte
le strutture
produttive di un paese. Chi vuole, può anche non scandalizzarsi per le migliaia di miliardi che
vengono
spesi per aumentare di un millimetro cubo la nostra "conoscenza cosmica". Dovrebbe meditare un po'
di più, però, su cosa sta dietro a quei soldi, provare a chiedersi chi sono quelli che
possono permettersi
di spenderli, e come mai lo possono. Certo, le tecnoburocrazie amano presentare tutto ciò
come manifestazioni non di una particolare struttura
socio-economica, ma di una tendenza universale dell'uomo come tale. È storia vecchia. Qualche
secolo
fa, ad esempio, si facevano passare come scienza le disquisizioni sul sesso degli angeli o l'interpretazione
del pensiero di Aristotele, e si pretendeva che ogni nuova acquisizione in questo campo rappresentasse
un incalcolabile vantaggio per il genere umano. Oggi diciamo tranquillamente che ciò era il frutto
dell'immobilismo feudale e nessuno si scandalizza. Ma a quei tempi, Galileo, per aver sostenuto che era
più importante studiare la caduta dei gravi, finì davanti all'Inquisizione. Allo stesso
modo, oggi si tenta di dare per scontato che scopo della scienza sia il raggiungimento di una
conoscenza astratta e impersonale dell'universo che ci circonda, e si fa finta di credere che l'uomo non
abbia mai aspirato che a questo, che non abbia mai avuto in testa altro concetto di scienza che questo.
Ma si dimentica che solo sessant'anni fa la scienza aveva ancora un carattere esclusivamente applicativo,
e ricerca scientifica significava solo ricerca di nuove tecniche di produzione, nuovi materiali, nuovi beni
di consumo, e tutto con uno scopo ben preciso: vendere e incassare profitti. Questo tanto per dimostrare
che ogni epoca ha il suo concetto di scienza, plasmato ad immagine e somiglianza, per
così dire, della
classe al potere in quel momento. Infatti, quando il Progresso aveva una dimensione alquanto più
prosaica
e concreta di quella che oggi gli viene attribuita, al potere c'erano le borghesie di commercianti-industriali,
il cui privilegio era basato sul possesso dei mezzi materiali di produzione, la cui abilità consisteva
nella
vendita dei prodotti e nel controllo dei mercati. Essi non avevano il mito della scienza, perché
avevano
quello del denaro: anch'essi costruirono i loro templi e i loro monumenti, ma erano fabbriche e officine,
perché era lì che si consolidava e si formava la loro supremazia, il loro sfruttamento sopra
gli altri uomini. Il mito della scienza pura sorge invece oggi, che il posto delle borghesie commerciali
è stato preso dalle
tecnoburocrazie, queste nuove classi sfruttatrici che controllano la società non in quanto
posseggono gli
strumenti materiali della produzione, ma in quanto ne detengono i presupposti intellettuali, cioè
la scienza,
appunto. La scienza che viene gelosamente custodita e monopolizzata, nascondendone accuratamente
l'importanza come strumento di potere, presentandola di fronte alle classi inferiori non come
un'entità
concreta, utile, ma come qualcosa di impersonale, astratto, che si giustifica da sola e non
con le proprie
realizzazioni pratiche. Togliete ai lanci spaziali questo mito, cercate di concretizzarne un poco i risultati
obbiettivi, osservandoli da un punto di vista materiale e non idealistico, e vedrete cosa resta: resta
l'assurdo di una società che miniaturizza i computers per andare sulla luna, e afferma di andare
sulla luna
per poter miniaturizzare i computers. L'unico vero progresso portato dai lanci spaziali riguarda i lanci
spaziali stessi, che sono diventati certamente più efficienti, più complessi e più
audaci. È un progresso
fine a se stesso: anche prendendo per buono lo scarno elenco di vantaggi secondari realizzati, è
significativo il divario enorme esistente tra la rapidità con cui ogni nuova acquisizione scientifica
viene
utilizzata per altri voli, e la lentezza estrema con cui le nuove scoperte vengono trasformate in progresso
umano, nella vita di tutti i giorni. Questo non è "settarismo antiscientifico", al contrario. Non
me la prendo con il progresso scientifico in
quanto tale, perché esso non esiste o quanto meno io non ci credo. Piuttosto, me la prendo con
quella
particolare forma di esso che viene portata avanti dalle classi tecnoburocratiche che detengono il potere.
Con quell'idea di scienza che ci viene gabellata per assoluta e universale, mentre è solo uno dei
tanti figli
dei nuovi padroni. E i figli, in questo caso è vero, scontano le colpe dei padri. Per
concludere, vorrei difendere la scelta del titolo "I Faraoni vanno sulla Luna", che non trovo né
incoerente né impreciso, se pur un poco ad effetto. Come i Faraoni, i nuovi principi della
programmazione compiono le loro imprese per verificare e rendere tangibile il proprio potere: Nixon,
dopo il primo allunaggio americano, disse che "i lanci spaziali sono la dimostrazione pratica del livello
tecnologico raggiunto da un paese". Come i Faraoni, coinvolgono in quest'opera tutta la società
ad essi
sottoposta; non sono cioè fatti privati, ma di stato. Come i faraoni, perpetuano con esse "il
mistero
soprannaturale per scopi religiosi e di classe, di religione in quanto oppressione di classe": l'idea di una
scienza al di sopra delle parti, per definizione al servizio dell'uomo e del suo sapere, che tutto giustifica
senza che nulla debba giustificare lei stessa, dal fine imperscrutabile e dai risultati misteriosi, ai detentori
della quale il volgo ignorante deve rispetto e ossequio, non è religione?
R. Brosio
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