Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 7 nr. 56
aprile 1977


Rivista Anarchica Online

Dalla proprietà privata al collettivismo burocratico
di Emilio Cipriano

L'analisi di Bruno Rizzi della nuova classe.
La proprietà collettivizzata e un nuovo rapporto di produzione sono l'espressione socio-economica di una nuova classe dominante che riduce i lavoratori in servi di stato.

Il 13 gennaio è morto Bruno Rizzi. A molti compagni questo nome suonerà sconosciuto o quasi nonostante sia comparso due volte sulla nostra rivista: nell'ottobre 1971 come autore dell'articolo "Scacco al re" sulla crisi del dollaro, e nel novembre '74 con "Il suicidio del capitalismo" sull'inflazione come elemento di statizzazione dell'economia.

Bruno Rizzi non era un anarchico, ma di scuola marxista, anche se estremamente eterodosso, tanto da citare frequentemente e con stima sia Bakunin che Proudhon. Autore di numerosi saggi, Rizzi va ricordato per la sua intuizione che individua nella trasformazione socio-economica attuale, imperniata su un nuovo rapporto di produzione, l'avvento di una nuova forma di sfruttamento basata non più sulla proprietà privata dei mezzi di produzione, ma su una "proprietà di classe" esercitata collettivamente dai tecnocrati e dai burocrati.

L'analisi di Rizzi prende le mosse dalla constatazione che in Unione Sovietica la soppressione della proprietà privata e dei capitalisti-imprenditori non ha generato il socialismo ma ha prodotto una nuova classe dominante che sfrutta le masse russe attraverso un rapporto che per molti aspetti ricorda quello feudale. Su questa tematica Rizzi avviò, poco prima della seconda guerra mondiale, una polemica con Trotzkij che ebbe una certa risonanza nell'ambiente dei comunisti dissidenti. Alla tesi dello "stato operaio degenerato" Rizzi ne contrapponeva un'altra secondo cui: "l'U.R.S.S. rappresenta un nuovo tipo di società diretta da una nuova classe. La proprietà è collettivizzata ed appartiene a questa classe che ha organizzato un nuovo sistema di produzione. Lo sfruttamento passa dal dominio del singolo a quello della classe". (1)

Questa nuova classe è costituita dai burocrati di stato e Rizzi così li definisce: "Sono coloro che dirigono l'economia così com'era normale tra i borghesi. Sono coloro che si appropriano dei profitti come è regolare presso tutte le classi sfruttatrici. Sono coloro che fissano i salari ed i prezzi di vendita delle merci." (2)

Questa nuova classe sfrutta i lavoratori attraverso la proprietà statale: "Nella società sovietica gli sfruttatori non si appropriano direttamente del plus-valore come fa il capitalista incassando i dividendi della sua azienda, ma in modo indiretto, attraverso lo stato, che incamera tutto il plus-valore nazionale e poi lo ripartisce ai suoi stessi funzionari. Buona parte della burocrazia, tecnici, direttori, specialisti, stakanovisti, ecc. vengono in certo qual modo autorizzati a prelevare direttamente nell'azienda che controllano i loro pepati emolumenti e godono poi, anch'essi come tutti i burocrati, dei servizi statali pagati col plus-valore e che nell'U.R.S.S. in onore alle forme di vita socialista sono importanti e numerosi (...). Vediamo dunque che lo sfruttamento dalla sua forma individuale si trasforma in forma collettiva corrispondente alla trasformazione della proprietà. Si tratta di una classe in blocco che ne sfrutta un'altra". (3)

Questo assetto economico trasforma le connotazioni delle classi sfruttate: "In ultima analisi lo stato sovietico di oggi ha asservito in blocco il proletariato ed i rapporti tra imprenditore e prestatori di manodopera sono totalmente cambiati. Il lavoratore della Russia odierna non ha più nulla a che fare con il proletario, assume i caratteri peculiari del servo. Lo sfruttamento avviene pressappoco come nelle società feudali: il suddito di stato lavora per un solo padrone: lo stato. (...). La classe burocratica russa è la padrona della classe lavoratrice, dispone della sua forzalavoro e del suo sangue, le darà la possibilità di vivere con uno standard superiore a quello dei servi dell'antichità poiché tutto è relativo, ma la classe lavoratrice russa non è più proletaria: è serva di stato. Serva nella sostanza economica e serva nelle sue manifestazioni sociali". (4)

