Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 1 nr. 8
novembre 1971 - dicembre 1971


Rivista Anarchica Online

La scienza dei padroni
di R. Brosio

Un discorso che dall'inutilità della gara spaziale si allarga ai contenuti di classe della scienza

Due lettere, ricevute mi inducono a ritornare sull'argomento dei lanci spaziali e del loro significato. La prima, da Roma, è del compagno e collaboratore di "A" Guido Montana, la seconda viene da Pisa a firma (se leggo bene) del Sig. Emilio Celiandro.

Cari compagni,
leggo su "A" la lettera dello studente di fisica Roberto Flaibani su "i faraoni che vanno sulla luna" e la risposta del compagno Brosio. Non vi nascondo le mie perplessità. Da un atteggiamento troppo fideistico, mistico, nei confronti della scienza e della tecnologia si passa, col compagno Brosio, al rifiuto non solo delle conquiste spaziali volute dalla tecnoburocrazia, ma perfino del concetto - in sé ineccepibile - di ricerca e di conoscenza cosmica. Quando egli infatti contesta a Flaibani l'utilità di andare sulla Luna, la necessità di "conquistare" lo spazio, per ottenere risultati tecnici e scientifici utili anche all'uomo sulla terra (la miniaturizzazione dei computers, la scoperta di nuove leghe di metalli, ecc.), inavvertitamente tocca un tasto dolente e di grande importanza: il problema della ricerca e della scoperta disinteressata.
Non entro qui nel merito della polemica, se sia oggi opportuno effettuare imprese costosissime per scopi di prestigio e di potenza tecnico-militare. La risposta sarebbe troppo facile. Ma proprio perché la nostra posizione sul problema è lineare, non sentirei di avallare ogni settarismo di carattere obbiettivamente antiscientifico. Innanzitutto contesto la compiacenza letteraria di certi titoli ad effetto, come "I Faraoni vanno sulla Luna". Non è, oltre tutto, ideologicamente coerente ed è impreciso. È sempre superficiale istituire paragoni storici disarmonici e remoti, per amore di accostamenti inevitabilmente retorici. Paragonare le conquiste spaziali alle piramidi è solo una battuta ad effetto. Le piramidi erano non solo la di glorificazione del potere delle caste privilegiate, ma anche e soprattutto un modo di rendere tangibile e perpetuare il mistero soprannaturale per scopi religiosi e di classe, di religione in quanto oppressione di classe. La scienza spaziale, invece, pur asservita alla tecnoburocrazia, è obiettivamente antireligiosa, poiché allontana dalla psiche umana l'idea del soprannaturale.
Non vorrei essere frainteso: non dico affatto che oggi il problema più urgente sia di "conquistare lo spazio". Sottolineo solo una questione di misura e di obiettività scientifica e ideologica. Dopotutto è incongruente valutare quanto si spende per le conquiste spaziali, quando poi non si fa nulla per impedire la produzione - per esempio - delle inutili, costosissime automobili fuori serie, quando poi la società consumistica spreca tanto danaro nella produzione di oggetti superflui che ne avanzerebbe, e per conquiste spaziali e per risolvere il problema della fame su questa terra. Per non dire delle enormi, vergognose spese militari.
È chiaro che le classi al potere, la tecnoburocrazia, il capitalismo di stato, fanno il loro gioco e tentano - tenteranno sempre - di utilizzare e asservire la tecnica e la scienza. Ma questo che significa? Vogliamo forse dimenticare che l'uomo non vive di solo pane e che tutta l'evoluzione della specie fu data dalla curiosità speculare e scientifica? Vogliamo forse rinunciare alla conoscenza - anche riguardo al futuro - solo perché può essere utilizzata a fini di potere e di classe? Il problema non è di rinunciare alle conquiste scientifiche e tecnologiche, ma di distruggere il potere che ora le guida e l'utilità politico-economica.
Questa è la vera questione; il resto non è che i piagnisteo populista che assegna all'uomo un destino che non dovrebb'essergli congeniale: quello della rinuncia e della ristrettezza mentale. Conoscere, non significa solo capire quello che può essere utile, ma anche imparare ciò che ci piace: l'arte, la scienza, la vita. Se domani ci farà piacere saperne di più sull'universo, perché il compagno Brosio vorrebbe negarcelo? Siamo anarchici anche per questo.
Guido Montana

