Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 9 nr. 75
giugno 1979 - luglio 1979


Rivista Anarchica Online

Dal collettivismo burocratico all'azienda autogestita
di Ludovico Martello

Già noto per essere stato il primo marxista italiano ad aver definito la natura sociale dell'Unione Sovietica, Bruno Rizzi viene oggi collocato tra i primi teorici dell'autogestione.

Ritenigo quindi estremamente interessante, in preparazione del convegno internazionale sull'autogestione, riesaminare, attraverso l'esposizione delle principali tappe del pensiero rizziano, le analisi sociologiche ed il modello autogestionario presenti nelle sue opere.

Appena ventenne, Bruno Rizzi, già militante nelle file del P.S.I., aderisce alla frazione comunista partecipando attivamente alla fondazione del P.C.d'I. "Fare come in Russia" è l'obiettivo dei militanti del nuovo partito. Ma la "dura replica della storia" non si fa attendere: Rizzi assiste alla ascesa del fascismo. Contemporaneamente "fatti strani" avvengono nella federazione milanese, avendo prove fondate per indagare in "una certa direzione" Bruno chiede di parlare con il centro. Ma in un partito dove ancora oggi l'obbedienza assoluta alla direzione è la prima regola, i suoi dubbi, le sue domande finiscono inevitabilmente col procurargli l'ostracismo dei compagni fino all'espulsione dal partito avvenuta nel '37.

Ottenuto il passaporto Rizzi va in Francia. A Parigi entra in contatto con i trotskisti, fra i quali Naville. Viene a conoscenza delle atrocità commesse dal regime staliniano, legge La Rivoluzione Tradita di Trotskji. Privo da condizionamenti di partito, Rizzi coglie appieno il significato politico dell'opera, scrive Dove va l'U.R.S.S. col proposito - come scriverà R. Reccagni - "di mettere al corrente i militanti socialisti della reale situazione nell'U.R.S.S.".

Il testo di Rizzi ricalca i contenuti dell'opera dell'esule bolscevico, ma lo fa in modo così ostentato che è lecito pensare che non si sia trattato di una semplice "volgarizzazione della Rivoluzione Tradita" ma di qualcos'altro: la ricerca di una legittimazione politica, di una identificazione ideologica per poter sostenere tesi che egli aveva maturato per anni. Descrivendo gli eventi più significativi che hanno caratterizzato la società sovietica dalla morte di Lenin alla "Costituzione di Stalin", Rizzi accusa il dittatore di aver tradito i proletari delle altre nazioni avendo optato per la realizzazione del socialismo in un solo paese dopo aver sottomesso a lui e alla casta che rappresenta la terza internazionale. Proseguendo nel suo "j'accuse" Bruno indica la genesi del termidoro sovietico nel processo di formazione della burocrazia, nota inoltre le contraddizioni presenti nelle scelte economiche di Stalin. Questi infatti, come noto, dalla piattaforma economica di Bucharin, favorevole alla scomposizione della terra in piccole proprietà, fa suo il piano di collettivizzazione, sostenuto precedentemente da Trotskji.

Rizzi non si pronuncia, in quest'opera, a favore di una delle due soluzioni, ma sostiene: "... il socialismo... deve rappresentare... una forma economica superiore alla capitalistica". In questa affermazione credo si possa individuare l'aspetto originale del testo in esame, ed è questo aspetto a farne un'opera diversa dalla Rivoluzione Tradita. Rizzi intuisce che non è possibile edificare la società socialista adottando le soluzioni economiche indicate dai bolscevichi. Inizia così la sua ricerca solitaria per individuare un modello economico diverso quale base strutturale per una società socialista nella quale socializzazione non corrisponda a statizzazione.

Sempre a Parigi, Rizzi, pur non aderendo a nessuna organizzazione della IV internazionale, ne segue attentamente le pubblicazioni. Partecipa attivamente al dibattito sulla natura sociale dell'U.R.S.S.. Nonostante i contrasti con Naville è invitato da questi a redigere un opuscolo sulla questione. Rizzi invia il manoscritto a Naville, ma questi si rifiuta di pubblicarlo. Dopo averlo sottoposto ad altri editori decide di pubblicarlo a sue spese. Il testo viene distribuito alle vendite nell'autunno del 1939 con il titolo La Bureaucratisation du Monde.

