Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 9 nr. 78
novembre 1979


Rivista Anarchica Online

Chi ha ucciso Cinieri
a cura della Redazione

L'uccisione di Salvatore Cinieri, avvenuta nelle Carceri Nuove di Torino il 27 settembre per mano di un altro detenuto, Salvador Farre Figueras, ha violentemente portato in primo piano le feroci divisioni e gli ancor più feroci scontri tra carcerati.
La meccanica dei fatti è abbastanza semplice: Figueras, detenuto "comune" accoltella Cinieri, detenuto "politico" (Cinieri era accusato di appartenenza ad "Azione Rivoluzionaria"). Le motivazioni sono invece poco chiare. Se la stampa di regime ha giocato il suo ruolo cercando di attribuire al fatto i connotati di un'esecuzione per presunte delazioni che Cinieri avrebbe fatto, neppure la presa di posizione assunta dai "compagni che lo conobbero" e da un "gruppo autonomo libertario" di Torino, ha spiegato il fatto, limitandosi ad enunciazioni di principio.
Maggiore interesse riveste invece il documento di "Azione Rivoluzionaria", presentato al processo del 4 ottobre a Torino: agli imputati è stata negata la possibilità di dare lettura in aula di questo documento, che è stato invece allegato agli atti processuali.
Il documento, che s'intitola "Rendiamo onore al compagno Salvatore Cinieri", dopo aver segnalato gli episodi politicamente più significativi della vita di Cinieri, rispetto alla sua morte così si esprime: Ora, al di là del fatto particolare di cui non abbiamo ancora tutti i contorni, un'osservazione generale va fatta.... È tale la situazione all'interno del carcerario che si rischia di avvelenare irrimediabilmente l'atmosfera. Fasce consistenti di proletari imprigionati lottano concretamente non solo contro le condizioni presenti nel carcerario, ma anche contro l'esistenza stessa delle prigioni e della società che conseguentemente le esprime. Ma ciò non significa che sia dato o si possa dare un coagulo in tesi politiche e in modi organizzativi esclusivi. Avviene, invece, che alcune frazioni organizzate del proletariato prigioniero tendono ad assumere il proprio frammento e a gestire il potere totalitario del frammento (cioè queste stesse frazioni rispetto alla ricchezza dell'intero corpo sociale detenuto e del movimento sociale complessivo), raggrumando le esperienze in ideologia particolare e in formule organizzative di tutte le realtà, con tutto quanto ne deriva in termini di colonizzazione ideologica dell'esistente. Questo clima generale non favorisce certo l'attutimento dei contrasti interpersonali, anzi contribuisce ad esasperarli fino a conseguenze estreme perché tramuta le "divisioni ideologiche" in denigrazione, perfino in calunnia provocando o almeno agevolando rotture all'interno della comunità carceraria antagonista.
È chiara la volontà di Azione Rivoluzionaria di far risalire la morte di Cinieri a contrasti politici con gli "egemonizzatori" delle lotte carcerarie.
Questa posizione ci viene riconfermata dal compagno Gianfranco Bertoli che dal supercarcere di Nuoro ha scritto: "Quello che mi aveva colpito (in Cinieri) era la perfetta concordanza di vedute sulla necessità di preservare ad ogni costo la nostra identità di anarchici e di libertari da ogni illusione sulla possibilità di collaborazione coi bolscevichi e i loro "comitati" in quanto la loro lotta non è e non può essere la nostra. Su questo argomento si era anche espresso pubblicamente in un intervento su "Umanità Nova". Ora, far questo in un ambiente dove la "cosca mafiosa" dei fautori del "potere rosso" è onnipresente e tanto più arrogante quanto più si rende conto che le sue possibilità di diventare "potere" nel mondo di "fuori" è meno che nulla, esige molta più coerenza e coraggio di quanto non si possa pensare se non si vive questa squallida realtà. Ora questo nostro compagno ha trovato la morte, per colmo di sventura, proprio per mano di un altro detenuto, uno cioè che secondo le analisi sociali di comodo farebbe parte del tanto mitizzato "proletariato prigioniero".
