Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 4 nr. 33
novembre 1974


Rivista Anarchica Online

La rivoluzione di stato in america latina
di Louis Mercier Vega

Il favore incontrato dalla pubblicazione sul n° di settembre, di brani scelti di un saggio inedito (in Italiano) dell'anarchico statunitense Murray Boockchin ci ha spinto a ripetere l'esperimento. Questa volta presentiamo il "condensato" di un libro inedito dell'anarchico cileno Luis Mercier Vega. Di Mercer abbiamo già recensito, sullo scorso numero della rivista il libro "Anatomie de Peron". Il lavoro al quale abbiamo tolto i brani qui di seguito pubblicati è "La revolucion par l'Etat" ("La rivoluzione di Stato"), un saggio sociologico sull'ascesa della "nuova classe" tecnoburocratica in America Latina. L'ipotesi di lavoro di questo saggio prosegue una ricerca pluriennale durante la quale l'autore che ha già dato alle stampe "Mecanismos del poder en America Latina" (Meccanismi del potere in America Latina) e "Techniques du contre-etat" (Tecniche del contro-stato). Poiché allo stato viene demandato il ruolo guida nel processo di sviluppo delle economie latino-americane, stante l'importanza delle borghesie nazionali, poiché tale ruolo comporta, attraverso una pianificazione centralizzata e gestita secondo criteri tecnoburocratici, la progressiva concentrazione a livello statale del potere economico, l'effettivo esercizio della funzione dirigenziale passa in quelle società ai gradi superiori della rete burocratica amministrativa pubblica. Ecco come al di là delle fraseologie progressiste e pseudorivoluzionarie, si può identificare una ideologia comune agli intellettuali latino-americani, un'ideologia che ha il suo nucleo essenziale nel "desarrollo" (sviluppo) promosso e controllato dallo stato, un "desarrollo" cioè delle occasioni di lavoro e di potere per la loro categoria che si va gradualmente costituendo in classe dirigente. Una classe che trova nell'Università il suo luogo principale di aggregazione politica. I brani qui presentati sono stati scelti dall'introduzione e dai capitoli.

Il presente messaggio ha lo scopo di accertare la realtà di un fenomeno che, secondo chi scrive, è evidente: quello della crescita, in forme diverse e in condizioni particolari, di una nuova classe dirigente. Vederla manifestarsi come movimento di pressione, come gruppo di interesse, come detentrice di una parte del potere o, nel caso di certi paesi, dell'intero potere, non è sufficiente. L'impressione che risulta dall'analisi diretta richiede la conferma di un'analisi sistematica. L'intuizione, nel migliore dei casi, può solo stimolare la ricerca di tipo scientifico, non può sostituirvisi. (...)
(...) La nostra convinzione è che l'America Latina, attualmente, malgrado la varietà delle situazioni e delle esperienze, attraversi una fase di mutazione economico-sociale che favorisce la nascita di una classe dirigente (con tutte le sfumature di origine e di funzione) diversa dall'oligarchia decadente, dalla borghesia industriale, dai contadini e dalla classe operaia. In forme diverse e secondo processi diversi, sotto la copertura di un linguaggio di circostanza, uno stesso fenomeno caratterizza le trasformazioni della maggior parte dell'America Latina; l'importanza crescente, a volte decisiva, di strati sociali un tempo marginali o clientelari - professionisti, intellettuali, tecnici, organizzatori occasionali o di mestiere. - E questo sia nel campo degli apparati politici che in quello dei corpi militari, in quanto entrambi veicoli per il dominio sulla macchina statale: non è di uno Stato arbitro, ma di uno Stato motore. Uno Stato proprietario e imprenditore: non uno Stato strumento, ma uno Stato composto di individui socialmente solidali per ruolo, comportamento e privilegi.
I fenomeni più inquietanti, perché di entità maggiore e di più lunga durata, sono quelli che caratterizzano l'università, dove folle di studenti, a caccia di diploma, scalpitano in attesa di un impiego sempre meno probabile e sognano una società "nuova" che darà loro una funzione e partecipazione al potere. Queste folle possono mescolarsi alle schiere operaie o riversarsi nelle zone rurali per spingere le popolazioni contadine a mettersi in movimento; esse non si confondono né con le une né con le altre. Sanno solo che hanno bisogno della spinta popolare al cambiamento, a una situazione di minor miseria, per potere entrare e integrarsi in una società che si sia sbarazzata degli antichi padroni, invecchiati e senza immaginazione. Non possono occupare il loro posto se non fanno appello a un totale rimaneggiamento del sistema sociale, provocando o alimentando la speranza di una vita più ugualitaria, più libera, più dignitosa. Ma fin dall'inizio, esse si riservano il ruolo dirigente. In attesa della conquista totale, seguendo dei percorsi che solo le particolari congiunture possono cogliere e mettere in risalto, vivono già nel loro terreno proprio, che è l'università, base di lancio, terreno di manovra e luogo di rifugio.
