Rivista Anarchica Online
Cefis scambia feudo?
a cura della Redazione
Eugenio Cefis, il più chiacchierato manager della grande industria italiana, lascia il suo posto di
presidente della Montedison, il fatiscente colosso della chimica.
Nell'assemblea degli azionisti del 18 aprile, davanti a poco più di quattrocentocinquanta azionisti privati
e pubblici, il boss incontestato delle alchimie finanziarie, dopo aver passato in rassegna le attività
gestionali e finanziarie del gruppo Montedison, ha dichiarato la sua volontà, irrevocabile, di non
accettare il rinnovo della carica.
Le "dimissioni" di Cefis fanno notizia. Quando nel 1971 assunse la presidenza della Montedison era già
un "uomo da prima pagina". Nel 1968, come presidente dell'E.N.I., il colosso pubblico della chimica,
inizia la scalata alla proprietà della Montedison e nel giro di pochi anni si assicura un consistente
pacchetto di controllo, dopo di che forte di questa partecipazione e dell'appoggio della DC, Cefis riesce
ad assumere la massima carica nella Montedison. Da quel momento intraprende una serie di iniziative
che suscitano scalpore negli ambienti finanziari già attoniti dalle manovre speculative di Sindona. È
proprio con Sindona che Cefis si scontra nell'ottobre del 1971 per il controllo della finanziaria Bastogi.
Sindona ne esce sconfitto e questa vittoria serve a Cefis per lanciarsi in operazioni sempre più complesse,
creando partecipazioni incrociate, società holding e anstalt nei paradisi fiscali, con il preciso scopo di
assicurarsi un potere autonomo da "feudatario ribelle". Ma la situazione economica della Montedison
è sempre più precaria e per coprire le falle finanziarie della sua politica espansionistica, Cefis si fa
finanziare con denaro pubblico a tassi agevolati, cioè facendo pagare all'intera collettività i suoi sogni
imperiali. Scoppiano gli scandali, si istituiscono farsesche commissioni d'inchiesta, ma nulla sembra poter
fermare l'azione di Cefis che fa e disfa a suo piacimento, fino a farsi pagare profumatamente le aziende
più scalcinate cedute all'E.G.A.M. (ente pubblico di cui recentemente è stato deliberato lo scioglimento).
Quando lo sconquasso della Montedison è al culmine, Cefis trova nel ricatto ai politici (da lui sempre
ampiamente corrotti) e nei licenziamenti e nella messa in cassa integrazione di migliaia di operai le
valvole di sfogo che gli consentono di tappare le falle sempre più vistose della sua gestione.
Oggi Cefis se ne va (anche se l'immancabile De Carolis ha già proposto che a succedergli sia ancora lo
stesso Cefis) non perché la sua gestione lo abbia portato nelle "patrie galere", avendo agito al di là della
legalità e delle norme stabilite dalla sua stessa classe di sfruttatori, ma perché questa Montedison così
dissestata rischia di travolgerlo e non è più un trono sicuro. Inoltre l'equilibrio politico si è spostato.
L'egemonia della Democrazia Cristiana si è ampiamente incrinata e le sinistre non vogliono più subire:
vogliono poter dire la loro nelle decisioni dei grandi potentati economici fino ad oggi gestiti
monopolisticamente dai ministri democristiani. Il nuovo quadro politico mal si adatta a un "battitore
libero" come Cefis, l'accordo governo-sindacati-PCI, necessita di un entroterra economico-politico
impostato su basi nuove. L'attacco dei comunisti e dei sindacalisti va visto proprio in questa ottica;
nessun intento moralizzatore, ma una ripartizione del potere anche a livello economico oltre che politico,
e forse l'inconfessata aspirazione di succhiare alle ancor grasse mammelle della Montedison. E Cefis
lascia il campo. Ma, da buon cavallo di "razza padrona", sa cadere in piedi e al momento giusto ha
nominato i suoi successori, tutti uomini fidati perché ampiamente compromessi con le sue operazioni
sotterranee che gli garantiranno una copertura; per di più ha fatto approvare un aumento di capitale da
435 a 820 miliardi, da attuarsi in un paio d'anni. Quest'ultima manovra, se attuata, andrà in parte a
coprire i più grossi "buchi" lasciati dalla sua gestione che comunque vede l'ente chimico sull'orlo di un
dissesto difficilmente sanabile. Basti pensare che l'indebitamento dell'intero gruppo a breve termine nei
confronti delle banche ammonta a ben 973 miliardi, mentre i debiti a media e a lunga scadenza
raggiungono i 780 miliardi, tanto che nel 1976 si sono dovuti corrispondere 387 miliardi per interessi
passivi.
Il mito di Cefis muore soffocato dai debiti, la sua pretesa di presentarsi come manager efficiente capace
di guidare un grande impero economico si è infranta e rimane solo l'immagine del maneggione clientelare
che senza le sovvenzioni statali è destinato al fallimento. Cefis è comunque il prototipo di una nuova
figura sociale: il "tecnocrate totalitario" che persegue il potere contrattando e corrompendo i dignitari
di una corte da basso impero. Quale sarà il nuovo feudo di Cefis?
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