Caro Brosio,
La risposta che ha dato a R. Flaibani è superficiale, nulla posso dire del suo articolo "I faraoni vanno sulla luna" perché non l'ho letto.
1) Innanzitutto appoggio pienamente tutto quello che ha detto R. Flaibani.
2) Che ci importa se per il momento quella scienza è in mano agli invasori del Vietnam o della Cecoslovacchia?
Io studio Scienza della Informazione e domani avrò a che fare con quei maledetti computers che solo per lo stimolo dei programmi spaziali hanno raggiunto l'attuale grado di perfezionamento, (e così, glielo dico io che me ne intendo).
L'importante, secondo me, è che a costruire i modelli matematici per i computers (mi limito a questo esempio) domani siano persone come me: rivoluzionarie e proletarie.
Spiego con un esempio cos'è un modello matematico: le attuali previsioni meteorologiche si fanno su modelli matematici, cioè si trasformeranno in equazioni stati attuali dell'atmosfera, al variare di una o più variabili si sa come sarà il tempo dopo qualche giorno. I modelli naturalmente sono applicati anche nei processi produttivi nelle fabbriche per scopi più o meno disumanitari. Presto i matematici e gli informatici in particolare saranno in grado di costruire modelli della personalità umana, per mezzo dei quali, ad esempio, partendo da dati iniziali sulla cultura di una persona o di un insieme di persone, si potrà sapere se dopo un certo tempo quella persona tenderà a destra oppure sarà un comunista.
Lo stesso suo discorso sugli egiziani mi dà ragione: ce ne frega poco se le piramidi furono costruite per scopi religiosi: la matematica e la geometria di oggi che allo stato embrionale era nelle mani dei Faraoni ora la usano anche i cinesi (tanto per fare un esempio coreografico).
Emilio Celiandro