Anche i militari che provengono per la maggior parte dalle stesse "classi medie", prodotti di altre scuole di élite, scoprono la propria disponibilità per le funzioni di comando - questa volta però senza la tutela di un potere civile - dal momento che il loro apparato, fondato sulla disciplina, sembra talora l'unico ancora in piedi in mezzo alle rovine di un sistema politico costituito da partiti prigionieri del passato e incapaci di affrontare i nuovi problemi: essi si scoprono come potenziali candidati per la guida della nazione. E se anche non si rendessero conto spontaneamente di questa realtà, ci penserebbero le formazioni politiche a far prendere loro coscienza, chiedendo aiuto per superare le proprie debolezze o a forza di dimostrare la propria impotenza nella costruzione di una efficace macchina di potere.
Anche le istituzioni religiose si stanno incamminando nella stessa direzione. Le vecchie gerarchie ecclesiastiche, logorate dall'amministrazione dei beni e dalla conservazione dei rituali, prodotti e complici di passati alterni ma sempre oppressivi, possono soltanto rifarsi ai consigli e agli ordini di istanze superiori e lontane che impongono di adattarsi ai tempi. Ma i giovani preti e seminaristi, i gruppi e i movimenti cattolici laici cercano una strada autonoma verso la responsabilità, sovvertono le tradizioni, scoprono le lotte sociali, parlano con gioia di proletariato e rivoluzione, di marxismo e psicanalisi come in altri tempi i bambini imbottiti di morale repressiva si sfogavano dicendo parolacce (...)
(...) E' inutile sottolineare come, malgrado la sopravvivenza di antiche forme di proprietà, sia il capitalismo a definire il momento attuale. Capitalismo segnato peraltro da un tratto particolare e determinante, che corrisponde al carattere minoritario della borghesia industriale (in rapporto all'insieme di società coesistenti in una stessa nazione), alla natura d'importazione delle tecniche, alla forte presenza di capitali stranieri nei settori avanzati, alla povertà dei capitali nazionali investiti nel paese: in sostanza, alla incapacità o al rifiuto dei proprietari di vecchio stampo di svolgere pienamente il ruolo di classe motrice. Da questi fatti discende l'improvvisa importanza dello Stato, ieri strumento della violenza e della sua organizzazione per perpetuare strutture economiche divenute marginali e destinate ad estinguersi, e oggi proprietario - il più imponente - di terre, miniere e servizi pubblici, in misura tale da raccogliere i capitali necessari allo "sviluppo", di coordinare antichi e nuovi strati sociali privilegiati e di provocare la mobilitazione di un proletariato numeroso: tutte condizioni necessarie alla crescita industriale (...).
(...) In questo quadro, occorre mettere in evidenza che il modello di sviluppo è comune a tutti i riformatori, nonostante le divergenze che possono insorgere riguardo ai metodi e ai ritmi dell'industrializzazione. Il termine sottosviluppo indica da solo come si tratti di un ritardo nel raggiungere, nella stessa direzione, le posizioni che conducono ad un'economia altamente industrializzata. Non conosciamo nessun progetto di società risultante da scelte diverse, scelte che, pur non scartando la moltiplicazione dei prodotti rispondenti alle esigenze dei consumatori, ne assicurino il controllo da parte dei consumatori-produttori, che rifiutino di attribuire alla concorrenza e alla guerra economica - con i suoi sprechi e il pungolo continuo dei falsi bisogni - un carattere necessariamente progressivo, che permettano di porre l'accento su una reale democrazia economica e sulla sparizione delle classi. Innumerevoli studi, analisi, piani a breve o lungo respiro considerano sempre come sottinteso, in via preliminare, che l'industrializzazione è la condizione prima della liquidazione di un passato ingiusto e della costruzione di un futuro armonioso. Possono esserci delle differenze nella valutazione della funzione, marginale o decisiva, delle borghesie nazionali, rispetto ai metodi che portano alla mobilitazione delle risorse materiali e umane e rispetto al valore delle alleanze in campo internazionale, ma il fine sembra identico. I difetti del sistema economico vigente sono denunciati senza tregua, ne vengono identificati i colpevoli e si pretende la loro eliminazione sociale. Per contrasto vengono esaltate le virtù di un regime in cui la totalità del potenziale economico nazionale dovrebbe essere sfruttata secondo una pianificazione centralizzata, ma nessun giudizio viene espresso sul significato, in termini di classe, in termini di ineguaglianza sociale, di tale modello, e non si trae alcuna lezione delle esperienze simili realizzate in altri continenti o nella stessa America Latina. Sembra che i metodi non rivestano un'importanza autonoma, dal momento che il fine stesso della società postindustriale sembra giustificare ogni politica che conduca ad esso, ed è sottinteso che la società postindustriale risolva, grazie al suo funzionamento e al suo rendimento, la maggior parte dei problemi umani. Il futuro di una società in cui i servizi saranno più numerosi e occuperanno maggior personale che non il lavoro produttivo propriamente detto, esalta un ampio settore della popolazione, esattamente quello che oggi si sente chiamato per vocazione e formazione, ad assolvere alle funzioni di direzione e gestione di questa società armoniosa. (...).
