Rivista Anarchica Online
Il camaleonte in azione
di Luis Mercier Vega (tradotto da "Interrogations", n.8)
La Chiesa in America latina. La crisi della Chiesa è una crisi di trasformazione e di adattamento alle nuove realtà dei paesi
latino-americani - La sua strategia di intervento, quindi, è estremamente diversificata anche se
finalizzata ad un unico scopo: mantenere un potere che le sta sfuggendo dalle mani.
Secondo le statistiche, la Chiesa cattolica potrebbe contare in America latina sulla quasi totalità della
popolazione: il 90 per cento di battesimi. Più vicine alla realtà, le cifre relative ai praticanti sono meno
esaltanti: dal 10 al 30 per cento degli abitanti, secondo i paesi. Come organizzazione, e nonostante un
Consiglio Episcopale - C.E.L.A.M. - che copre l'insieme delle nazioni latinoamericane, la Chiesa è in
crisi: una crisi profonda, che la rende vittima e protagonista delle grandi trasformazioni che subiscono
le società. Lacerata, divisa, essa rimane comunque presente e viva.
Durante i secoli di dominazione spagnola, essa ha avuto, con la protezione della spada, il monopolio
religioso. Questa protezione si tradusse nel controllo, spesso operativo, da parte di re e viceré, ma anche
in parecchi privilegi, come il monopolio dell'educazione, il possesso dei servizi di sanità e delle opere
assistenziali; ed anche in numerosi vantaggi, sia finanziari (tasse speciali in suo favore, prebende,
proprietà) sia onorifici (l'occupazione di cariche amministrative e politiche). Questa adorata
sottomissione sottolineava la norma generale, che qualche dissidenza o qualche tentativo di
organizzazione autonoma non riusciva a infrangere se non parzialmente o temporaneamente: questo per
non passare sotto silenzio né il ruolo di un Bartolomeo de las Casas, né la Repubblica dei guarani del
Paraguay fondata dai Gesuiti.
Questa situazione dovette esser messa in questione dall'Indipendenza, all'inizio del XIX secolo. Caduto
il dominio spagnolo, nuovi poteri, stavolta nazionali, si costituirono. Poteri che giustificarono la loro
legittimità con ragionamenti e principi differenti da quelli enunciati dalle precedenti autorità: la
generazione dei nuovi governanti e liberatori comprendeva numerose persone che erano impegnate - o
si servivano - di teorie filosofiche progressiste, anticlericali, a volte perfino atee.
Legata dal suo passato, la Chiesa reagisce, nella maggior parte delle nazioni sorte da poco, non come
una comunità pastorale dedita alla conquista delle anime, ma come una organizzazione preoccupata di
mantenere intatte le sue funzioni ed i suoi privilegi. Essa cerca cioè, tenendo conto delle modificazioni
sopravvenute, di mantenere il maggior numero delle sue prerogative impegnandosi a difendere il nuovo
status quo sociale: un riadattamento che non modifica in maniera sostanziale la sua funzione.
Parecchi Stati proclamano l'autonomia rispetto alla Chiesa, altri non le riconoscono altro ruolo che
quello di rappresentante di una religione maggioritaria. Nella seconda metà del XIX secolo, le lotte
assumono un tono di durezza, a volte di violenza. Si tratta per la Chiesa soprattutto di mantenere il
monopolio dell'insegnamento e quindi di orientare l'educazione delle future élites ed anche di difendere
i suoi beni materiali.