A questo punto l'analisi prende sviluppi eterodossi rispetto al marxismo e infatti il Rizzi più avanti ammette che "Marx non l'aveva prevista una simile fine dei proletari, ma questa almeno per noi, non è ragione sufficiente perché lo si debba negare. I santi, noi non li adoriamo". (5)

Ma l'analisi di Rizzi non si ferma alla natura sociale dell'U.R.S.S.. Gli anni Trenta vedono la classe tecno-burocratica assumere il potere sotto colorazioni politiche le più svariate, l'essenziale è il nuovo rapporto di produzione che si sta instaurando, così anche il fascismo e il nazismo vengono spiegati sotto questa luce: "I fenomeni del fascismo e del social-nazionalismo sono il prodotto politico della chiusura del mercato mondiale dell'epoca liberale. Tutta la fioritura monopolistica, trustistica e cartellistica degli ultimi sessant'anni non fa che tradurre la stanchezza e la saturazione progressiva del mercato capitalista. Si ricorre ai monopoli, quando l'insufficienza del potere d'acquisto esaspera la concorrenza e riduce troppo i margini del profitto, ma una politica monopolistica doveva condurre ad un grande monopolio nazionale, ad una economia anti-mercantile ed autarchica su base nazionale. L'ordine nuovo non è stato inventato da nessun genio, ma imposto dal regresso economico, dall'incapacità organica del mercato capitalista di svilupparsi ulteriormente. La nostra economia procede sempre più verso una distribuzione autarchica e non mercantile. Il produttore conosce preventivamente sempre più a chi consegnerà i suoi prodotti; l'anonimato e l'incertezza del mercato gli sfuggono, la legge di concorrenza entra in eclissi, tutto l'ordine sociale viene sconvolto nelle fondamenta e la proprietà privata dei mezzi di produzione si scioglie come la neve al sole anche se i capitalisti restano proprietari giuridici con tutte le regole dell'arte notarile.

Il fascismo non collettivizzò giuridicamente la proprietà, non espropriò nessuno, si fece anzi difensore della proprietà privata e come tale i capitalisti intesero prenderlo a servizio. Ma avvenne che esso incamerò sempre più i profitti, fissò i prezzi, le mercedi, impose la produzione o le requisizioni... e lasciò il lustro giuridico ai proprietari. Costoro lottarono accanitamente per salvare le loro aziende, ma quando si dirige in queste condizioni non si è più proprietari privati aventi il diritto di usare come meglio si crede dei propri beni; tuttalpiù si è trasformati in gerenti tecnici a provvigione entro certi limiti e con tutti i rischi a proprio carico. La proprietà privata restò giuridicamente in vita, ma più non corrispose al vero esercizio del potere sociale. Lo stato si arrogò un dominio eminente e lasciò praticamente in concessione i mezzi di produzione ai vecchi proprietari privati. Difatti gran parte del plus-valore fu ed è incamerato dallo stato". (6)

L'analogia riscontrata con il sistema feudale portò il Rizzi a studiare quel grande sommovimento sociale che si concretizzò nella caduta dell'impero romano. Il rapporto di produzione che legava il coltivatore al padrone del fondo in età imperiale non è più di natura mercantilistica: "ogni contratto della società capitalista si riduce al versamento ed all'incasso tra le parti di una certa somma, proprio allo stesso modo come il proletario ha con il padrone il solo contatto della riscossione del salario in cambio del lavoro. Parimenti, il contratto di feudo è basato sulla concessione di una terra gravata di servizi così come il servo della gleba riceve un mansus in sfruttamento e deve fornire i servizi. Il lavoratore dell'età feudale non offre liberamente sul mercato la sua forza-lavoro come una merce qualsiasi (...) dalla nascita, è già in potere del suo padrone come lo furono suo padre, suo nonno e come lo saranno i suoi figli.