(...) La rivoluzione industriale, parziale e incompiuta dell'America Latina è concepita in funzione del superiore livello raggiunto dalle nazioni che l'hanno attuata più di un secolo fa, il che, se la concezione è seguita da un'azione conseguente, porta a far si che la povertà non venga tenuta in grande considerazione.
La proprietà deve essere collettiva, ma lo Stato diventa proprietario dunque sono i padroni reali dello Stato che l'amministrano, la sfruttano e ne traggono la continuazione del proprio potere e dei propri privilegi d'usufrutto. Se trascuriamo poi l'immagine ormai parzialmente superata di un'America Latina votata a esportare materie prime e a importare prodotti finiti, per cercare le condizioni di uno sviluppo economico autonomo, fondato su industrie nazionali in grado di rispondere alle esigenze dei mercati interni, ma anche di vendere all'estero e di assumere un ruolo nella distribuzione delle funzioni di un'economia mondiale sempre più interconnessa e talvolta, involontariamente, solidale, veniamo a scoprire come ogni sforzo conduca alla volontà di integrazione all'interno di circuiti di tipo capitalistico e tecnocratico. Tale fatto può sembrare normale e logico, ma contraddice formalmente le motivazioni addotte dai vari movimenti riformatori o rivoluzionari. Le tematiche popolari sfruttate dalle nuove élites sono quelle di un socialismo libertario, dell'abolizione dello sfruttamento dell'uomo sull'uomo, della partecipazione responsabile e volontaria di ogni produttore all'opera decisa comunemente, dell'eliminazione dei privilegi e del parassitismo sociale. Ma le misure concretamente applicate corrispondono alla creazione di un proletariato il più numeroso possibile, alla sua mobilitazione per la realizzazione di un piano di sviluppo stabilito da burocrazie politiche e tecniche, alla creazione di una nuova piramide sociale, con i suoi livelli diversamente privilegiati e diversamente oppressi.
Riguardo poi alla contraddizione tra i richiami alla solidarietà, uguaglianza e libertà e i programmi progettati e realizzati dai nuovi poteri è particolarmente significativo il fatto che l'immagine modello dei costruttori della nuova società corrisponda, volontariamente o inconsciamente ai sistemi delle società industriali o post-industriali di tipo nord-americano o sovietico.
(...) Nel 1970 c'erano circa un milione di studenti iscritti nelle università dell'America Latina: un numero piuttosto piccolo per una popolazione totale di 200 milioni di abitanti; e tuttavia l'università appare come uno dei più importanti centri di attività e mobilitazione politica in quasi tutti i paesi, come uno dei luoghi in cui vengono elaborate in permanenza le rivendicazioni, non solo studentesche, ma sociali, come un trampolino per le cariche pubbliche, come il punto di partenza per le grandi avventure rivoluzionarie.
Occorre esaminare più da vicino la composizione di questa minimassa studentesca. Essa è composta da figli dell'alta borghesia, di eredi delle élites oligarchiche, ma anche dai discendenti delle classi medie e, in minima proporzione, di giovani che provengono dagli strati poveri. (...)