Le grandi dispute del tempo - spesso riecheggiate in Europa - testimoniano di un linguaggio che oggi
si potrebbe definire prossimo al delirio. Così, perfino nelle più piccole scuole libere o nei bollettini
parrocchiali della provincia francese, il Presidente e dittatore dell'Equatore, l'eroe-martire Garcia
Moreno, viene presentato come il simbolo dell'alleanza tra la croce e la spada. Come in questa lettera
di Sua Magnificenza Monsignor Rey, vescovo di Anthédon, che si complimenta col Reverendo Padre
Berthe, autore di un lavoro su Moreno, vendicatore del Diritto cristiano: "Così, la storia di Garcia
Moreno smentisce la pretesa impossibilità di applicare il diritto cristiano alle società moderne e di
stabilire il regno sociale di Cristo sulle rovine della Rivoluzione". (2 settembre 1887). O anche le
diatribe antimassoniche di Monsignor Vital, vescovo di Olinda, che vengono tradotte e pubblicate. Padre
Luigi Gonzaga così le presenterà: "Monsignor Vital è stato una delle glorie dell'Ordine dei Fratelli
Minori del diciannovesimo secolo. La sua originalità consistette nell'aver iniziato la lotta contro la
Massoneria in un paese dove essa è onnipotente, e di aver dimostrato, nei confronti del potere civile,
un'indipendenza troppo rara tra il clero brasiliano.".
Ancora più tardi, la lotta tra rivoluzionari messicani e cattolici sarà presentata sotto un aspetto
terrificante. Nelle Edizioni della Gioventù Cattolica di Lovanio, sotto il titolo 'La Tragédie Mexicaine -
Jasqu'au Sang', è pubblicato un rapporto dei fatti: "Immediatamente iniziarono le espulsioni dei
sacerdoti stranieri, lo smembramento delle comunità religiose, l'interruzione delle scuole che non
dessero ogni garanzia di laicità come esigeva lo spirito e la lettera della nuova legislazione, la
limitazione del numero dei preti messicani autorizzati ad esercitare il ministero in determinate città
e determinate regioni, la proibizione dell'insegnamento religioso attraverso la stampa, la requisizione
degli edifici di culto e di tutti i beni della Chiesa, ed infine una regolamentazione dell'esercizio del
ministero talmente ingarbugliata che l'Episcopato ordina che a partire dall'entrata in vigore di queste
misure, i preti smettano di celebrare l'ufficio divino nelle chiese. Per rappresaglia, il Governo vietò
la celebrazione delle cerimonie religiose al di fuori degli edifici di culto".
Secondo una logica implacabile, la Chiesa ricerca l'accordo con coloro che possono garantirle un ruolo
istituzionale, i suoi vecchi diritti e le sue proprietà, combatte coloro che si oppongono.
Una Riforma in ritardo?
Confrontando questa lotta - ed il linguaggio che l'accompagnò - dell'altro secolo, che si prolungò fino
agli inizi del XX secolo, e le varie correnti riformatrici - insieme al nuovo linguaggio usato nelle
assemblee ecclesiastiche - non si può fare a meno di rilevare un certo parallelismo. Le inquietudini e le
critiche espresse nei circoli cattolici odierni riflettono le trasformazioni in corso nelle società dell'America
latina e gli sconvolgimenti che subiscono le Chiese. È di riforma che si dovrebbe parlare in questo
continente che non l'ha mai conosciuta.
Alcuni preti non si fanno illusioni, alcuni parlano. In un libro che ha il coraggioso titolo 'Agonia
dell'autoritarismo cattolico', padre Josep Dalmau ricorda che "la Riforma fu dovuta in parte al fatto
che il potere civile ed il potere religioso erano mescolati e confusi. Tutti i vescovi tedeschi erano
principi. Principi prima che vescovi." (Messico 1971). Egli scrive, rimettendo in discussione il modo
di definire i membri della gerarchia cattolica e reclamando che il dialogo si effettui tra uguali e non da
superiore a subordinato: "Abbiamo limitato il nostro studio ai rapporti tra soggetto ed autorità in seno
alla comunità religiosa che chiamiamo Chiesa. Ma i nostri rilievi sono in gran parte applicabili
all'esercizio di ogni autorità in qualsiasi società".