Nel condurre la sua indagine Rizzi riduce il marxismo, assunto dai marxisti a religione, ad un metodo. Ne condivide ed utilizza quasi esclusivamente le categorie economiche. Permangono, egli osserva, nella Russia "socialista" proprietà e sfruttamento. Una nuova classe: la burocrazia, si appropria indirettamente del plus-valore prodotto dai lavoratori: "... il plus-valore - egli scrive - è inghiottito dai nuovi privilegiati attraverso la macchina statale...". E polemizzando con Trotskji, al quale, nonostante la degenerazione burocratica, la nazionalizzazione dell'economia appariva un dato strutturale progressivo per l'avvento di uno Stato proletario, Rizzi replica: "In realtà la nazionalizzazione dei mezzi di produzione nell'U.R.S.S. ha creato una forma di proprietà collettiva, ma di classe che risolve l'antagonismo capitalista della produzione collettiva e dell'appropriazione privata". Nazionalizzazione e pianificazione economica non sono, egli conclude, le basi strutturali per l'edificazione della società socialista. Né questo assetto sociale è da considerare transitorio: "Un regime sociale - egli sostiene - non è mai transitorio: è peculiare di un determinato tipo di società". Proseguendo nella sua analisi, egli ritiene possibile la formazione di questo particolare sistema sociale anche per altre nazioni. "Poco per volta - ipotizza Rizzi - i lavoratori di Francia, d'Inghilterra e d'America non si troveranno più normali cittadini, ma sudditi di un regime burocratico che nazionalizzerà la proprietà e prenderà tante altre misure ad impronta socialista. Non si chiamerà fascismo o nazismo o stalinismo, avrà certamente un altro nome, ma il fondo sarà sempre lo stesso: proprietà collettiva nelle mani dello Stato, burocrazia come classe dirigente, organizzazione collettiva e pianificata della produzione, sfruttamento che passa dal dominio dell'uomo a quello della classe".

Con appropriata espressione Rizzi definisce questo particolare sistema sociale "Collettivismo Burocratico". Ed è in questa fase del suo pensiero che appare (ancora allo stato d'intuizione) la sua maggiore scoperta sociologica. Egli individua nell'assenza del mercato la base strutturale per l'avvento di uno Stato burocratico e/o totalitario.

Libero da ogni schematismo dogmatico Rizzi riflette sulle sue nuove acquisizioni. Si convince che l'eliminazione della proprietà privata e la mancanza di un policentrismo economico, con i suoi attributi di concorrenza e di libero scambio tra gli uomini, finiscono col consegnare nelle mani dello Stato società civile e potere economico. In tali condizioni - egli avverte - lo Stato, invece che deperire, diventa un vero e proprio Moloch.

"Ne Il Socialismo dalla Religione alla Scienza e ne La Rovina Antica e l'Età Feudale - si legge in un articolo di Rizzi - spiego e documento storicamente servendomi anche dell'etnologia, che tutte le società feudali della barbarie sono fondate su di un sistema economico pianificato con monopolio statale dei mezzi di produzione e della forza lavoro...".