(...) Nonostante tutte queste differenze, esistono tratti in comune tra le diverse categorie dei giovani intellettuali. L'università permette loro di scoprire la natura e l'importanza dei problemi posti dalla crescita economica, dai rapporti internazionali, dalla situazione eccentrica delle società latino-americane. L'università valorizza il ruolo - effettivo per alcuni di loro, potenziale per altri - di un personale direttivo, sia in una società in movimento sia in una società totalmente trasformata. Fornisce loro la coscienza che qualunque società, qualunque Stato non può fare a meno dei loro servizi. Esiste in realtà un certo grado di connivenza tra il potere ufficiale e la popolazione studentesca, anche quando il primo fa manganellare gli elementi più estremisti della seconda. Per gli strati dirigenti, l'università simbolizza e legittima la trasmissione del potere. I nuovi edifici universitari - a Caracas come in Messico - sono monumentali esemplari: il fatto che chi le frequenta sia insopportabile, indisciplinato, pericoloso, non interrompe che casualmente la filiazione; questo almeno nei paesi in cui la spinta rivoluzionaria non minaccia direttamente le strutture sociali essenziali. All'interno dello stesso corpo studentesco la frattura fra abbienti e aspiranti non è mai totale. Si intessono legami di tipo generazionale o di specializzazione. Se le ideologie rivoluzionarie non possono avere presa su coloro che per nascita, per fortuna o per inserimento facilitato nella società avrebbero più da perdere che da guadagnare da esse, una situazione di crisi, mettendo in discussione le fondamenta stesse della società, provoca l'unione di importanti settori studenteschi di origine diverse, attorno a programmi che implicano una trasformazione rivoluzionaria.
Il fenomeno della "coagulazione" studentesca si verifica in varie occasioni. Un giovane economista venezuelano riesce facilmente a rendersi conto che la torta delle royalties del petrolio è si feconda al presente ma è altrettanto fragile in termini di futuro: anche se proviene da una famiglia direttamente beneficitaria del sistema attuale, rifletterà con una prospettiva diretta al futuro e vedrà con simpatia il progetto di nazionalizzazione, di gestione autonoma o di sviluppo industriale e si sentirà più vicino ai movimenti rivoluzionari che alla conservazione. Così è facile trovare, sia all'interno dei circoli estremisti sia tra i guerriglieri, nei gruppi di azione universitari come nei partiti di estrema sinistra, un numero rilevante di "figli di papà". In questa defezione o in questa adesione, più che un conflitto generazionale (anche se questo aspetto non è da dimenticare) è opportuno vedere un momento del conflitto tra società vecchia e nuova. (...)
(...) Resta così, come speranza e volontà, la futura società possibile sbarazzatasi dei pesi morti e liberata dalle strozzature del passato e del presente: la società razionale e efficiente, gestita da chi possiede il sapere, le capacità e i titoli. E' una speranza nutrita dalle evidenti contraddizioni e lacune del sistema, una speranza talvolta alimentata dalla previsione di catastrofi imminenti, talvolta stimolata dalla propagazione di un metodo di conquista rapida del potere. Occorre ripeterlo: la scelta o l'impegno dell'intellettuale disponibile dipende, prima di tutto, dalla capacità di utilizzo delle sue funzioni da parte del regime sociale in cui vive. Il Brasile amministrato dai militari desarrollisti, autoritari e pro-occidentali, ha assorbito, grazie alla propria crescita economica, la quasi totalità dei detentori del sapere tecnico-scientifico e nello stesso tempo ha eliminato ogni consistente opposizione. La giunta militare del Perù raccoglie o mette a tacere una larga parte della sinistra e dell'estrema sinistra intellettuale offrendole degli spazi. Il Messico del Partito unico e del potere dei licenciados ha cominciato a incontrare difficoltà a partire dal momento in cui la produzione di diplomati ha superato le possibilità di assorbimento del proprio apparato governativo e amministrativo.
L'appello alle masse proletarizzate, il tentativo di alleanza tra studenti e operai, corrispondono, a seconda del grado di capacità della società globale ad integrare gli intellettuali di ogni specialità, alla ricerca di un motore sociale capace di portare al potere (economico e politico) questa stessa classe intellettuale. D'altra parte, la formula apparentemente democratica (difesa dai movimenti universitari e accettata anche dagli imprenditori progressisti e dai diversi socialismi di stato) delle "uguali possibilità", che permetterebbe e garantirebbe l'istruzione generalizzata e aperta a tutti, in fin dei conti contribuisce ad giustificare il ruolo di una classe dominante: una classe che non fonda più il proprio potere sulla proprietà ma sulla funzione. Non si tratta infatti di uguali possibilità per acquisire sapere, conoscenze e abitudine al ragionamento, ma di uguali possibilità per coloro che, con titoli e pergamene, avranno diritto al comando. (...)
Fino a una data piuttosto recente, l'intellettuale latino-americano era strettamente legato alla società oligarchica, sia che facesse parte della società privilegiata, sia che la servisse. L'educazione superiore era appannaggio degli strati aristocratici o di quelli alto borghesi.