Attualmente, l'effervescenza dell'ambiente cattolico si traduce in un numero enorme di pubblicazioni,
alcune sollecitate, altre tollerate, certune denunciate dalle autorità ecclesiastiche. L'aver rimesso in
discussione il ruolo temporale, la missione comunitaria, i legami col potere statale, il carattere non
classista dell'apostolato, provoca una vera esplosione mentale, porta alle posizioni più estreme. Iniziano
i dibattiti e si allargano a numerose parrocchie, alla maggior parte delle associazioni, addirittura
all'interno degli ordini monastici. Gli scontri hanno a volte luogo perfino di fronte all'altare....
Stessa cosa fra i protestanti, le cui strutture organizzative sono più fragili. Riferiamo, come campione
del nuovo linguaggio, solamente queste risoluzioni della IV Assemblea continentale tenutasi a Nuna
(Perù), nel luglio 1971: "I settori popolari più colti devono sforzarsi di creare le condizioni necessarie
affinché il popolo stesso combatta per divenire il padrone del suo destino.... Bisogna sottolineare che
tutte queste attività devono necessariamente avere a propria disposizione il motore del partito politico,
che gestisce con disciplina questo orientamento della lotta". E in seguito: "Superando le posizioni
dogmatiche e schematiche, cristiani e marxisti intervengono fianco a fianco nella lotta sindacale, nei
fronti politici di massa, nella lotta diretta e ovunque occorra per il fine preposto. È attraverso questa
interazione che i cristiani approfondiscono il metodo marxista e che i marxisti scoprono il potenziale
di trasformazione che è nei cristiani". (resoconto pubblicato sotto il titolo "Movilizacion popular y Fé
cristiana"., nella rivista 'America latina', Montevideo 1971).
Non è dalla gerarchia cattolica che è nata la volontà di trasformazione. Si è trattato piuttosto di un
intervento del Vaticano che, conscio del pericolo di vedere la sua Chiesa latino-americana superata,
isolata, "bruciata" dal rapido divenire degli avvenimenti, ha lanciato una serie di iniziative miranti
all'aggiornamento. A partire dagli anni '30, un primo sforzo è stato attuato per rafforzare le
organizzazioni popolari: le diverse Azioni Cattoliche miranti a stabilire collegamenti solidi e vasti tra una
struttura come la Chiesa, pomposa e contemporaneamente lontana, e popolazioni che praticano il culto
dei santi locali o che non vanno al di là di un ruolo di spettatrici dello sfarzo. Ciò non ebbe molto
successo: da ciò l'invio a partire dal dopoguerra, di missionari ed organizzatori di ogni genere.
Per la maggior parte, i protagonisti di questo rinnovamento appartengono alle classi medie e superiori:
sia per quanto riguarda gli animatori locali laici, che per gli incaricati della missione provenienti
dall'Europa.. Il movimento non ha origine dalle masse proletarie, anche se è la loro esistenza che lo rende
possibile e giustifica. I tentativi di creare un'organizzazione sindacale operaia cristiana non nascono
all'interno delle fabbriche ma provengono dal di fuori, dall'alto, e vengono finanziati dalle fondazioni del
Vecchio Mondo. Il gusto dell'apostolato, la volontà di abnegazione, lo spirito di sacrificio, tutte qualità
rispettabili o ammirevoli, non possono far dimenticare il fatto che questo movimento verso il popolo non
è in origine un movimento di popolo.
Allo stesso tempo, i sostenitori di metodi o di approcci nuovi sono ben lungi dall'essere d'accordo tra
loro: molti hanno come obiettivo il campo sociale e la sua modificazione piuttosto che il proselitismo.
