Rivista Anarchica Online
Diseducare con il cinema
di Bruno Vettore
Registi e critici marxisti all'opera. Da "Quanto è bello lo murire acciso" a "Novecento", da "San Michele aveva un gallo" a "Il
sospetto": la cinematografia marxista deforma la realtà ad uso e consumo dei nuovi padroni -
Intanto Cossiga ostacola i circuiti alternativi con l'assenso del PCI
Un saggio di Guido Aristarco (1) sul vecchio film dei Taviani: "San Michele aveva un gallo" ripropone
una "nuova" lettura del film (infarcito delle solite "vecchie" cretinate) in cui il protagonista Giulio
Manieri (definito "rivoluzionario della fantasia") viene paragonato a due personaggi tolstojani e
precisamente Anatòlij Svjetoglùb e Ighmàt Mezenjètzkij. Comunque, tralasciando ogni parallelo
letterario, una nota a piè di pagina, sottolineando come neppure i giovani rivoluzionari della seconda
barca siano trattati bene dai due registi, annota diligentemente: "I Taviani... sono critici solo verso
alcuni gruppi extraparlamentari (quelli appunto spontaneisti) e la loro critica si cala comunque in un
contesto di umana simpatia" (ricordo che il film è del 1971), chissà se adesso (fine '77) i Taviani avranno
ancora questo nobile sentimento verso gli "untorelli" di ambo le barche.
Ciò che conta, sintetizzando il mio intervento in un dibattito sul film, è l'irrealtà della pellicola se
inquadrata sotto l'aspetto del divenire storico. Mi chiarisco con un esempio: al di là di ogni
contrapposizione tra il socialismo libertario di Manieri e quello autoritario dei suoi giovani interlocutori
(contrapposizione scontata e su cui non mi soffermo) è assurda ogni critica alla guerra per bande
nell'Italia del Sud polemicamente contrapposta alle prime lotte del proletariato nel Nord, due luoghi con
uno sviluppo storico completamente diverso a dieci anni di distanza (tanto è durato l'isolamento in
carcere di Giulio Manieri); ma, nonostante le acrobazie letterarie del signor Aristarco, è chiaro "da
sempre" che la vicenda di "San Michele aveva un gallo" è ispirata alla banda del Matese (1877) e che
i fratelli Taviani interpretando lo spirito del marxismo riformista hanno voluto deformare, a loro
vantaggio, una realtà storica che al socialismo autoritario non è mai piaciuta.
Questa constatazione, abbastanza ovvia, ci introduce al punto fondamentale del mio discorso: quando
mai i marxisti (critici e registi) che si interessano di cinema sono obiettivi?
Iniziamo dai registi. Dei Taviani si è già detto: con i loro film successivo (Allonsanfan) insistono sul
tema della crisi e del riflusso dell'istanza rivoluzionaria presentando un Fulvio Imbriani sovversivo
stanco (comunque ben diverso da quello di Alan Resnais in "La guerra è finita") e poi addirittura
traditore dei suoi stessi compagni, ma il film è tutto addolcito dalle melodie accattivanti di Ennio
Morricone.
La realtà viene ancora brutalizzata da Gian Vittorio Baldi in "L'ultimo giorno di scuola prima delle
vacanze di Natale" il quale presenta un episodio di violenza nella RSI come emblematico del fascismo
dimenticando, a mio avviso, quanti e quali fatti e situazioni (sociali-politico-economiche) precedenti e
contemporanee resero possibile che nell'agonia del ventennio fascista avvenisse un eccidio come quello
che egli narra "poeticamente" (con citazioni pascoliane addirittura) nel suo film. Una maniera, insomma,
di esorcizzare il presente fascismo socialdemocratico presentando un episodio atroce di quello passato
(lo spettatore è portato a credere che fascismo sia solo quello e sottovaluta il presente).