Rizzi giunge a queste conclusioni attraverso una serie di "suggestive comparazioni storiche". Rivisita le antiche civiltà dall'incaica alla spartana alla luce delle fondamentali categorie marxiane, quali: proprietà privata, plus-valore, ecc.. A tale verifica empirica alcuni dei principali postulati teorici indicati da Marx per la composizione di un sistema sociale comunista, risultano inesatti. Primo tra tutti l'abolizione della proprietà privata quale presupposto per una società di eguali. "Ecco che le terre spartane - egli osserva - ... si concentrano per un momento sotto l'egida dello Stato e poi questo le ridistribuisce ai suoi membri... una proprietà per nulla privata, collettiva ma non indivisa... nessun segno di comunismo traspare dalla società spartana". Rizzi si domanda: quale forza opporre alla formazione di uno Stato iper-assolutistico? La soluzione che propone è il "salvataggio del mercato". Quello proposto non è certo un mercato capitalista, bensì un mercato non inquinato da manifestazioni negative miranti alla speculazione e all'usura, ma uno strumento di distribuzione razionale. È possibile a Rizzi formulare una tale ipotesi in quanto non considera il mercato un'invenzione del modo di produzione capitalistico. Egli sostenendo che: "La storia prova e conferma la stretta dipendenza dello sviluppo sociale con quello del mercato", fa del mercato stesso una categoria analitica, anzi, e mi pare più esatto, la variabile indipendente del suo sistema analitico. Impiegando questa nuova variabile Rizzi riesamina il corso della storia. Egli individua periodi densi di sviluppi tecnici e culturali contraddistinti da primitive forme di mercato. Mentre altre fasi storiche, ove non sono riscontrabili né forme di mercato né alcuna libertà economica, risultano caratterizzate da un diffuso regresso per l'esistenza umana e dalla presenza di uno Stato assoluto e accentratore. Le conclusioni contenute ne Il Socialismo dalla Religione alla Scienza e ne La Rovina Antica e l'Età Feudale collocano Rizzi fra quei pochi studiosi marxisti che sono riusciti ad affrancarsi dall'idealismo hegeliano. Egli contesta il principio: "ciò che è stato doveva essere". La sua indagine scientifica è priva di idealistici presupposti dialettici. Il mercato non lo scandalizza, la proprietà privata non è il peccato originale. Essi, come dimostra l'indagine storica, sono gli unici strumenti per contrastare la formazione di uno Stato totalitario. Depurati degli attributi capitalistici essi possono essere la base strutturale per edificare una società socialista nella libertà.

L'azienda autogestita

Pubblicati rispettivamente nel '62 e nel '70, La Lezione dello Stalinismo e Il Socialismo Infantile costituiscono la proposizione ultima del discorso rizziano. In entrambi Rizzi, dopo aver operato una sintesi di quanto precedentemente acquisito, propone "sulla carta" un modello di società socialista e ne indica le modalità di realizzazione.

Il socialismo non può essere che uno solo, egli sostiene, caratterizzato da una determinata combinazione degli elementi del ciclo produttivo, esso deve produrre maggiore ricchezza per la società, eliminare l'estorsione del plus-valore, e garantire le libertà "borghesi" di ogni attore sociale affrancandolo dallo Stato, peraltro in via di "deperimento". Espone quindi il suo modello di società socialista, sintetizzabile nell'espressione: "autogestione delle aziende da parte delle maestranze". Ed è nell'azienda, "cellula costitutiva della società umana", che bisogna muovere i primi passi per la realizzazione del socialismo. Infatti egli nota: "Ad ogni tipo di società corrisponde una particolare organizzazione economica dell'azienda". Quindi, alla ricerca di una "via" per la realizzazione del modello, scrive ne La Lezione dello Stalinismo: "Trovato il tipo d'azienda retto da un ordine economico che armonizzi coi fini del socialismo,... si passi all'esperimento, non di un popolo usato come cavia per decenni, ma di qualche azienda. E se l'esperimento funziona, si proceda alla generalizzazione di questa azienda. (ed individuando nelle aziende già nazionalizzate il punto di partenza - N.d.R.).... Perché lo Stato ed i comuni dovrebbero opporsi ad un rinnovamento economico delle loro aziende.... È necessario che l'azienda del latte o quella tramviaria debbono essere semplicemente municipalizzate? Perché non socializzate?". Ma avverte lucidamente Rizzi, evitando accuratamente di alimentare speranze palingenetiche: "Vano è sognare una distribuzione basata sull'uguaglianza, quando il gettito dei beni di consumo non copre i fondamentali bisogni.... Il nuovo sistema economico non può portare ancora l'uguaglianza. Ciò sarebbe uguaglianza nel bisogno, mentre invece si deve giungere alla soddisfazione naturale della necessità collettiva e singola attraverso l'aumento progressivo del volume della produzione". In quanto agli elementi del ciclo produttivo, essi assumeranno nuove forme economiche, infatti "Il rapporto di produzione socialista è il seguente - si legge nel I volume de Il Socialismo Infantile - a) I dirigenti sociali non sono più i capitalisti, ma la Società stessa.... I mezzi di produzione li concede lei e gratis. b) I lavoratori non sono più proletari; percepiscono integralmente il frutto del loro lavoro e non lo vendono più a nessuno. Sono socialisti in carne ed ossa e non di partito. c) I mezzi di produzione non sono più capitale, ma Sociale perché svolgono una funzione acceleratrice della produzione, ma non speculativa. d) I prodotti restano merci, perché il mercato è ancora necessario quale organo selezionatore, propulsore e razionalizzatore di una società ancora povera, ma è stato moralizzato: la speculazione vi è eliminata". Affinché ciò sia realizzabile è necessaria, secondo Rizzi, una differenziazione aziendale che non sia tecnica bensì economica. Egli auspica la frantumazione del controllo unico, necessario per le aziende che mirano al profitto ma costoso per la collettività. Quindi suggerisce una nuova "specializzazione economica quadripartita: produzione-vendita-amministrazione-acquisti". Un esempio chiarirà il concetto: un'azienda specializzata unicamente alla vendita può servire più aziende adibite alla produzione. Infine, proseguendo nella sua esposizione, propone di sostituire al salario una percentuale sugli utili.

