Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 6 nr. 47
aprile 1976


Rivista Anarchica Online

Beat generation
di Giancarlo Varagnolo

Validità e limiti di una contestazione
Al di là degli aspetti folkloristici, il movimento beat ha cercato di dire qualche cosa di nuovo: c'è riuscito? - Per rispondere affermativamente dovremmo ignorare i gravi limiti di un'esperienza che comunque si va esaurendo - La mancata evoluzione del generico risentimento anti-borghese alla presa di coscienza dei meccanismi dello sfruttamento e dell'alienazione - Il ruolo della droga nell'ideologia hippy

Il movimento beat, benché non faccia più notizia, persiste ancora; capelli (e barbe) lunghi, i vestiti stazzonati e "strani", le collanine e le chitarre sono stati assorbiti completamente dal sistema, anzi, gestiti, e la droga rimane il solo neo all'assenso incondizionato del potere.

Il beat (o beatnik o hipster o hippy o capellone che dir si voglia) è un prodotto di importazione americana, ma ciò non toglie che esso sia qualcosa di più, o di diverso, di un semplice scimmiottamento di moduli comportamentistici e mentali dati. La beat generation nasce e si sviluppa in America, è accolta ed integrata nei paesi capitalistici del nord Europa (Inghilterra, Svezia, Danimarca), approda in Italia, Francia e un po' in tutto il mondo come fatto di costume inerente a un tipo di musica popolare (lo shake, i cui paladini sono i Beatles, The Rolling Stones, Animals, ecc.); con le gonne corte (miniskirts che ricordano una simile ondata di emancipazione femminile negli anni '20) e i capelli lunghi: si canta della pace, si scoprono le poesie di Ginsberg, i romanzi-treno di Kerouac (alcuni riscoprono Baudlaire), si contesta istintivamente la società opulenta, o meglio, i moduli di comportamento "square", borghese. "Sulla strada" incontriamo gli epigoni europei dei "Vagabondi del Dharma": sacco a pelo, chitarra, capelli lunghi, giubbe militari usate; si incomincia a parlare di droga (ma solo erba: l'acido e la "neve" vengono messi unanimemente al bando), di sogni, luci, musiche, esperienze, ecc. psichedeliche, H. Miller viene abbandonato da chi ha scoperto Marcuse.

Ormai, "beats della domenica" sono divenuti tutti i teen-agers. Intanto il "Che" viene ucciso in Bolivia ed a Parigi ha il suo epicentro la contestazione giovanile-studentesca: dopo cinque anni di "make love not war", il leit motiv diviene "distruggiamo il sistema, aboliamo lo sfruttamento". Esteriormente poco è cambiato nel costume standard della gioventù, anche se ora barbe e capelli sono alla "Che", alla Fidel (e non alla Beatles), anche se le chitarre accompagnano canzoni non più genericamente pacifiste ma ballate di protesta politica e di denuncia sociale.

C'è stato un traverso di contenuti? La beat generation ha reso attuabile la contestazione politica giovanile studentesca in senso anticapitalistico? E se sì, come e in quale misura? Malgrado i fiumi di inchiostro che sono serviti a denigrare, a boicottare, ad insultanti insinuazioni, a isterici e beghini allarmismi e a cretine deplorazioni e paure, il movimento beat non poteva, e non voleva, andar oltre all'anticonformismo, che se da un lato era il rifiuto dei ruoli, valori e moduli imposti dalla società borghese-neo-capitalistica, dall'altro non era che la ricerca di una libertà strettamente individuale, di una liberalizzazione di modi di comportarsi, vivere-pensare-esprimersi che non fossero quelli della massa, della norma, cioè imposti dal sistema: una richiesta di libertà che, come si può vedere sia negli scritti che nelle azioni dei beats, non mette in discussione la struttura che obbliga ad essere "square", integrato. Il rifiuto beat è unicamente rivolto contro un certo conformismo (l'uomo unidimensionale, ma senza l'apporto critico di teorie filosofiche-politiche come in Marcuse), un rifiuto che nega quasi tutti i moduli di pensiero e di comportamento della società, ma non arriva a rifiutare, a rinunciare ai prodotti (anche di scarto), al benessere (anche se in briciole) del sistema sociale nel quale si trovano a vivere. Il loro non è un rifiuto attivo (che comporterebbe una critica e una conseguente azione eversiva, quantomeno di cambiamento della realtà data), ma un evadere più in maniera intellettuale che materiale-reale da tale struttura (l'esempio della droga non è che il più macroscopico e palese frutto di tale "politica da struzzo"). Infatti, pur lasciando da parte l'analisi del potere di recupero-fagocitazione dei sistemi neo-capitalistici di ogni contraddizione interna non radicalmente rivoluzionaria e aliena da compromessi (più o meno tattici e/o storici), esiste una rilevante discrepanza fra le premesse ed i risultati dell'agire (ma anche del dire) del beat. Prendiamo ad esempio il modo di vestire: oltre a far notare, en passant, il conformismo-uniformità nella diversità, c'è da un lato la sostituzione simmetrica costante di alcuni oggetti simbolo con altri (le collane hanno preso il posto della cravatta, il completo Jeans del completo tweed, le camicie militari delle camicie bianche), dall'altro una ricerca del particolare, del meglio, del più che ripropongono in scala minore, più povera, ma con identici meccanismi, scopi e fini, i modelli comportamentistici di esibizionismo competitivo nel vestire come ostentazione del proprio rango sociale: si è avuto quindi il rifiuto di un certo tipo d'abito e di accessori, e l'acquisizione di un altro senza intaccare minimamente né il mercato né tanto meno l'ideologia che vi sta sopra (sia dal punto di vista meramente economico che culturale di cambiamento comportamentistico).