E ancora non è possibile dimenticare l'apparente obiettività di Ennio Lorenzini e del suo "Quanto è bello
lo murire acciso" sulla vicenda di Carlo Pisacane, in cui egli (con un realismo storico che viene
ripetutamente sottolineato in polemica con i Taviani) vuole presentare l'esigenza di una rivoluzione
borghese in Italia in contrapposizione all'unificazione del paese attuata dai Savoia: a mio avviso, invece,
egli pone solo un abile presupposto storico per dimostrare come solo il partito comunista (a cui egli
appartiene) sia in grado di garantire una rivoluzione (nel senso di presa del potere) dei ceti medio-borghesi con l'aiuto di forze eterne all'interno dello stato, (la polizia) rappresentate nel film dal maggiore
dell'esercito borbonico, il quale, mentre stermina la banda di Pisacane, si prepara già a vestire la divisa
piemontese, simbolo di una continuità repressiva all'interno di ogni stato e di ogni regime.
Non mi dilungo nemmeno su "Il sospetto" di Maselli (rappresenta una strumentalizzazione dell'individuo
a favore dell'organizzazione marxista-leninista) e su i "Novecento" I e II di Bertolucci (ridicole guittate,
finanziate dai capitali americani, basate su una interpretazione assolutamente fantasiosa della realtà
storica).
Per quanto riguarda i critici cinematografici, è impossibile non parlare dell'ermetismo riassuntivo di
Tullio Kezich il quale, ad esempio, pur dicendone peste e corna, presenta il fumettone "King Kong"
pubblicizzandolo ulteriormente, come se non vi fosse già abbastanza pubblicità per i kolossal di questo
genere.
Altro punto poco chiaro e perché tutti questi critici di "sinistra" (Kezich - Argentieri - Miccichè - Solmi
per fare nomi fra i più noti, ma ve ne sono molti altri) presentino, a parte qualche rara eccezione, solo
i film che escono nelle sale di visione normale e non quelli di difficile reperimento e visionabili solo nei
cineclub, nonostante concionino in continuazione che il panorama filmico italiano è carente, che la
cinematografia procede per "generi", che non vi sono possibilità per i giovani esordienti. Per esempio
avete mai sentito costoro parlare di "Vermisat" di Mario Brenta o di "Anna" (primo film italiano in
videotape realizzato con mezzi scarsissimi) di Massimo Grifi e Alberto Sarchielli?
Tutti hanno visto "La corazzata Potemkin" (3 volte in TV, l'ultima proprio in questi ultimi tempi, con
la presentazione di Mino Argentieri ovviamente) ma nessuno o pochi eletti hanno visto "Non si scrive
sui muri a Milano" (un film situazionista) o "Irene Irene" di Peter Dal Monte; intanto comunque i critici
presentano "Black Sunday", "Cassandra crossing" e il "Casanova" felliniano.
Ma c'è di peggio. Mentre il nostro Guido Aristarco, evidentemente ossessionato dal fantasma
internazionalista di Giulio Manieri, si masturbava intellettualmente con i suoi paralleli tolstojani, nel
quadro dell'offensiva contro i covi eversivi il nostro cancelliere Obersturmfuhrer Cossiga (con circolare
datata 12.10.76, numero protocollo 10.4660/13500 indirizzata a prefetti, questori, P.S., C.C., G.d.F.)
metteva in difficoltà i cineclub di tutta Italia con queste disposizioni: "... allo scopo di accertare quale
debba essere il trattamento amministrativo e di polizia da riservare agli spettacoli cinematografici
nelle sedi di circoli privati, quando tale attività, preceduta da vasta pubblicità, venga svolta con
carattere di continuità e con larga partecipazione di spettatori...". Conseguenza pratica di tutto ciò:
pagare multe salatissime o per presunti difetti di licenza, o per "inagibilità sanitaria" dei locali, o per
mancato rispetto delle norme di sicurezza antincendio: se non si paga, bisogna chiudere il cineclub
immediatamente.
Nonostante sia una chiara manovra repressiva che tende ad eliminare il circuito del cinema alternativo
non commerciale, nessun giornale ne ha parlato. Mi sembra quasi inutile dire che se vi è stata una leggera
flessione dei gusti del pubblico a favore dei film d'autore questa è dovuta principalmente al circuito dei
cineclub.
E i critici di "sinistra" cosa dicono? Tutti o quasi stanno recensendo l'ultimo fumettone statunitense "Star
Wars" (Guerre stellari), assicurano che è un vero divertimento!!
Note
1) Cinema nuovo n.247 - pagg. 202-206.
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