Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 7 nr. 61
novembre 1977 - dicembre 1977


Rivista Anarchica Online

Reggio rossa non avrai il nostro scalpo
di Gynnasio Nihilista

La polizia caccia i compagni che occupavano gli Ex-Artigianelli, i ginnasiali interrompono la seduta del consiglio comunale, l'Unità tuona contro i compagni, il P.C.I. locale alterna paternalismo e violenza, la magistratura comincia a farsi viva con denunce e convocazioni, la gente discute - A Reggio Emilia qualcosa si muove nello stagno del conformismo comunista

I bagliori dei fuochi, accesi nella notte tra il 9 e il 10 novembre agli Artigianelli occupati non mostravano sui visi dei Gynnasiali segni distinti di sgomento o paura. Sapevamo già, sin dall'alba del 22 ottobre, che nello stesso momento in cui sfondavamo il portone dell'ex-lager di Stato, la nostra pratica dell'illegalità, la nostra scelta anti-istituzionale, la nostra consapevolezza di voler condurre una lotta permanente contro l'autorità ci avrebbero, prima o poi, portati al pettine con i nodi del potere. Proprio quello, che dopo 18 giorni di occupazione, è regolarmente avvenuto. Di primo mattino, alle livide luci dell'alba, blindati, P.S. e carabinieri corazzati, in numero tale come da anni nella "reggio tranquilla" non si vedevano, hanno infatti invaso l'area liberata scacciando brutalmente i sonnolenti compagni, inchiodati e letteralmente allibiti di fronte a tale esibizione di inutile forza, contemporaneamente divertiti però da tanta palese stupidità. Nessun panico tuttavia, nessuna paranoia ci ha attanagliato la gola e ci ha fatto abbassare la testa. Tranquilli, sereni, sicuri della nostra pratica distruttivo/creatrice, sapevamo con certezza che il coltello dalla parte del manico, l'avevamo avuto sempre ben saldo. Tra tanti dubbi, interrogativi, momenti d'impasse o di slancio, una consapevolezza però, fin dalla nascita del Gynnasio, ci ha sempre guidato: "Solo il conflitto totale e permanente con l'autorità in qualunque modo mostri il suo volto, può liberarci dalle pastoie in cui sempre più il consenso sociale cerca d'invischiaci o di sommergerci: da quest'atavica, quanto esaltante certezza è nato il nostro reciso NO! a qualsiasi patteggiamento con il sistema, il nostro rifiuto, prima etico che politico, a qualsiasi tentativo, per quanto suadente e mellifuo, di farci uscire dall'ex-lager Artigianelli, cercando poi di sciacquare la coscienza di tutti in un progetto di Svedesizzazione che mira a trasformare le barricate comunarde in lindi e quadrati giardini più consono ad una Stoccolma social-democratica..." (Bollettino d'agitazione n.0, Gynnasio Nihilista dall'interno del collegio occupato). "Lo sberleffo dei nihilisti alla delegazione municipale", "I nihilisti respingono le proposte del Comune", così i titoli di stampa hanno superficialmente commentato il nostro rifiuto ad ogni tipo di mediazione recuperante. Dall'interno di "Kronstadt assediata" tutto questo era però vissuto in maniera ben diversa e rivoluzionaria. Dalle quotidiane e affollatissime assemblee uscivano le decisioni da portare all'esterno. Agli ex-Artigianelli, in quella che una volta era tra le più repressive delle istituzioni, in quel modello di Lager in cui le potenzialità devianti e ribelli venivano sin dalla più giovane età incanalate nei binari morti del lavoro sfruttato e del consenso ideologico; in quello spazio enorme e bellissimo abbandonato da un potere ottuso quanto spietato, una nuova comunità anti-istituzionale andava, giorno dopo giorno, prendendo forme sempre più nette e libertarie. L'azione diretta e la pratica illegale, l'aggregazione e il serrato dibattito, l'unione perfetta tra lavoro intellettuale e manuale, avevano generato in tutti noi una sorta di fratellanza rivoluzionaria, una consapevolezza comune tra l'enorme differenza tra chi sta dentro o fuori dal potere, tra chi questo lo subisce e chi invece lo gestisce, tra psichiatri e psichiatrizzati, in definitiva tra sfruttati e sfruttatori. In quest'area espropriata allo Stato, in quest'atmosfera diversa ed esaltante, in questo totale cambiamento, che ognuno di noi ha avvertito in senso liberante e libertario, anche le nostre apparenti diversità hanno potuto ricomporsi. Il buco nel muro di 18 giorni prima si era trasformato in un'enorme ferita all'interno del "corpo sovrano". Uno spazio, uno spacco, pochi metri di vera libertà erano stati sufficienti a richiamare centinaia di sfruttati. Operai senza lavoro, studenti senza scuola, emigrati senza casa, femministe e "rivoluzionari" senza identità collettiva, sottoproletari senza classe, giovani "delinquenti" ancora senza fedina penale, avevano potuto riempire le loro mancanze, colmare i loro vuoti repressi, guardarsi per la prima volta negli occhi e poi, in modo diverso, stringersi la mano. E tutto questo solo perché, almeno per un breve, ma intensissimo momento, il potere non aveva, in quello spazio libero, né reali, né fantasmatiche presenze.