Un secondo esempio potrebbe essere dato dal rapporto con l'attività lavorativa; come si procura di che vivere il beat? I mercatini sul selciato di collanine, ninnoli, braccialetti, ecc. sono immagine nota a tutti; quasi sconosciuti o mistificati sono i tentativi di comuni agricole (o agricolo-artigianali) anche perché pochi e presto falliti (per cause - soprattutto - interne); per nulla noti sono invece i lavoratori stagionali, saltuari e comunque di sottoccupazione, da emarginato sottoproletario che il beat compie. Come si può rilevare sono tutte prestazioni che se da una parte lasciano si integra, non alienata la personalità del singolo (anche se non si arriva mai, o quasi, alla sua realizzazione operativa), dall'altra sono tipiche e possibili in una società che ha mano d'opera forza lavoro in eccedenza: il beat non solo si autoeleimina dalla corsa al profitto, ma oltre a lasciare libero il campo, serve come valvola di scarico per certe prestazioni e, last but not least, inconsapevolmente aiuta il sistema a conservarsi, poiché se dovesse cambiare il sistema di produzione e distribuzione per una evoluzione di tipo socialista o anche per una regressione il beat non avrebbe più spazio economico, non potrebbe più usufruire di prestazioni che ora sono snobbate perché non troppo "dignitose" e/o poco stabilmente remunerative.

Per quanto poi si possano (o si potessero) trovare manifestazioni di tipo beat a Budapest, Berlino Est, Praga, ecc. è innegabile che il beat come movimento passivo è tipico di società neo-capitaliste (che il movimento attivo poi si riduce non tanto a un rifiuto bensì ad una rinuncia, sia ad entrare nel sistema che a demolirlo).

Prendiamo in esame le loro espressioni culturali, la loro cultura underground e ci si accorge subito dell'ambiguità che in esse è palese, ambiguità che è data dal sentimento contrastante di odio-amore verso la società, verso il ceto medio, senza comprendere, se non sporadicamente e superficialmente, nel proprio orizzonte i reali padroni del vapore. Il risentimento non è rivolto verso chi detiene il potere e programma ogni tipo di produzione economica e culturale, ma verso il ceto medio che non rifiuta il proprio ruolo di conservazione (ma non viene mai detto che cosa dovrebbe fare per contro per cambiare, oltre a diventare beat o, almeno, tollerante delle minoranze, razziali e sessuali), verso il poliziotto (a cui si regalano fiori, ma la cui funzione non è messa in discussione), verso la guerra (ma solo per un pietismo verso gli altri che è poi autoconservazione egoiostica), verso la repressione sessuale (anche se poi non si va più in là di una promiscuità asessuata - quando c'è - e del semplice rapporto genitale, chè il resto è giudicato "romanticume borghese"). I limiti di tale risentimento sono notevoli e, se non ci fosse lo stacco fisico dal loro ambiente e certe espressioni un po' forti - nella loro puerilità -, si potrebbe pensare a grigi travett che si lagnano in un momento di depressione, o si esaltano dopo aver bevuto un paio di grappe.

Legame e filo conduttore è un misticismo in alcuni solo verbale, in altri di derivazione indo-giapponese, in altri si trasforma in feticismo: ciò qualifica in maniera probante-definitiva tale tipo di cultura che se può essere alternativa ad un'altra con postulati simili, non è certo né fuori né dentro il sistema socio-economico in cui s'agita; esiste solo una pretesa di riscoperta e rivalutazione-ripensamento della scala dei valori precostituiti, un capovolgimento che è intellettuale e non già concreto e fattivo: si prende il misticismo come modello alternativo interiore al crasso materialismo della società dei consumi.

Da quanto detto, l'arte (o presunta tale) della beat generation è quanto di più infantile e provinciale si possa immaginare, anzi si può dire che non è nemmeno arte, né abilità nel trascrivere, nel copiare, non è arte ma esternazione narcisistica immediata del proprio io fine a se stesso; quando si è rinunciatari e ci si racchiude (malgrado la pretesa di essere cittadini del mondo) in un'oasi idilliaca e "uterina", non è possibile avere qualcosa da dire che vada al di là della propria frustrazione e appagamento (meglio: rimozione dell'angoscia-senso di colpa) qui ed ora.