La reazione della gerarchia locale corrisponde evidentemente al timore di vedere andare in pezzi tutta
la disciplina della Chiesa. Passi che il Vaticano I e II facciano sollevare il polverone e costringano i
paralitici a correre, ma questi preti giovani ed irrequieti, che parlano, in cattivo spagnolo o in portoghese
approssimativo, di lotta di classe e di partito rivoluzionario? Il segretario generale del C.E.L.A.M.,
Monsignor Eduardo Pironio, riferendosi a questi "militanti" appena usciti dal seminario, che giungono
in America latina per predicare la sovversione, ironizza: "Si vede che un buon numero di sacerdoti
vogliono mettere in pratica qui ciò che, per diverse ragioni, ecclesiastiche o civili, non potrebbero fare
nel loro paese". Più direttamente, nello stesso numero di 'Mensaje Iberamericano' (Madrid - aprile
1973), il Cardinale Arcivescovo di Bogotà, Monsignor Anibal Muñoz Duque, li richiama alla norma:
"Dev'essere ben chiaro che chi decide ed ha il dovere ed il diritto di decidere le priorità pastorali è
colui che chiama e non colui che viene chiamato".
Bisogna adattarsi alle regioni. I grandi movimenti migratorii, le concentrazioni urbane hanno come
conseguenza l'indebolimento o la scomparsa dei nuclei familiari tradizionali, terreno favorevole al
tramandarsi delle credenze e delle pratiche religiose. Per mantenere legate a sé o per conquistare gente
appartenente a strati sociali nuovi, le Chiese devono inventare un linguaggio e delle forme di
organizzazione adatti. Ma così facendo esse corrono il rischio di dare spazio a delle forze di
emancipazione o di trasformazione, estranee alla fede e potenziali avversarie di ogni Chiesa non
integrata.
Alcuni episodi dell'azione di inquadramento portata avanti da alcune chiese protestanti in Bolivia
esemplificano questo pericolo. Le imponenti dimostrazioni che ebbero luogo a La Paz, negli anni '60,
organizzate da gruppi evangelici, furono il netto riflesso, ci pare, di una presa di coscienza comune di
indiani e meticci, piuttosto che un'adesione ad una fede religiosa. Fu per gli Aymaras e per i colorados
una occasione per contarsi, per far sapere della loro esistenza, per rifiutare i trucchi dei giochi politici
del potere ufficiale. La tendenza verso chiese autonome, che rifiutano gli interventi ed anche i sussidi
finanziari stranieri, si è evidenziata a più riprese.
Da parte sua, il movimento pentecostale cileno - setta protestante che è riuscita ad acquisire una base
popolare relativamente importante - respinge qualsiasi intervento proveniente dalla vita politica o
sindacale, mentre l'orientamento attuale nella maggior parte delle chiese protestanti - e soprattutto quelle
che esprimono gli studenti in teologia - vi sarebbe favorevole.
In Paraguay, la Chiesa rappresenta, attraverso collegamenti effettivi che la allacciano agli strati popolari
poveri ed ad associazioni semi-clandestine d'azione nelle città, una forza di opposizione. In Messico, essa
è ufficialmente assente, mentre le folle si pigiano nelle chiese ed i sindacati operai, colle bandiere
spiegate, si inginocchiano ai piedi della Vergine di Guadalupa.
Le Chiese si trovano così ad agire, partecipare e predicare in una congerie di contraddizioni e non
riescono a sfuggire alle convulsioni di una società che esse devono riconquistare, ma di cui esse sono
il prodotto. Moltissimi preti e pastori lo sanno. Gli Ordini, garanti degli interessi vasti e antichi della
Chiesa cattolica, lavorano sodo per arrivare a dominare la complessità dei problemi, per dedurne delle
conclusioni che, si potrebbe dire, dipendono dalla strategia. Nel 1966, padre Arrupe, "generale" della
Compagnia di Gesù, scrisse nella sua 'Lettera ai Superiori dell'America latina': "Non si deve credere
che le classi attualmente più potenti debbano essere gli artefici principali della trasformazione sociale;
esse non sono mai state gli artefici principali di una ristrutturazione radicale più giusta e non possono
che difficilmente esserlo da soli, salvo che in casi isolati". Pertanto proprio in queste classi dominanti,
i membri dell'Opus Dei penetrano ed occupano posti importanti.
