Rivista Anarchica Online
C'è un nuovo cameriere: il sindacato
di Angelo Gaccione
Milano, Hotel Cavalieri: bilancio di una lotta Nel ramo alberghiero, tradizionalmente arretrato dal punto di vista della combattività, grande
sensazione ha suscitato la lunga occupazione del Cavalieri - I più combattivi sono stati quelli del
reparto centralino: uno di loro è un anarchico - Ecco il suo resoconto.
Dopo tre mesi e mezzo di occupazione dell'albergo "Cavalieri" di Milano in difesa del posto di lavoro,
il lungo braccio di ferro con i padroni si è concluso, ma con una "vittoria mutilata".
Ricapitoliamo le premesse per capire come si è arrivati all'occupazione e per seguire gli sviluppi
successivi. Tutto comincia quando, al rientro dalle ferie ai primi di settembre (del 1975), iniziano ad
arrivare le prime lettere di licenziamento. Esse ci avvertono che il 30 ottobre (1975), l'albergo chiuderà
i battenti perché il contratto d'affitto della società S.E.T.A.C. scade. Ricordiamo che su questo albergo
sono in tre a mangiare: la Società Immobiliare (in qualità di amministratrice), le Assicurazioni Generali
(proprietarie dello stabile) e la S.E.T.A.C. (società multinazionale controllata dalla Compagnia delle
Carrozze Letto - Wagon Lits) che ha l'albergo in gestione. Convocata più volte per il rinnovo del
contratto di gestione, la S.E.T.A.C. non riesce mai a raggiungere un accordo con le Generali. Il fatto
è che la S.E.T.A.C. vuole impostare un altro tipo di gestione, ristrutturando l'albergo, trasformandolo
in un lussuoso "residence" con pochissima mano d'opera, in modo da aumentare i profitti. Vuole inoltre
un contratto d'affitto dimezzato rispetto al precedente, pur avendo essa triplicato i prezzi nel giro di due
anni. Quest'ultimo motivo rappresenta l'aspetto più controverso che porterà alla spaccatura delle
trattative. Comincia così un tira e molla di trattative infruttuose. Intanto noi ci mobilitiamo, discutiamo
a lungo nelle assemblee, organizziamo astensioni improvvise dal lavoro. Alcuni di noi pensano alla
possibilità dell'autogestione. Noi del reparto centralino (nucleo di base) siamo d'accordo, ne discutiamo,
valutiamo tutte le possibilità poi parliamo con gli altri spiegando loro il nostro progetto: effettivamente
la cosa è possibilissima. Si fa un lungo manifesto e si spiega chiaramente che se ci sarà un po' di
appoggio esterno (enti culturali, Comune, ecc.) per favorire un fondo-cassa iniziale per pagare l'affitto,
dopo non ci sarà altra difficoltà visto che in realtà l'albergo lo mandiamo avanti solo noi e che il direttore
non fa altro che il cane da guardia, poiché non conosce nessun lavoro pratico. Alcuni sono entusiasti.
Certo ci si rende conto che ciò provocherà lo stato d'assedio padronale per l'attacco al profitto e
all'organizzazione capitalistica del lavoro, ma le condizioni paiono buone, almeno per la rabbia iniziale.
Verso la fine di settembre anche quelli che avevano avuto sempre fiducia in una ricomposizione delle
trattative (considerata la piena produttività dell'albergo) sono scoraggiati e vogliono che si faccia
qualcosa. I sindacalisti, da parte loro, sono ancora convinti della possibilità di un colpo di coda e si
dicono fiduciosi delle trattative con i padroni. Noi premiamo per l'occupazione dell'albergo subito, ma
loro vogliono aspettare ancora. A metà ottobre le cose sono nere come prima. Una delegazione di
lavoratori e sindacalisti si reca alla Regione per chiedere che vengano convocate in quella sede le
Generali, l'Immobiliare, la S.E.T.A.C. e che alla presenza dei lavoratori e dei sindacati si discuta del
destino dell'Hotel Cavalieri.
Il reparto centralino, consapevole che non ci sarebbe stata possibilità alcuna, insiste sull'autogestione.