È già stabilito dove dovrà lavorare per tutta la vita, per chi ed a quali condizioni. Il legame politico tra lavoratore e dirigente è tale in conseguenza delle relazioni particolari fissate dal rapporto di produzione. Questa natura politica del contratto feudale di lavoro informa e condiziona tutta la società, il regime politico anzitutto. (...) Il principato capovolge rapidamente tutta l'organizzazione politica della res-publica e comincia la sua opera immediatamente. Da una magistratura si passa ad una dittatura; da un apparato posto al servizio della classe dominante al quale esse inviava i suoi magistrati con delega di poteri, si passa alla formazione di un organo politico nel quale si aggregano direttamente, e non per delega popolare, i membri della costruenda classe dominante. In altre parole, lo stato diventa a poco a poco la classe dominante stessa; ed infatti, ben presto, non si parlerà più se non di gerarchia imperiale: i burocrati di stato investiti variamente di poteri giuridici, politici, militari e preposti dall'imperatore al governo delle province." (7)

Individuato nello stato totalitario l'agente dello sfruttamento di tipo feudale, Rizzi comprende che lo stato in quanto istituzione, anche se definito socialista, è uno sfruttatore: "Socialismo significa anzitutto emancipazione del lavoratore e fine dello sfruttamento. Condizione sine qua non è quindi che non vi siano prelievi di alcuna sorta dall'esterno dell'azienda. Pagate in un certo modo le prestazioni dei lavoratori del braccio e della mente, nessun prelevamento può essere concesso a terzi, enti o persone. Diversamente un estraneo, senza aver fornito lavoro, si impossessa dei frutti altrui creando inevitabilmente lo sfruttamento. I socialisti fino ad oggi hanno creduto di poter fare un'eccezione per lo stato. Viceversa l'organo di oppressione di classe diventa anche sfruttatore e se gratificato dall'amministrazione economica sarà totalitario. Questa è la realtà vissuta (...) gli anarchici furono sempre contrarissimi all'intervento dello stato (...) ci voleva il genio di Stalin e dei marxisti della sua generazione per fare dell'economia di stato un sinonimo di economia socialista". (8)

Rizzi arriva a concludere che: "Del resto, a che cosa ha condotto l'economia statale? Alla perdita di qualsiasi ingerenza del lavoratore, non solo nella direzione dell'azienda, ma nel proprio lavoro e nell'amministrazione dello stato. Oltre un miliardo di esseri umani si trovano già fissati a questa condizione. Il lavoratore sovietico è più avulso dalla gestione dell'azienda in cui lavora che non il proletariato occidentale. Non contratta mai col suo datore di lavoro; norme e paghe sono imposte; il lavoro è reso obbligatorio dove vuole lo Stato, è proibito lo sciopero. Invece d'emancipare il Lavoro, lo si è asservito allo Stato. Non pare proprio che per questa strada si viaggi verso il socialismo. Mai in una azienda liberamente librata nel mercato e che non permette ingerenze né sottrazioni di utili dall'esterno, si può intravedere come il lavoratore possa riuscire ad emanciparsi da qualsiasi sfruttamento e ad essere ricompensato di quello che dà come quantità e qualità." (9)

I limiti dell'analisi del Rizzi, riscontrabili anche in queste due ultime citazioni, stanno proprio nell'eccessivo economicismo, nel non aver compreso appieno la forza di altri elementi (che non sono solo economici) capaci di indirizzare lo sviluppo della società, nel preferire alla barbarie dello stato totalitario il ritorno ad un mitico libero mercato garante della libertà. Soprattutto l'aver sottovalutato la critica anarchica alla divisione del lavoro in intellettuale e manuale, generatrice - in quanto tale - di una diseguaglianza che presto o tardi si istituzionalizza ricreando la divisione in classi, ha mutilato l'aspetto geniale di alcune sue analisi. Nondimeno le intuizioni di Bruno Rizzi rimangono un valido punto di partenza per la comprensione della nostra società e in tale ambito crediamo sia giusto ricordarlo.

1) Bruno Rizzi, Il collettivismo burocratico. Imola, 1967, pag. 59, edizione in italiano di "La burocratisation du monde", Parigi, 1939.

2) Ibidem, pag. 73

3) Ibidem, pag. 79

4) Ibidem, pag. 83

5) Ibidem, pag. 84

6) Bruno Rizzi, Il socialismo dalla religione alla scienza. Milano, 1946, Editrice Razionalista, Vol. I pag. 102.

7) Bruno Rizzi, La rovina antica e l'età feudale. Bussolengo, 1969, Editrice Razionalista, Vol. I pagg. 35-36.

8) Bruno Rizzi, Socialismo infantile, Bussolengo, 1969, Editrice Razionalista, Vol. I pagg. 40-41.

9) Ibidem, pag. 46.