La democrazia cristiana
Tenendo conto della vastità dello sforzo effettuato dal Vaticano per inviare missionari, preti ed
organizzatori in America latina - che continua una tradizione, pur con finalità parzialmente differenti -
è interessante constatare che la partecipazione effettiva delle popolazioni latino-americane alla politica
di aggiornamento è scarsa. Fanno eccezione a questo fenomeno di cambiamento dall'esterno - che si è
verificato attraverso tutta la storia dell'America latina, e non solamente nelle Chiese - i partiti
democratico-cristiani.
Se la ideologia di questo partito rifiuta di considerare la lotta di classe come il propulsore
dell'evoluzione, se essa si oppone ai metodi violenti ed auspica una politica democratica di tipo
parlamentare, completata dalla partecipazione del maggior numero possibile di organizzazioni di base -
con l'obiettivo della creazione di comunità nazionali realmente solidali - la pratica dell'azione riformatrice
lo porta a cercare un difficile equilibrio nel movimento, senza aver saputo scegliere tra un capitalismo
dinamico, ma limitato nei suoi poteri da una serie di contrappesi popolari e di controlli statali, ed una
economia pianificata di Stato, che non fosse burocratica e favorisse le iniziative comunitarie piuttosto
che il possesso da parte dell'autorità centrale di tutte le industrie e di tutti i servizi, la "teoria"
democratico-cristiana è sottoposta a dure prove, di fatto scompaginata fino alla lacerazione.
I quadri democratico-cristiani provengono dalle basi popolari, che sono riusciti a mobilitare e delle quali
bisogna, almeno in parte, soddisfare le rivendicazioni più immediate e le esigenze di un'economia la cui
organizzazione ed espansione non possono fondarsi che su una disciplina produttivistica, cioè, alla fin
fine, sullo sfruttamento metodico della manodopera. Questi quadri sono, per la maggior parte, costituiti
da intellettuali di formazione universitaria o da militanti "tirati fuori" dagli strati popolari,
progressivamente educati ed assorbiti da parte dell'apparato del Partito, o ancora da elementi tecno-burocratici attirati dalle possibilità di esperienza di gestione a più alto livello: niente di sostanziale li
distingue dai quadri degli altri partiti popolari, socialisti o comunisti. L'esperienza del potere, in Cile ed
in Venezuela, li ha inseriti nei posti di comando ed il loro doppio ruolo si è evidenziato, con tutte le sue
contraddizioni: unificare gli strati sociali marginali per inserirli nel processo di industrializzazione con
i dirigenti dei centri di decisione economica dello Stato.
Anche qui, manca l'accordo. Gli attriti e le scissioni hanno la loro origine nelle differenze di giudizio sul
ritmo ed il carattere più o meno radicale delle misure da assumere al fine di liquidare l'oligarchia, di
costringere gli imprenditori privati a piegarsi alle esigenze di una economia di piano, per affidare al
settore pubblico l'amministrazione delle industrie di base e la gestione del credito. Riflessi di
considerazioni dottrinali, forse, ma anche espressione di attriti tra gente al potere ed aspiranti al potere,
sicuramente. Le distinzioni si sono venute stabilendo naturalmente secondo le prospettive e le possibilità
d'impiego (funzione, autorità e benefici); gli uni ritenendosi integrati e mostrandosi solidali con il sistema
che aveva favorito la loro collocazione, gli altri giudicando che essi non possedevano che una frazione
insufficiente di potere e immaginando forme di mobilitazione e tecniche di direzione migliori in rapporto
alla capacità di una nuova classe, di cui si ritengono i rappresentanti.
Così, le frazioni che si staccano dal partito e si orientano verso la completa pianificazione economica ed
una autorità politica decisiva vogliono per lo più coalizzarsi, se non addirittura fondersi con i movimenti
favorevoli allo Stato onnipotente.
I ruoli multipli
È perciò difficile presentare in modo semplice la crisi della Chiesa latino-americana. Non solamente
perché le condizioni differiscono enormemente da un Paese all'altro, addirittura da una provincia all'altra,
e perché i progressi dell'ambiente in cui l'organizzazione cattolica - o protestante - a base reale, non sono
dello stesso grado, ma anche e soprattutto perché questa Chiesa non è né è mai stata totalmente
uniforme, né dedita ad un'unica missione.