I sindacati seminano il complesso di inferiorità tra i lavoratori e, come è naturale, ostacolano questa
presa di coscienza che sta lievitando. Cominciano così i primi scontri tra un nucleo più preparato e
combattivo di lavoratori e i sindacati. Il 30 ottobre è il giorno fissato alla Regione per l'ultimo incontro,
ma i padroni si rendono latitanti; è a questo punto che, con una forzatura sui sindacati, l'albergo viene
occupato e riempito di bandiere rosse. I clienti che sono dentro sono costretti ad andarsene. Sorgono
subito alcune considerazioni da fare: nella storia del movimento operaio italiano è il primo caso di
occupazione di un albergo a Milano, ed il secondo in tutta Italia dopo il Grand Hotel di Firenze (a
Firenze, però, l'occupazione finì in una sconfitta). La seconda considerazione importante è che
nonostante le differenti collocazioni partitiche l'unità è stata totale per la difesa del posto di lavoro.
Questo dimostra che su obiettivi uguali per tutti lavoratori si può avere una convergenza di classe, al di
sopra delle differenze partitiche che creano solo divisioni. Si comincia subito l'opera di pubblicizzazione
del caso. Diffusione di volantini, megafonaggio, ecc. La gente è un po' sorpresa; il fatto che l'albergo sia
collocato nel cuore della città fa un certo effetto sull'opinione pubblica.
1° novembre 1975.
All'interno ci si organizza per turni, la presenza è assicurata giorno e notte. Finalmente si mangia pure
bene. I cibi prelevati dal ristorante interno, i vini e la frutta sono quelli che venivano dati ai clienti: ci si
accorge di avere sempre avuto una mensa schifosa. Gente che era stata riluttante durante gli scioperi
aziendali ora scrive "padroni ladri".
3 novembre 1975.
Cominciano le prime manifestazioni di solidarietà esterne. Telegrammi di solidarietà da parte dei
lavoratori della Compagnia Generali Trattori, dell'Hotel Fiera; quelli dell'Hotel Raffaello portano
sacchetti pieni di viveri per permetterci di resistere. Altri lavoratori raccolgono soldi per noi dimostrando
concretamente la loro solidarietà di classe.
13 novembre 1975.
Assemblea aperta e conferenza stampa. Sono presenti i quotidiani milanesi, consigli di fabbrica e
lavoratori di altre unità produttive. Il nucleo base, con largo appoggio, presenta una mozione riassunta
in questi punti: "pubblicizzazione del caso in modo più esteso; un giorno di sciopero generale del settore
commercio, turismo e pubblici servizi, con concentramento davanti all'albergo; raccolta fondi per avere
un minimo di appoggio economico; costituzione di un comitato formato da due lavoratori di ciascun
reparto che con cariche ed incarichi a rotazione si impegni a mandare avanti l'albergo in forma
autogestita: iniziativa subito per il fondo-cassa chiedendo l'appoggio sociale ai lavoratori, ai sindacati,
al Comune, agli enti culturali. Dopo la prima fase di apertura, riduzione immediata dell'orario di lavoro
a 36 ore con uno stipendio pari a quello di un lavoratore dell'industria e, detratte le spese, il restante
guadagno sia devoluto ai lavoratori disoccupati". Dopo una serie di scontri ci viene detto che la
proprietà non può essere toccata, tutte le nostre proposte sono lasciate intelligentemente cadere dai
sindacati. I lavoratori si smontano, ma non contrattaccano.
30 novembre 1975.
È un mese di occupazione. L'entusiasmo iniziale che ha caratterizzato la lotta va spegnendosi. I sindacati
sono contrari a qualsiasi iniziativa. Rigettano risolutamente l'autogestione e non propongono nulla. Si
aspetta il miracolo, la manna nel deserto. Niente lotte, niente contatti esterni. Cominciano le prime
defezioni, alcuni vanno via perché hanno trovato un altro lavoro, altri perché si rendono conto che la
pratica suicida adottata dai sindacati è perdente. Quelli più favorevoli all'autogestione, manovrati dai
sindacati, non sostengono più l'iniziativa. La situazione diventa sempre più arretrata.
25 dicembre 1975.
Natale in occupazione, come tanti altri lavoratori. I sindacati continuano una assurda guerra diplomatica
a base di colpi di telefono ai padroni per invitarli alla saggezza. Si fa pressione sulla Regione perché trovi
un acquirente. Questa guerra di logoramento stanca altri lavoratori e da 70 scendiamo a 50. Intanto due
mesi senza stipendio a Milano pesano, i magri risparmi se ne vanno in cherosene, luce, affitto e cibo. I
giornali non parlano più di noi, i contatti esterni sono stati ostacolati dai sindacati, nelle assemblee essi
ci addolciscono con il loro canto del cigno, ostacolando tutte le spinte avanzate.