Le conclusioni contenute nel progetto di Rizzi sono - e non poteva essere altrimenti - ancora sotto forma di ipotesi. Come tali esse vanno verificate ed elaborate. È necessario quindi, volendone seguire le indicazioni, sottoporle preliminarmente ad una critica costruttiva cercando le lacune da colmare per una realizzazione empirica. D'altra parte è forse il miglior omaggio che si possa fare alla memoria del nostro autore: non trasformare in verità assoluta, in dogma infallibile le sue conclusioni.

La prima critica che ritengo si possa muovere all'impostazione della metodologia rizziana è il suo determinismo economico che lo conduce ad un vero e proprio misticismo del mercato. Infatti egli compie le sue comparazioni storiche impiegando un'unica variabile: il modo di produzione, caratterizzato a sua volta dalla presenza o meno di forme di mercato. Risultato: egli finisce con l'individuare sostanzialmente due tipi di organizzazione sociale: feudale e mercantile, rispettivamente identificabili dalla presenza o meno del mercato. Mentre, come ha dimostrato Wittfogel soprattutto nella prima parte del Dispotismo Orientale, esistono diversi sistemi sociali fra i due indicati da Rizzi. Sistemi che si differenziano sia per caratteristiche di ordine politico oltre che economiche. Per Rizzi ciò che è determinante è solo l'economico, il politico e il sociale sono solo sovrastrutture, il riflesso puro e semplice del primo fattore. Così egli definisce, forse per primo, la burocrazia russa come nuova classe, ma non ne analizza le motivazioni ideologiche. Non ne individua gli aspetti causali. Egli ritiene che la "nuova classe" sia stata generata dal modo di produzione instaurato. Rizzi non si interroga sulla possibilità che possa essersi verificato proprio l'opposto: la "nuova classe" al potere non per "completare un nuovo ordine economico ma - come osserva Gilas - per costituire il proprio e stabilire così il potere sulla società". Essa, infatti, esercitando il suo potere instaurava "un monopolio sulla classe operaia stessa". Monopolio non esclusivamente economico, anzi "Tale monopolio - si legge ne La Nuova Classe - è prima intellettuale, sul cosiddetto proletariato di avanguardia, e poi su tutto il proletariato". Ciò è reso possibile dalla natura autolegittimante contenuta nell'ideologia della nuova classe. Infatti "i capi comunisti (sono convinti) di essere sulla via che porta alla creazione della felicità assoluta e di una società ideale".

Prima del mercato essi hanno abolito la concorrenza intellettuale. Queste considerazioni sono assenti nelle opere di Rizzi. Questi infatti, nella fase analitica della sua indagine, non impiega categorie di ordine sovrastrutturale. Ciò ovviamente, si riflette nelle sue conclusioni. In esse sono elusi una serie di interrogativi che ritengo sia indispensabile porre: a) è possibile, come sosteneva Rizzi, "lasciar fare alle leggi economiche?" b) oppure è indispensabile un apparato programmatore? e, se sì, con quali poteri? c) è possibile sostituire all'attuale organizzazione gerarchica piramidale una organizzazione con rapporti orizzontali? Quali dovranno essere le dimensioni aziendali?

A queste e ad altre eventuali domande bisognerà dare delle risposte che non consentano la pura e semplice "autogestione dello sfruttamento", ma che non trasformino il progetto autogestionario in una nuova promessa di "paradiso in terra". Riassumendo: bisogna trovare il giusto rapporto tra le categorie dell'essere e del dover essere, evitare che i modelli teorici risultino il frutto della proiezione dei nostri desideri.