Rivista Anarchica Online
La rivoluzione di stato in america latina
di Louis Mercier Vega
Il favore incontrato dalla pubblicazione sul n° di settembre, di brani scelti di un saggio inedito (in Italiano)
dell'anarchico statunitense Murray Boockchin ci ha spinto a ripetere l'esperimento. Questa volta
presentiamo
il "condensato" di un libro inedito dell'anarchico cileno Luis Mercier Vega. Di Mercer abbiamo
già recensito,
sullo scorso numero della rivista il libro "Anatomie de Peron". Il lavoro al quale abbiamo tolto i brani qui
di
seguito pubblicati è "La revolucion par l'Etat" ("La rivoluzione di Stato"), un saggio sociologico
sull'ascesa della
"nuova classe" tecnoburocratica in America Latina. L'ipotesi di lavoro di questo saggio prosegue una
ricerca
pluriennale durante la quale l'autore che ha già dato alle stampe "Mecanismos del poder en
America Latina"
(Meccanismi del potere in America Latina) e "Techniques du contre-etat" (Tecniche del contro-stato).
Poiché
allo stato viene demandato il ruolo guida nel processo di sviluppo delle economie latino-americane, stante
l'importanza delle borghesie nazionali, poiché tale ruolo comporta, attraverso una pianificazione
centralizzata
e gestita secondo criteri tecnoburocratici, la progressiva concentrazione a livello statale del potere
economico,
l'effettivo esercizio della funzione dirigenziale passa in quelle società ai gradi superiori della rete
burocratica
amministrativa pubblica. Ecco come al di là delle fraseologie progressiste e pseudorivoluzionarie,
si può
identificare una ideologia comune agli intellettuali latino-americani, un'ideologia che ha il suo nucleo
essenziale
nel "desarrollo" (sviluppo) promosso e controllato dallo stato, un "desarrollo" cioè delle occasioni
di lavoro e
di potere per la loro categoria che si va gradualmente costituendo in classe dirigente. Una classe che trova
nell'Università il suo luogo principale di aggregazione politica. I brani qui presentati sono stati
scelti
dall'introduzione e dai capitoli.
Il presente messaggio ha lo scopo di accertare la realtà di un
fenomeno che, secondo chi scrive, è evidente: quello
della crescita, in forme diverse e in condizioni particolari, di una nuova classe dirigente. Vederla
manifestarsi
come movimento di pressione, come gruppo di interesse, come detentrice di una parte del potere o, nel
caso di
certi paesi, dell'intero potere, non è sufficiente. L'impressione che risulta dall'analisi diretta
richiede la conferma
di un'analisi sistematica. L'intuizione, nel migliore dei casi, può solo stimolare la ricerca di tipo
scientifico, non
può sostituirvisi. (...) (...) La nostra convinzione è che l'America Latina, attualmente,
malgrado la varietà delle situazioni e delle
esperienze, attraversi una fase di mutazione economico-sociale che favorisce la nascita di una classe
dirigente (con
tutte le sfumature di origine e di funzione) diversa dall'oligarchia decadente, dalla borghesia industriale,
dai
contadini e dalla classe operaia. In forme diverse e secondo processi diversi, sotto la copertura di un
linguaggio
di circostanza, uno stesso fenomeno caratterizza le trasformazioni della maggior parte dell'America
Latina;
l'importanza crescente, a volte decisiva, di strati sociali un tempo marginali o clientelari - professionisti,
intellettuali, tecnici, organizzatori occasionali o di mestiere. - E questo sia nel campo degli apparati politici
che
in quello dei corpi militari, in quanto entrambi veicoli per il dominio sulla macchina statale: non è
di uno Stato
arbitro, ma di uno Stato motore. Uno Stato proprietario e imprenditore: non uno Stato strumento, ma
uno Stato
composto di individui socialmente solidali per ruolo, comportamento e privilegi. I fenomeni
più inquietanti, perché di entità maggiore e di più lunga durata, sono
quelli che caratterizzano
l'università, dove folle di studenti, a caccia di diploma, scalpitano in attesa di un impiego sempre
meno probabile
e sognano una società "nuova" che darà loro una funzione e partecipazione al potere.
