Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 7 nr. 56
aprile 1977


Rivista Anarchica Online

Disinnescare le mine?
di Paolo Finzi

Se fosse solo per i loro otto referendum, forse non ce ne occuperemmo nemmeno più. Sui radicali, sulla loro strategia riformista e sul loro presunto eclettismo ideologico abbiamo già scritto la nostra opinione su queste colonne. In particolare sia all'epoca della bagarre del referendum per il divorzio sia in occasione del primo lancio della campagna per gli otto referendum abbiamo avuto modo di chiarire le ragioni del nostro astensionismo rivoluzionario. Dovendo sintetizzarle, possiamo riaffermare che tramite i referendum, indipendentemente dai loro risultati specifici, si rafforza il regime, che vede così aumentata la partecipazione delle masse alla logica delle istituzioni. Siamo perciò convinti che la partecipazione ai referendum non possa comunque essere vista come un momento "tattico" nella lotta contro lo Stato: chi, se non lo Stato, potrà trarre giovamento da un eventuale impegno di larghe masse nelle battaglie referendumiste? Non vogliamo certo negare che anche tramite i referendum si possa andare "un po' avanti", si possano cioè ottenere dei miglioramenti: diciamo solo che ciò non ci interessa, per il semplice fatto che siamo rivoluzionari. Le riforme ci interessano solo quando sono il risultato di una lotta diretta condotta in prima persona dagli sfruttati e quando, comunque, non servano - per il mezzo utilizzato - a rafforzare la credibilità di quel regime che resta sempre il nostro principale avversario, il vero nemico dell'emancipazione sociale.

I radicali, da bravi riformisti quali sono, si stupiscono sempre di questa nostra coerenza e spesso la irridono. Il fatto non ci meraviglia: il solco che ci separa è esattamente quello che separa qualsiasi forza rivoluzionaria dalle multiformi facce del riformismo. Il partito radicale - lo abbiamo già affermato con chiarezza, è un partito riformista, anche se tale non ama sempre esser definito, preferendo sistematicamente ammantarsi di una veste e di una terminologia rivoluzionaria. Di questi equivoci lessicali e radicali sono indubbiamente maestri, non a caso: il confonder le carte in tavola per cercare consensi a destra e a manca è una loro caratteristica strutturale, si può anche dire che fa parte della loro strategia. Definirsi nel contempo liberali, libertari, rivoluzionari, democratici, socialisti, ecc., è direttamente funzionale al loro progetto riformista; così come il dirsi eclettici, e senza "ideologia", "aperti", non serve altro che a mascherare un progetto politico ben definito, con una sua base ideologica certo originale rispetto a quelle degli altri partiti riformisti, ma non per questo "inesistente" come vorrebbero far credere i leaders radicali.

Per questa loro indeterminatezza ideologica, per certi mezzi adottati a volte nelle loro lotte (seppure sempre per fini riformisti), per alcune battaglie comunemente condotte in passato (marce antimilitariste, iniziative anticlericali, ecc.), i radicali sono sempre stati guardati con particolare simpatia dagli anarchici. Anche noi, che pure abbiamo sempre denunciato l'equivoco riformista ed altre nette discriminanti tra noi e loro, non abbiamo mai voluto forzare i tempi di quella divaricazione di posizioni che negli ultimi anni ha sempre maggiormente separato noi da loro.

Con la loro entrata in Parlamento (che sancisce il ruolo radicale di critica all'interno delle istituzioni) e con alcune delle loro recenti prese di posizione il solco che ci separa si è fatto ancora più profondo. Certe loro battaglie non ci trovano più solo scettici o estranei: a volte, ormai, siamo su posizioni diametralmente opposte.

È questo il caso dell'agitazione che i radicali hanno cercato di promuovere negli scorsi mesi (fino alla vigilia del loro rinnovato impegno referendumista) per "costringere" il governo ad attuare appieno la riforma carceraria e soprattutto per ottenere miglioramenti salariali e normativi per gli agenti di custodia.

Per quanto riguarda questi ultimi, tanto vale sgombrare subito il campo. Delle condizioni dei secondini non vediamo cosa ci possa interessare: pensiamo che sia inconcepibile - se non in un'ottica riformista (come appunto quella radicale) - che se ne occupi chi dovrebbe invece lottare per la loro scomparsa. Chi lotta perché ci siano più secondini, perché i secondini non siano oberati da troppo "lavoro", perché così non rischino poveretti di farsi sopraffare dai detenuti in rivolta, ecc. non può essere considerato "un compagno".

Per comprendere appieno le ragioni di questa battaglia radicale in difesa degli agenti di custodia è necessario risalire alla più generale lotta per la riforma carceraria: sono stati i radicali stessi a spiegare che, le carceri essendo sovraffollate e i secondini insufficienti, la situazione stava diventando di giorno in giorno più esplosiva. "La situazione carceraria è ormai una mina: il governo deve disinnescarla. Se non lo farà, si sarà assunto una grave responsabilità bla bla bla...": questa in sintesi l'opinione radicale. Noi la pensiamo in modo diametralmente opposto, non a caso.

Il compito dei riformisti, da sempre, è quello di "disinnescare le mine" presenti nel conflitto sociale, nel tentativo di migliorare il sistema vigente. È giusto e logico che i radicali, in questa prospettiva, si occupino dei secondini e si preoccupino che non abbiano a verificarsi "episodi incresciosi come le evasioni e le rivolte carcerarie". Il compito dei rivoluzionari, invece, è quello di "innescare" quante più mine possibili nel conflitto sociale, facendo in modo che questo non tenda mai a spegnersi ma si riaccenda continuamente più forte e più vasto di prima.