"Da oggi 22 Ott.1977 agli ex-Artigianelli lo Stato è abolito" questa la firma, enorme, scritta sul muro dell'entrata. E tutto è stato più facile, naturale, bello e rivoluzionario. Come per incanto l'autorità era morta. Il padrone fuori, ma anche il padrone dentro di noi era stato abolito. Ulteriore conferma, e forse se ne sentiva l'ingente bisogno, che l'utopia deve e può vincere ancora. In ognuno di noi come negli altri, nell'uomo come nella società. Era quindi con gioia, con la felicità di chi sa di essere sulla strada della propria liberazione che la sera precedente lo sgombero potevamo scrivere sui manifesti appesi in tutta la città: "Oggi, 9 nov. '77, a 17 giorni dall'occupazione, noi non sappiamo, ne vogliamo sapere, le conclusioni che i giochi di potere ancora una volta faranno passare sulle nostre teste. Di una cosa tuttavia siamo sicuri: "preferiamo di gran lunga uscire di qui con le mani legate, che transitare sotto le forche caudine che i gestori dei gulag nostrani ci hanno preparato, per l'espiazione della colpa commessa ed il successivo recupero del nostro irriducibile dissenso".

La mattina dopo, come già detto, "il braccio violento della legge" sfondava quella porta, che noi, per la prima volta, la sera precedente, avevamo sbarrata. Nello stesso momento, in altri luoghi, ma con la medesima logica, la stessa legge, cambiava apparentemente disegno e chiudeva altre porte. Sfondare agli Artigianelli e sbarrare via dei Volsci: diverse le partite ma identici i significati: ogni spazio, ogni bocca, ogni entità che esprime dissenso, dev'essere chiusa, messa a tacere, soffocata nel limbo delle contraddizioni "risolte". Ed è proprio questo, in definitiva, che all'idra tentacolare mossa dai vecchi e nuovi padroni, dava e dà più fastidio. Eravamo lì, sfottenti, implacabili, a discutere che le cose non vanno poi così bene, che il consenso non è così totale, nell'isola felice dell'Emilia "Rossa". Ma non solo voci, parole o scritte, che questa volta si sono innalzate. Braccia decise hanno aperto le serrature, sfondato i portoni, ridato vita a ciò che era morto. Il ribelle è passato all'azione diretta. Il deviante non è voluto rientrare nei ranghi. L'emarginato ha rivendicato la propria marginalità. Senza mediazioni, patteggiamenti; senza nessuna intenzione di dare un dito per poi farsi prendere il braccio. Qui, è lo scatto, il salto di qualità, qui una coerenza che ha dato fastidio e ha fatto paura. E proprio in quelle sacche di emarginazione in cui il potere ha sempre pescato per rinforzarsi e gratificare la propria esistenza.

Non sorprende perciò la dura reazione, gli appellativi infamanti, il tentativo di farci passare come teppisti, provocatori o, peggio ancora, come fascisti. Il 12 novembre '77 sul bollettino di partito a nome "Unità" così si esprimeva la giunta comunale a proposito di una invasione da parte del Gynnasio Nihilista al Consiglio Comunale: "Interrompendo la riunione del Consiglio gli aderenti al Gynnasio Nihilista hanno compiuto un gesto grave (?) al quale non sono giunti, nella nostra città, neppure i fascisti. È ridicolo che questi professionisti dell'emarginazione vogliano spacciare le loro azioni come denuncia della repressione, dei gulag.... È insultante per tutte le vittime della repressione politica (?) che questi mediocri gigioni si presentino come loro fratelli, come perseguitati costretti a tacere e a subire". Crediamo superfluo commentare o ribattere su questa rivista le accuse che ci vengono mosse dalla giunta roseé, parla già a sufficienza per loro tutta l'acredine, l'astio, ed anche l'impotenza, con cui sentono una situazione sfuggirgli di mano e di cui avvertono l'impossibilità di un controllo sociale e politico. Dal canto loro le forze più reazionarie e conservatrici così tuonavano: "Questi sbandati hanno profanato la sala in cui fu fondato il tricolore italiano". E quest'"accusa" non poteva farci più piacere. Ma la verità della stampa, si sa, è sempre di parte; dall'interno, ancora una volta, le cose erano vissute in maniera totalmente diversa. All'indomani dello sgombero il ghetto nostrano di P.zza Prampolini aveva riconfermato la propria vocazione di madre possessiva e autoritaria nello stesso tempo però anche ammiccante, e aveva riaccolto senza colpo ferire i figli illegittimi e degenerati. Tuttavia, il viaggio lontano da casa, non era stato totalmente infruttuoso, anzi, il contrario. Cresciuti, moltiplicati, più che mai sicuri delle nostre potenzialità, ci siamo immediatamente resi conto che il grembo materno era nel frattempo diventato irrimediabilmente stretto. Non potevamo più continuare a subire, senza perlomeno esprimere il nostro dissenso. Per una strana, ma non così casuale coincidenza, sulla stessa piazza sorge anche il "palazzo d'inverno" del potere bolscevico. Ci è voluto del tempo per attraversarla: mesi, anni di repressione ed emarginazione. La settimana scorsa l'abbiamo però fatto di corsa, senza nemmeno fermarci un attimo, nuovi meccanismi erano in moto, nuove forze ci spingevano avanti - "Gulag, Gulag" - abbiamo urlato ai burocrati di partito. "Gulag, gulag" ai falsi portatori di messaggi rivoluzionari. "Gulag, gulag" ai lugubri vigili che ci spintonavano fuori. Il panico correva frattanto sacrosanto tra i colletti sudati e gli sguardi smarriti di chi, oggi, finalmente, comincia ad avere paura. Il giorno dopo un vivace e combattivo corteo attraversava le strade di una città incredula e stupita, di fronte ad un dissenso che mai nella Reggio della social-democrazia pianificata ad ogni livello, aveva trovato voci così decise e compatte.