All'inizio, il suo ruolo essenziale è quello di "pastore", portatore di una verità rivelata, che si sforza di
diffondere. Un ruolo che la Chiesa cattolica in passato ha svolto con successo, ma che non è più al
centro delle sue preoccupazioni, in quanto le sette e le chiese protestanti combattono ancora con vigore.
Essa si occupa soprattutto dell'organizzazione di quanto acquisito e del mantenimento di una certa
coesione tra i suoi fedeli, spesso abbandonati all'anonimato delle città e della provincia. Altre difficoltà
indeboliscono la struttura organizzativa della Chiesa: la gerarchia non è che parzialmente composta da
elementi locali, mentre un certo numero di prelati e di vescovi sono di origine europea. A contatto coi
fedeli sono i curati di campagna, delle parrocchie, i cui rapporti con la diocesi o il vescovado sono
saltuari e senza formalità, mentre nei centri urbani i contrasti d'opinione li logorano molto presto e li
costringono a chiedere il cambio. In un solo anno, si sono potuti contare diverse centinaia di defezioni
tra i preti, che preferiscono tentare nuove strade, sia a Buenos Aires che in altre grandi metropoli
argentine. Ben lungi dall'esserne immune, la Compagnia di Gesù ha fornito un forte contingente di
spretati.
In sostanza, in quanto strumento di mobilitazione ed elemento di pressione, la Chiesa non ha altra
funzione che quella di arbitrare, di sedare i conflitti economici o politici cui essa non prende più parte.
Nella misura in cui cerca, attraverso esperienze limitate, di assumere un ruolo propulsore, essa stessa
viene in pratica considerata come un bottino, come una posizione da conquistare, da parte di forze che
essa non controlla. Là dove alcuni vedono astuzie, manovre e machiavellismi, molto spesso non c'è che
disordine, ritirata autodifensiva, confusione mentale. Ed è probabilmente questa effettiva impotenza che
spiega l'attrattiva, apparentemente illogica, della fraseologia marxista e della tecnica della presa del
potere su un numero non indifferente di intellettuali ed animatori cattolici.
Da una volgata all'altra
In realtà è la frenetica ricerca di un sistema di interpretazione totale che spiega l'ipnotismo esercitato
sugli intellettuali cristiani dalla "scienza" marxista. Riconosciuta falsa ogni volta che essa viene
confrontata con una situazione concreta, o inefficace per condurre all'interpretazione di un nuovo
fenomeno, essa rimane vera in generale.... Miracoli della fede!
Ciò che è più pericoloso, è il rapido transfert che operano i "cristiani di sinistra" tra la loro vocazione
di insegnanti della verità rivelata - ed il loro diritto di imporla a quelli che ancora sono abbagliati dal
dubbio e dalla miscredenza - e quella di militanti rivoluzionari. A chi non fosse convinto dell'opportunità
di questi rilievi, offriamo qualche citazione. Sono per la maggior parte tratte da testi elaborati dal
"Movimento dei Cristiani per il Socialismo", nato ufficialmente agli inizi degli anni '70 e che, con alcune
centrali in Europa, si è diffuso soprattutto in America latina, più in particolare in Cile.
"Non ci può essere liberazione senza rivoluzione e costruzione del socialismo (...) Oggi non vi sono che
due alternative possibili: il capitalismo dipendente ed il sottosviluppo, oppure il socialismo".
(Documento finale della riunione di Santiago del Cile, aprile 1971).
"Il popolo, con tutti gli effettivi elementi di analisi offerti principalmente dal marxismo, sta prendendo
coscienza della necessità di mettersi in marcia alla conquista del potere per la classe operaia". (Idem).