Provocazioni.
I fascisti fanno la loro notturna provocazione. Qualche grido di "viva il duce", qualche telefonata
preannunciante una bomba, qualche manifesto staccato. Due però hanno avuto il fatto loro.
2 gennaio 1976.
La televisione dedica un servizio alla nostra lotta a "Cronache italiane", ma i giornali tacciono. Il nucleo
di base presenta un'altra mozione: "Il Comune adducendo i motivi di ordine pubblico adotti la
requisizione dell'albergo e lo mandi avanti con gestione provvisoria finché non ci sarà una prospettiva
nuova, per assicurarci almeno la busta paga". Il Comune fa una blanda promessa di requisizione, ma solo
come "ultima spiaggia". I sindacati non prendono la cosa sul serio.
3 febbraio 1976.
Ormai tutto è perduto. Siamo rimasti in 32 appena. Di questi, la maggior parte sono lavoratori vecchi
che non troveranno più lavoro in nessun posto. Nonostante tutto, i più politicizzati di noi decidono di
resistere, consapevoli che una sconfitta all'Hotel Cavalieri significherebbe una sconfitta in tutto il settore
alberghiero e che non sarebbe più possibile nel ramo degli alberghi nessuna resistenza da parte dei
lavoratori, qualora la lotta lo richiedesse.
Valutazioni.
Benché il nuovo padrone abbia assicurato il posto di lavoro a noi 32 rimasti, ciò non modifica
minimamente i termini di quella che rimane una vittoria di Pirro, e che non ha in nessun modo influito
sulla presa di coscienza dei lavoratori che stava avvenendo in un primo momento. Anzi la pratica suicida
sindacale li ha demoralizzati e ha dimostrato di contribuire alla loro oppressione giocando con manovre
di vertice.
Fin qui l'aspetto cronachistico. È necessario però rivolgere l'attenzione al settore in generale, e fare una
verifica dell'Hotel Cavalieri in particolare, per capire perché non è stato possibile un modo diverso di
condurre la lotta e di vincerla sugli obiettivi fissati.
Condizione del settore.
C'è da dire subito che il settore alberghiero nel suo insieme è, se non il peggiore, certamente uno dei più
arretrati. Spoliticizzazione più completa e nessuna tradizione di lotta: questi i tratti salienti. E per rendere
più chiaro il quadro, si pensi che in questo settore non è mai stato possibile uno sciopero non dico
nazionale (che sarebbe stato impossibile considerata la frantumazione del settore) ma neppure nella sola
Milano, dove il settore, rispetto alle altre città, è di poco migliore. Bisogna inoltre aggiungere una
mentalità tendenzialmente di destra, rapporti gerarchizzati al massimo, un servilismo tipico della
categoria (lecchinaggio ai clienti per la mancia), orari di lavoro che superano le 16 ore, lunghi
straordinari, lo stesso contratto sindacale non è rispettato, le assemblee mensili non vengono neppure
fatte. Queste le caratteristiche di fondo a livello nazionale. E veniamo ora ad analizzare più
particolarmente la realtà dell'albergo Cavalieri.
Hotel Cavalieri.