Questa, brevemente, la cronaca. Dietro i fatti però, altri significati stanno a parlare di una repressione montante che tenta in ogni maniera di impaurirci e distruggerci. Denunce, comunicazioni giudiziarie, minacce personali ed intimidazioni provocatorie sono ormai all'ordine del giorno. Riportiamo qui di seguito alcuni stralci di un documento agghiacciante, ulteriore prova, che il confino di marca fascista "nel paese più libero del mondo" ancora non è morto; nuova facciata di uno stato che usa ogni mezzo, anche il più illecito, per reprimere l'uomo. Sono stralci di una diffida che il questore di R.E. ha inviato alcuni giorni or sono ad un Gynnasiale: "... Visti gli atti ecc. ecc. ecc., accertato che lo stesso risulta denunziato per..., considerato che trattasi di individuo ozioso e vagabondo, solito stazionare in vie e piazze di questa città unitamente ad altri giovani sfaccendati, atteso che non svolge stabile attività lavorativa, visti gli articoli 1-2-3-4, legge 27 ecc. ecc. diffida il signor... su generalizzato, a cambiare condotta, avvertendolo che, in caso contrario sarà preposto all'Autorità Giudiziaria... Reggio Emilia, li 31/10/'77". Intimidazioni e "avvertimenti" di questo tipo stanno piovendo quotidianamente sulle teste degli ex-occupanti, segni precisi di un disegno repressivo che non vuole concederci il purché minimo spazio. Ma se questa è la facciata più dura di un potere che nega e che vieta in modo violento e a cui il P.C.I. ha dato pienamente il suo avvallo, altri possono però essere gli aspetti di una medaglia, che pur di salvare la faccia è pronta alle più sibilline proposte.

Chiare, allora in questo senso le posizioni degli Enti Locali, i quali, nelle vesti di "governo della città", non possono, di fronte all'opinione pubblica, soltanto evitare o reprimere in maniera brutale le contraddizioni che noi abbiamo portato. Il Sindaco di Reggio, Ugo Benossi, coperto dal partito e dalla Giunta che gli fa scudo, può così dichiarare col sorriso stretto tra i denti: "Continueremo a lavorare per cercare di aiutare questo gruppo di giovani a superare lo stato di crisi in cui si trova. Siamo stati amareggiati dal loro comportamento di mercoledì sera, ma non abbiamo modificato la nostra volontà costruttiva ed aperta nei confronti dei loro problemi. Nei prossimi giorni faremo un incontro con tutti i capi gruppo per cercare assieme di sviluppare alcune iniziative". Questa gente insomma, non sa, o forse non vuole capire. Ma chi pretende che si lavori per noi? Ma chi si aspetta aiuto da loro? Posizioni dicotomiche ci dividono, filosofie della vita ci separano, idee politiche si scontrano: autorità ed anti-autoritarismo non sono mai andati d'accordo, libertà ed oppressione sono due termini inconciliabili, alienazione o liberazione, parole dai significati opposti. Lo scontro è dunque aperto e sarà senza dubbio sempre più duro.

Oggi, a dieci giorni dallo sgombero, i vecchi problemi si stanno tuttavia facendo nuovamente impellenti, ma il ricordo dell'occupazione e di quello che per tutti noi ha significato, non sì è certamente sopito, anzi, ci stimola sempre di più a continuare sulla strada intrapresa. Noi, Gynnasio Nihilista, crediamo che da questa esperienza possa essere nato, anche nella nostra città, il germe di un rifiuto reciso a qualsiasi progetto totalizzante e di controllo sociale: come ex-occupanti speriamo che questi germogli rapidamente fioriscano e si espandano a macchia d'olio, presupposti minimi ed essenziali ad un progetto autenticamente rivoluzionario che deve vedere tutti coloro che non si riconoscono nei giochi di potere gestiti dall'alto (potere sindacale, religioso, scolastico, partitico, familiare ecc.) ribellarsi in prima persona e collettivamente ai continui tentativi di espropriazione della propria libertà di individui. Espropriamo gli espropriatori.