Il gusto dell'efficienza - noi diremmo: della manipolazione degli uomini - porta i "cristiani socialisti" a
scartare il proselitismo. Il padre gesuita Arroyo, nel suo discorso di inaugurazione al convegno di
Santiago del Cile, lo dice testualmente: "La fede non allontana dal compromesso con i non-credenti.
È necessario ricostruire la società in rovina, insieme a coloro che sono i più capaci di farlo. Non ci
possiamo permettere il lusso di scegliere i nostri alleati, ma noi avremo come alleati quelli stessi che
la vita ci offre, e nessun altro.... Perché le divisioni filosofiche tra cristiani e marxisti passano in
secondo piano di fronte all'urgenza di una azione rivoluzionaria efficace".
Anche il documento di lavoro di questa assemblea di Santiago, che è servito come testo preparatorio,
è significativo: "È solamente la nostra partecipazione effettiva, la nostra prassi rivoluzionaria che
verificherà la consistenza dell'apporto cristiano al procedere della rivoluzione, e non le affermazioni
superficiali e brucianti a proposito del 'contributo specifico dei cristiani' che viene a volte evocato
nelle discussioni tra cristiani e marxisti".
Si potrebbe trovare altrettanto in campo protestante. Per esempio da alcune citazioni di Camillo Torrès
in un libro pubblicato a Caracas (Monte Avila - 1975) sotto il titolo 'Teologia della Rivoluzione' e che
non sono spiegabili né a partire dalla situazione colombiana dell'epoca, né dal punto di vista dei risultati
concreti, né secondo una analisi psicologica del prete guerrigliero. Ma ecco la conclusione di stile
"conciliare": "Dal fatto che il cristianesimo giungerà o meno ad imprimere al movimento di rinascita
sociale questa morale, dipenderà in gran parte lo sviluppo della vocazione rivoluzionaria tra i cristiani
latino-americani".
Teologie della rivoluzione, teologie della liberazione, teologie su misura e a richiesta. Le rare critiche
verso le formule marxiste si basano sul dogma, sulle encicliche o sui vangeli: mai sulla base
dell'osservazione dell'esperienza.
Il comportamento libertario
Un mescolamento di una tale ampiezza non può essere ignorato, non può più restare semplicemente
l'oggetto di considerazioni teoriche. Possiamo chiederci come i militanti e la stampa anarchica possano
contribuire a questa mischia furiosa: il mondo dei credenti dell'America latina. Non per scopi di
reclutamento o per preoccupazioni tattiche, ma più concretamente per partecipare ad una migliore
comprensione della crisi delle Chiese e per trarne qualche insegnamento.
Le contraddizioni che hanno dilaniato le masse cattoliche e protestanti possono e devono fornire
l'occasione per sottolineare come la maggior parte dei problemi sul tappeto lo sono al di fuori di ogni
riferimento al divino. In nostro ateismo dunque non è una contro-religione, ma una assenza di religione,
con la sua logica interna, che è la volontà di ricerca e il riconoscimento del dubbio come fattore di
tolleranza e di progresso nel processo conoscitivo.
È dunque, sul piano dell'azione sociale, il rifiuto di nuovi dogmi, che non ha nemmeno il fascino del
mistero, e che, lungi dal contribuire alla presa di coscienza dei sistemi di sfruttamento, ne dissimulano
le molteplici realtà. Nella misura in cui le esperienze, quindi il passato, servono alla comprensione del
presente, il richiamo delle imprese e delle tragedie del socialismo cosiddetto scientifico, può far scoprire,
alle anime inquiete delle diverse chiese, strade differenti.
Ed infine, soprattutto, dobbiamo dire che non è né fondamentalmente rivoluzionario, né veramente
nuovo, per dei cristiani in buona fede, il tentativo di sostituire la Chiesa protetta e protettrice dei vecchi
poteri oligarchici o capitalistici, con una Chiesa che si integrerà nei nuovi poteri tecno-burocratici. Noi
ci sentiremo sempre più vicini ai cristiani alla ricerca di una comunità di base, più identificati in loro,
piuttosto che nei parroci.
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