A seguito di queste, e nella loro ombra, si muovono altre categorie di intellettuali più numerose; anche i loro membri sono forniti di diplomi, o hanno una infarinatura universitaria, ma non dispongono di alcuna risorsa e sono destinati a ruoli meno rispettati. Sono i professionisti indigenti, gli insegnanti medi e superiori, i funzionari, gli amministratori dei servizi: tali categorie formano, con un futuro più o meno brillante, le schiere delle classi medie. Sono alimentate dal desiderio tipico dei negozianti, artigiani e impiegati di vedere i figli ascendere ai primi livelli della promozione sociale: il titolo universitario rappresenta la condizione e la speranza dell'ascesa, infatti, nonostante il rapido intasamento, la creazione di nuovi servizi burocratici, lo sviluppo del commercio e dell'industria, la crescita delle città, le attività politiche permetteranno di assorbire ancora un grande numero degli aspiranti.
Ma presto nuovi ostacoli bloccano l'ascesa. La borghesia non si dimostra sufficientemente dinamico, e il sistema clientelare frena, invece di incoraggiare, le iniziative delle stessa classi medie, attratte più fortemente dall'amministrazione pubblica o dal commercio che dall'industria: troppi vagoni e nessuna locomotiva; si sviluppa un forte settore terziario, che non corrisponde affatto allo sviluppo industriale; l'università continua a fabbricare dottori in legge, in filosofia, in lettere e in seguito dei diplomati in sociologia o psicologia, tutti forniti di conoscenze di cui non si vede l'utilizzo immediato e non immediatamente impiegabili. La folla degli intellettuali cresce, mentre gli sbocchi sono limitati: si assiste allora, negli anni '60, alla nascita di movimenti che, in contrasto con la fraseologia confusa delle classi medie, tracciano le linee di ideologie corrispondenti alla propria unità funzionale; non è più la speranza di una sistemazione e della riforma della società che domina, ma la volontà di trasformare la società dalla testa ai piedi. (...).
(...) A questi tasselli del mosaico intellettuale, che occupano vari posti in società diverse ma tutte caratterizzate da una rapida evoluzione e dall'intervento crescente dello Stato, bisogna ora aggiungere alcuni gruppi la cui formazione non è di tipo universitario e la cui origine è estranea alle classi medie: si tratta dei membri degli apparati sindacali operai e dei burocrati permanenti dei movimenti contadini. Entrambi i gruppi sono "usciti" dalle classi di origine, e a diversi livelli, fanno parte del personale di gestione che è fortemente legato alle amministrazioni statali o ne dipende, trovandosi contemporaneamente a stretto contatto con i movimenti politici: La sfumatura delle diverse concezioni relative al tipo di società che dovrebbe rendere loro piena giustizia e pieno impiego, il sentimento di importanza che li attanaglia quando il regime li trascura o li considera solo come servitori, la permanente frustrazione di considerarsi idonei alla partecipazione al potere mentre non possono accedervi, spingeranno gli intellettuali a collegarsi alle formazioni politiche che mirano alla conquista dello Stato per farne lo strumento essenziale della ricostruzione della società. Essi entrano in tali movimenti politici, talvolta li creano, più spesso osservano con simpatia i loro sforzi, anche se questi sono avventuristi e destinati dall'inizio alla sconfitta. Si crea allora un vero ambiente, dalle frontiere mal definite, in cui attivisti, collaboratori occasionali, ideologi e militanti danno vita a iniziative e operazioni sempre tese alla presa del potere e delle sue anticamere. (...)
(...) Vi è dunque un certo numero di tratti essenziali che avvicina gli intellettuali, malgrado tutte le diversità di origine, di formazione e di livello di integrazione nella vecchia società o in quella che sta prendendo forma, e al di là di ogni rivalità immediata: e la loro volontà di giungere ad un potere monopolistico di stato (imposto vuoi da un partito unico, vuoi dall'apparato militare), condizione preliminare per la lotta che la distribuzione interna dei poteri e dei ruoli e la creazione di una gerarchia tra i membri dello stesso strato sociale privilegiato presuppongono; è la loro preferenza per la proprietà statale dei principali mezzi di produzione, attraverso la nazionalizzazione totale o la creazione di un settore pubblico maggioritario; è il convincimento che la pianificazione centralizzata offra la sola soluzione possibile ai problemi sociali interni e agli imperativi della concorrenza internazionale; è insomma la volontà di attuazione di un tipo di società industriale e postindustriale. In questa prospettiva, il progetto e il destino di questa nuova classe sono chiari, in quanto si iscrivono nella natura della sua funzione e nell'idea che questa classe se ne fa. Nella realtà, i meccanismi che favoriscono l'avvento della nuova classe e il modello di potere cui essa aspira sono più significativi della letteratura sterminata che incensa e giustifica la sua ascesa.

L. M. V.