Successivamente Gianfranco Bertoli ha fatto pervenire un'altra lettera che oltre ad alcune considerazioni sul "potere rosso" nelle carceri, riferisce un fatto personale che assume, però, un valore emblematico.
In questo "circuito", senza soluzione di continuità, di trasferimenti dall'una all'altra di queste isolette che compongono "l'arcipelago gulag" in versione nostrana, - scrive tra l'altro Bertoli - uno si trova sempre a contatto con la stessa categoria di persone: i cosidetti politici (fascisti e stalinisti in maggioranza) e la vera "schiuma" della popolazione carceraria (psicopatici, violenti per vocazione, gente legata a cosche mafiose, ecc.) ciò provoca tensioni indescrivibili, fenomeni di intolleranza reciproca, arroganza ridicola.
In questa situazione gli "orfanelli di Stalin" per il fatto di essere i più organizzati e numerosi ci sguazzano e portano avanti un progetto di vera e propria "colonizzazione ideologica", quello che chiamano "potere rosso". È qualcosa di vergognoso, subdolo e violento al tempo stesso. Tempo fa vi avevo già parlato del loro ultimo tentativo di "recupero" con il quale mi volevano ancora con loro in qualità di "anarchico buono", non ritenendo ancora giunto il momento di parafrasare quella frase dei "bianchi del west" per cui: "l'unico indiano buono è quello morto". In quei giorni hanno provato di tutto, soprattutto per staccarmi dall'amicizia con Angelo Cinquegrani che non potevano vedere per quel suo scritto su Umanità Nova e Anarchismo del 10 marzo. Io ritenni di rispondere loro con onestà (anche perché molti li consideravo amici), e cioè che non potevo avere più alcun legame con un "comitato" a cui non riconoscevo il diritto di rappresentarmi. Si dimostrarono, a parole, molto comprensivi e pieni di "rispetto" per le mie opinioni, ma mi accorsi subito di un mutato atteggiamento di molti detenuti "comuni" nei miei confronti.
Ora, sarà un caso (?!), proprio in occasione della morte a Torino del compagno Cinieri, c'è stato un precipitare della situazione, al punto da costringermi a scegliere la soluzione di restarmene in cella rinunciando alle ore di aria che il potere mi concede.
Preciso, a scanso di equivoci, che non ho sufficienti "indizi" per ritenere che quel compagno l'abbiano fatto uccidere loro, tutto quello che so è che dopo le sue prese di posizione contro l'egemonia stalinista nella gestione delle lotte si era trovato, a quanto mi scriveva, molto isolato in quello squallido posto.
Facendola corta, vengo a raccontarvi i fatti di qui; l'altro ieri sono andato all'aria con Angelo Cinquegrani. Quando siamo arrivati giù ho percepito una atmosfera molto fredda e anche pesante. Dopo un po' sono stato oggetto di una provocazione veramente inaspettata e vergognosa. Un paio di persone mi hanno chiamato da parte e mi hanno detto che avevano "saputo" che io e Angelo saremmo legati da un rapporto di tipo omosessuale e che gente come noi non può stare con loro. Ora devo dirvi che non è vero per niente, perché se ciò fosse non riterrei di nasconderlo a nessuno perché ritengo che ognuno abbia diritto di comportarsi come gli pare in queste questioni. In tutto questo non ho potuto vedere altro che la ricerca di un pretesto, cioè di una reazione violenta perché la cosa finisse... come a Torino. Potete dunque capire a che punto siamo arrivati. Tutto ciò è opera dei "signori della guerra (di classe?!)" che vogliono emarginare chi non è disposto a stare con loro.
L'uccisione di Salvatore Cinieri ha rotto il silenzio sugli scontri non solo ideologici all'interno delle carceri. Continuare a credere nei comodi miti dell'unità del "proletariato prigioniero" che ci si è creati all'esterno non è solo illusorio, ma perfino delittuoso nei confronti dei compagni libertari incarcerati. Siano o non siano responsabili dell'uccisione di Salvatore Cinieri i "burocrati rossi", resta chiaro il loro tentativo di voler instaurare la loro oppressione mafiosa nel luogo dell'oppressione più brutale dello stato.