Può sembrare paradossale, ma il beat ha paura, paura sia del ruolo che gli vorrebbe assegnare la società sia di lottare per cambiarla; non si può in alcun modo giustificare il suo assenteismo come unico modo di reagire alle illusioni che il sistema fa crollare sistematicamente: l'impotenza, l'impossibilità non tanto di agire, quanto di protestare a parole, è vigliaccheria, è paura. Inibizione che è senso di colpa nell'isolamento individualistico: il singolo si sente escluso perché è lui che non soddisfa le aspettative e rifiuta i fini e valori delle istituzioni sociali, prime fra tutte: famiglia e scuola: è lui, da solo, che ha peccato. L'inibizione, portando con sé una rabbia che è disperazione, sfocia in una rivolta individuale, che non ha dimensioni di massa se non occasionali e casuali, poiché tale rivolta nasce e si conclude nel singolo "battuto", beat, che crede fideisticamente di essere unico, solo, perduto. Avendo scelto (non del tutto spontaneamente) di vivere ai margini della società, il beat viene a contatto con gli emarginati (quelli veri), però non ha in queste relazioni umane alcuna presa di coscienza dell'essere emarginato e del perché, ma solo una autoesaltazione (anche negativa) di sé. Il reietto, l'escluso è visto-considerato non come simbolo dei meccanismi avvilenti, repressivi, disumani, ingiusti di sfruttamento-abbrutimento del sistema capitalistico, ma come cornice folkloristica, "esotica, spontanea e primitiva" del proprio io, che vede ancora la realtà in chiave di "turista" borghese, che trova emozionante la "rude franchezza" e "semplicità" di vita dello sfruttato, del proletario, che naturalmente non ha scelto tale modello di vita, ma che anzi lotta per uscirne fuori, mentre il beat non cerca né di capire la rivolta politica, né la lotta di classe, e né tantomeno di fare quel salto di qualità che l'emanciperebbe dalla sua posizione di individualismo tragicomico con un agganciamento con il reale e per una concreta azione nella rivolta fattiva contro le strutture capitalistiche. In quale misura, dunque, il movimento beat ha contribuito, se non reso possibile, il '68?

Innanzitutto vi è un fattore oggettivo, come si è fatto notare: un tale tipo di protesta passiva è passibile di attuazione (più o meno spontanea) solo in paesi dove il ceto medio è stabilizzato e la produzione in espansione; la beat generation ha avuto qui la funzione di rifiuto irrazionale di valori e di ruoli che riteneva e sono disumanizzanti, che portano a quella che è stata definita la "corsa dei topi", lavorare e agire cioè per oggetti e bisogni-valori imposti e inutili-fasulli; essa è stata il segnale di allarme che il ceto medio (la parte più sensibile o "neurotica" di esso) ha emesso dal suo interno, senza però trovare uno sbocco operativo di rivolta politica o almeno di ristrutturazione. Essendo un moto istintivo e di ripiegamento in se stesso dell'individuo nella ricerca di valori puramente morali, non ha elaborato alcuna teoria o strategia di cambiamento sociale e/o rivoluzionaria, ciò è stato possibile in una fase successiva grazie proprio a questa rivolta meramente esistenziale, infatti il trovarsi a parlare in termini anticonvenzionali e uniti da, per quanto labili, idee comuni e costretti a sentire maggiormente il peso tangibile dell'incomprensione e dell'opposizione del sistema, ha portato sì da una parte al rinchiudersi in sè per evadere per sè, ma anche dall'altra parte a cercare e/o elaborare vie d'uscita per cambiare la situazione culturale e socio-economica in cui il beat si trovava in ogni caso a dover vivere-essere.

S'è venuta così a creare quella che viene chiamata "contestazione globale" che era il rifiuto della società borghese in quanto tale, il rifiuto attivo e violento del sistema, economico, politico e culturale per una nuova formulazione dei valori e dei ruoli sociali; non dimentichiamoci che all'inizio la contestazione studentesca era essenzialmente negativa, e ci fu un ritorno di motivi luddisti nelle proteste operaie. Questo per quanto riguarda l'apporto "ideologico"; un travaso completo si è avuto nei moduli di comportamento della beat generation negli aderenti ai gruppi politici di sinistra: capelli lunghi, barbe, sciatteria nel vestire, chitarre, monili, ecc. È innegabile che tutto ciò è divenuto un fattore di costume, una moda, che i jeans costano anche 15mila lire, però il segno distintivo del giovane in rivolta oggi è di chiara derivazione beat, con contenuti più radicali, politici.

E quelli che sono ancora semplicemente beats? È qualcuno che è rimasto indietro, oppure è un prodotto tipico ma oggi di massa della società capitalista (comprendente anche una minoranza nei paesi sedicenti socialisti)? Quello che più stupisce è che la schiera dei beats (ora freacks o gatti selvaggi, ecc.) sia oggi notevolmente caratterizzata da componenti di estrazione proletaria e sottoproletaria.