Sono entrambe lettere di dissenso, e dal momento che riecheggiano obiezioni alle quali, in tutta sincerità, mi illudevo di aver già risposto esaurientemente, mi fanno pensare che il contrasto non verta tanto sui temi particolari dell'articolo "incriminato", ma su questioni più generali, di fondo, che stanno a monte dell'articolo medesimo. Cercherò quindi di chiarire tali questioni generali, la cui importanza, io credo, va al di là della polemica sulla gara spaziale.
Sia Montana che Celiandro (e a suo tempo Flaibani) parlano della scienza come di un valore assoluto, "a sé", una sorta di strumento né buono né cattivo, che diventa buono o cattivo a seconda soltanto dell'uso che ne viene fatto. "È chiaro" dice Montana "che le classi al potere... tenteranno sempre di utilizzare e di asservire la tecnica e la scienza". E Celiandro: "Che ci importa se per il momento quella scienza è in mano agli invasori del Vietnam e della Cecoslovacchia?". Bene, ma in realtà le cose stanno assai diversamente. La scienza non è soltanto momentaneamente posseduta, come un oggetto, dalle varie classi dirigenti, essa è più propriamente prodotta, fatta, dai vari gruppi che si susseguono al potere, in stretto rapporto con le loro caratteristiche e le loro esigenze. La scienza pura è un'astrazione, un luogo comune cui può anche essere comodo far riferimento, qualche volta, ma, purtroppo, non ha alcun significato dal punto di vista storico. Ogni classe genera la sua propria scienza, ed essa è, di volta in volta, a seconda dei casi, borghese, feudale, tecnocratica eccetera, e non può essere, come tale, che usata in modo borghese, feudale, tecnocratico, eccetera. È pur vero che ogni classe fa tesoro della cultura scientifica accumulata da quella che l'ha preceduta, ma solo di quella parte di essa che, obbiettivamente, è utile per consolidare e razionalizzare il tipo di potere che esercita. Gran parte della tecnica agronomica elaborata dalle borghesie agricole greco-romane si perse quando il potere passò alle nobiltà feudali. Quasi tutta la scienza economica cosiddetta "classica" (teoria della rendita, formazione del prezzo, funzionamento dei mercati, ecc.) formatasi in seguito all'ascesa delle borghesie commerciali, è oggi abbandonata come un oggetto da museo dai rappresentanti delle moderne tecnoburocrazie. Ogni epoca storica non differisce dalle precedenti solo per il livello di cultura scientifica che la contraddistingue, ma anche (e in gran parte) per l'indirizzo che tale cultura prende, per le vecchie strade che vengono abbandonate e per le nuove che vengono intraprese.
Anche i lanci spaziali, quindi, non sono una manifestazione della "curiosità speculare e scientifica": più correttamente, sono una manifestazione di quella particolare curiosità speculare e scientifica propria delle classi tecnoburocratiche che li realizzano, e in questa prospettiva vanno considerati. È tutto da vedere se distruggendo il potere che guida queste sedicenti conquiste scientifiche esse continuerebbero, come spera Montana.
È tutto da vedere, cioè, quale sarà la società senza classi, senza monopolio del sapere, senza potere da glorificare ed esaltare, che saprà spedire un razzo sulla luna senza bisogno di far ricorso alla organizzazione verticale, alla divisione del lavoro, agli accordi politici e commerciali ad alto livello, alla programmazione autoritaria, all'imposizione di direttive precise e a lunga scadenza a tutte le strutture produttive di un paese. Chi vuole, può anche non scandalizzarsi per le migliaia di miliardi che vengono spesi per aumentare di un millimetro cubo la nostra "conoscenza cosmica". Dovrebbe meditare un po' di più, però, su cosa sta dietro a quei soldi, provare a chiedersi chi sono quelli che possono permettersi di spenderli, e come mai lo possono.
Certo, le tecnoburocrazie amano presentare tutto ciò come manifestazioni non di una particolare struttura socio-economica, ma di una tendenza universale dell'uomo come tale. È storia vecchia. Qualche secolo fa, ad esempio, si facevano passare come scienza le disquisizioni sul sesso degli angeli o l'interpretazione del pensiero di Aristotele, e si pretendeva che ogni nuova acquisizione in questo campo rappresentasse un incalcolabile vantaggio per il genere umano. Oggi diciamo tranquillamente che ciò era il frutto dell'immobilismo feudale e nessuno si scandalizza. Ma a quei tempi, Galileo, per aver sostenuto che era più importante studiare la caduta dei gravi, finì davanti all'Inquisizione.
Allo stesso modo, oggi si tenta di dare per scontato che scopo della scienza sia il raggiungimento di una conoscenza astratta e impersonale dell'universo che ci circonda, e si fa finta di credere che l'uomo non abbia mai aspirato che a questo, che non abbia mai avuto in testa altro concetto di scienza che questo. Ma si dimentica che solo sessant'anni fa la scienza aveva ancora un carattere esclusivamente applicativo, e ricerca scientifica significava solo ricerca di nuove tecniche di produzione, nuovi materiali, nuovi beni di consumo, e tutto con uno scopo ben preciso: vendere e incassare profitti. Questo tanto per dimostrare che ogni epoca ha il suo concetto di scienza, plasmato ad immagine e somiglianza, per così dire, della classe al potere in quel momento. Infatti, quando il Progresso aveva una dimensione alquanto più prosaica e concreta di quella che oggi gli viene attribuita, al potere c'erano le borghesie di commercianti-industriali, il cui privilegio era basato sul possesso dei mezzi materiali di produzione, la cui abilità consisteva nella vendita dei prodotti e nel controllo dei mercati. Essi non avevano il mito della scienza, perché avevano quello del denaro: anch'essi costruirono i loro templi e i loro monumenti, ma erano fabbriche e officine, perché era lì che si consolidava e si formava la loro supremazia, il loro sfruttamento sopra gli altri uomini.
Il mito della scienza pura sorge invece oggi, che il posto delle borghesie commerciali è stato preso dalle tecnoburocrazie, queste nuove classi sfruttatrici che controllano la società non in quanto posseggono gli strumenti materiali della produzione, ma in quanto ne detengono i presupposti intellettuali, cioè la scienza, appunto. La scienza che viene gelosamente custodita e monopolizzata, nascondendone accuratamente l'importanza come strumento di potere, presentandola di fronte alle classi inferiori non come un'entità concreta, utile, ma come qualcosa di impersonale, astratto, che si giustifica da sola e non con le proprie realizzazioni pratiche. Togliete ai lanci spaziali questo mito, cercate di concretizzarne un poco i risultati obbiettivi, osservandoli da un punto di vista materiale e non idealistico, e vedrete cosa resta: resta l'assurdo di una società che miniaturizza i computers per andare sulla luna, e afferma di andare sulla luna per poter miniaturizzare i computers. L'unico vero progresso portato dai lanci spaziali riguarda i lanci spaziali stessi, che sono diventati certamente più efficienti, più complessi e più audaci. È un progresso fine a se stesso: anche prendendo per buono lo scarno elenco di vantaggi secondari realizzati, è significativo il divario enorme esistente tra la rapidità con cui ogni nuova acquisizione scientifica viene utilizzata per altri voli, e la lentezza estrema con cui le nuove scoperte vengono trasformate in progresso umano, nella vita di tutti i giorni.
Questo non è "settarismo antiscientifico", al contrario. Non me la prendo con il progresso scientifico in quanto tale, perché esso non esiste o quanto meno io non ci credo. Piuttosto, me la prendo con quella particolare forma di esso che viene portata avanti dalle classi tecnoburocratiche che detengono il potere. Con quell'idea di scienza che ci viene gabellata per assoluta e universale, mentre è solo uno dei tanti figli dei nuovi padroni. E i figli, in questo caso è vero, scontano le colpe dei padri.
Per concludere, vorrei difendere la scelta del titolo "I Faraoni vanno sulla Luna", che non trovo né incoerente né impreciso, se pur un poco ad effetto. Come i Faraoni, i nuovi principi della programmazione compiono le loro imprese per verificare e rendere tangibile il proprio potere: Nixon, dopo il primo allunaggio americano, disse che "i lanci spaziali sono la dimostrazione pratica del livello tecnologico raggiunto da un paese". Come i Faraoni, coinvolgono in quest'opera tutta la società ad essi sottoposta; non sono cioè fatti privati, ma di stato. Come i faraoni, perpetuano con esse "il mistero soprannaturale per scopi religiosi e di classe, di religione in quanto oppressione di classe": l'idea di una scienza al di sopra delle parti, per definizione al servizio dell'uomo e del suo sapere, che tutto giustifica senza che nulla debba giustificare lei stessa, dal fine imperscrutabile e dai risultati misteriosi, ai detentori della quale il volgo ignorante deve rispetto e ossequio, non è religione?

R. Brosio