Dal 1949 al 1970 (secondo quanto ci hanno riferito i lavoratori che sono qui dall'apertura) la situazione
può essere riassunta all'interno del quadro che abbiamo poco sopra delineato. Con un'aggiunta: si
raccolgono soldi per una messa annuale in onore di Mussolini. Tra il 1972-73 qualcuno comincia a
tesserarsi ai sindacati. Si fa pure qualche sciopero in occasione del contratto nazionale, ma si sciopera
a reparti. Un giorno un reparto, un'altra volta un altro reparto, ma neanche tutti, solo un paio per reparto
e per turno. Nessun danneggiamento quindi al padrone ed ai clienti, ma più lavoro per i lavoratori. In
questa situazione è facile capire perché i lavoratori che vanno in pensione o sono licenziati non sono
sostituiti e così quando noi del reparto centralino veniamo assunti (tra l'aprile e il giugno del '74) dei 140
lavoratori ne rimangono solo 70. Cominciano i primi contatti all'interno del reparto centralino e dopo
un po' siamo un nucleo organizzato. Facciamo pressione perché si facciano le assemblee interne e si parli
dei problemi dei reparti. Qualcosa si muove. I soldi per Mussolini non si raccolgono più. Ci sono scontri
quotidiani con la capo-reparto che viene esautorata di fatto del suo ruolo. Imponiamo il controllo sui
turni, facciamo perdere molta boria ai clienti (tutti grossi borghesi), gli spagnoli non riescono quasi mai
a comunicare con la Spagna (è una nostra forma di solidarietà con gli antifranchisti spagnoli), dopo le
tre di notte non lasciamo più telefonare nessuno e ci mettiamo a dormire. Rifiutiamo di fare straordinari,
incitiamo le cameriere e gli spazzini a minacciare le governanti dispotiche. Il 31 dicembre 1974, scade
il contratto di lavoro. Ci diamo da fare perché il sindacato solleciti subito le trattative. Arriviamo a marzo
del 1975 e noi spingiamo perché ci si mobiliti per imporre ai padroni il rinnovo del contratto. Per tutta
risposta i sindacati indicono ogni tanto alcune ore di sciopero che non solo non danneggiano i padroni,
ma, poiché non sono generalizzate a livello nazionale, non hanno nessun effetto. Riusciamo ad imporre
al Cavalieri alcuni giorni di sciopero totale, minacciando coloro che si rifiutano (impiegati, portieri), ma
con gli altri alberghi non c'è coordinazione. Noi vogliamo bloccare gli alberghi in occasione della Fiera
di Milano, quando c'è il pieno, ma i sindacati spostano le date. Nonostante tutto si arriva a 150 ore di
sciopero a testa. Una prima crescita c'è stata. Il sindacato però sconcerta tutti e va a firmare un accordo
osceno qualche giorno prima di ferragosto, vale a dire quando più deboli erano i lavoratori per via delle
ferie e della chiusura di molte fabbriche. Ma c'è una ragione. Si è voluto chiudere la vertenza per
impedire che il nostro settore si trovasse unito con metalmeccanici, chimici, ecc. in autunno. Il contratto
non merita di essere preso in considerazione. L'unico punto positivo è la riduzione dell'orario di lavoro
da 44 a 40 ore settimanali, ma è dilazionato fino al 1978 con la seguente gradualità:
Gennaio 1976 42 ore
Gennaio 1977 41 ore
Giugno 1978 40 ore
Bilancio.
Volendo tirare le somme emergono chiaramente queste considerazioni: situazione arretrata, ma non
inamovibile. Ruolo conservatore dei sindacati. Certamente il nostro intervento, benchè fatto con le idee
chiare, non è riuscito, a causa del ruolo disgregatore dei sindacati, a sostanziare più decisamente la
volontà dei lavoratori. L'abbandono dell'occupazione di molti lavoratori (più giovani) che appoggiavano
le nostre istanze, per motivi di sopravvivenza economica, ha contribuito a una certa stasi, influendo
negativamente. Tra noi e gli anziani non c'era più intesa, non volevano più fare lotte incisive, avevano
paura della pubblicità, delle bandiere rosse, dei contatti esterni. Un insegnamento però rimane. Senza
organismi di base allargati, senza lavoratori con le idee chiare che sappiano influenzare le assemblee e
rovesciare tutte le decisioni sindacali, senza una coscienza libertaria dei lavoratori sulla via dell'azione
diretta, non è possibile portare l'attacco ai padroni e costruire prospettive rivoluzionarie che siano
irrecuperabili e irreversibili.
Scheda Cavalieri |
INIZIO
ATTIVITÀ |
1949 |
GESTIONE |
CIDAC dal '49 al '68; SETAC dall'1 novembre '68 al 31 ottobre '75 (la
SETAC è interamente controllata dalla Compagnia delle Carrozze Letto -
W.L.). CAMERE: 174; letti 275. |
COSTO CAMERE |
doppia lire 22.500; singola lire 17.000. |
DIPENDENTI |
nel 1973, 90; al 30 ottobre 1975: 70. |
FATTURATO |
nel 1974: circa 570 milioni; nel 1975: già incassati circa 500 milioni nei dieci
mesi di attività |
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