Queste folle possono
mescolarsi alle schiere operaie o riversarsi nelle zone rurali per spingere le popolazioni contadine a
mettersi in
movimento; esse non si confondono né con le une né con le altre. Sanno solo che hanno
bisogno della spinta
popolare al cambiamento, a una situazione di minor miseria, per potere entrare e integrarsi in una
società che si
sia sbarazzata degli antichi padroni, invecchiati e senza immaginazione. Non possono occupare il loro
posto se
non fanno appello a un totale rimaneggiamento del sistema sociale, provocando o alimentando la
speranza di una
vita più ugualitaria, più libera, più dignitosa. Ma fin dall'inizio, esse si riservano
il ruolo dirigente. In attesa della
conquista totale, seguendo dei percorsi che solo le particolari congiunture possono cogliere e mettere in
risalto,
vivono già nel loro terreno proprio, che è l'università, base di lancio, terreno di
manovra e luogo di rifugio. Anche i militari che provengono per la maggior parte dalle stesse "classi
medie", prodotti di altre scuole di élite,
scoprono la propria disponibilità per le funzioni di comando - questa volta però senza
la tutela di un potere civile
- dal momento che il loro apparato, fondato sulla disciplina, sembra talora l'unico ancora in piedi in
mezzo alle
rovine di un sistema politico costituito da partiti prigionieri del passato e incapaci di affrontare i nuovi
problemi:
essi si scoprono come potenziali candidati per la guida della nazione. E se anche non si rendessero conto
spontaneamente di questa realtà, ci penserebbero le formazioni politiche a far prendere loro
coscienza, chiedendo
aiuto per superare le proprie debolezze o a forza di dimostrare la propria impotenza nella costruzione
di una
efficace macchina di potere. Anche le istituzioni religiose si stanno incamminando nella stessa
direzione. Le vecchie gerarchie ecclesiastiche,
logorate dall'amministrazione dei beni e dalla conservazione dei rituali, prodotti e complici di passati
alterni ma
sempre oppressivi, possono soltanto rifarsi ai consigli e agli ordini di istanze superiori e lontane che
impongono
di adattarsi ai tempi. Ma i giovani preti e seminaristi, i gruppi e i movimenti cattolici laici cercano una
strada
autonoma verso la responsabilità, sovvertono le tradizioni, scoprono le lotte sociali, parlano con
gioia di
proletariato e rivoluzione, di marxismo e psicanalisi come in altri tempi i bambini imbottiti di morale
repressiva
si sfogavano dicendo parolacce (...) (...) E' inutile sottolineare come, malgrado la sopravvivenza di
antiche forme di proprietà, sia il capitalismo a
definire il momento attuale. Capitalismo segnato peraltro da un tratto particolare e determinante, che
corrisponde
al carattere minoritario della borghesia industriale (in rapporto all'insieme di società coesistenti
in una stessa
nazione), alla natura d'importazione delle tecniche, alla forte presenza di capitali stranieri nei settori
avanzati,
alla povertà dei capitali nazionali investiti nel paese: in sostanza, alla incapacità o al rifiuto
dei proprietari di
vecchio stampo di svolgere pienamente il ruolo di classe motrice. Da questi fatti discende l'improvvisa
importanza
dello Stato, ieri strumento della violenza e della sua organizzazione per perpetuare strutture economiche
divenute
marginali e destinate ad estinguersi, e oggi proprietario - il più imponente - di terre, miniere e
servizi pubblici, in
misura tale da raccogliere i capitali necessari allo "sviluppo", di coordinare antichi e nuovi strati sociali
privilegiati
e di provocare la mobilitazione di un proletariato numeroso: tutte condizioni necessarie alla crescita
industriale
(...). (...) In questo quadro, occorre mettere in evidenza che il modello di sviluppo è comune
a tutti i riformatori,
nonostante le divergenze che possono insorgere riguardo ai metodi e ai ritmi dell'industrializzazione. Il
termine
sottosviluppo indica da solo come si tratti di un ritardo nel raggiungere, nella stessa direzione, le posizioni
che
conducono ad un'economia altamente industrializzata. Non conosciamo nessun progetto di
società risultante da
scelte diverse, scelte che, pur non scartando la moltiplicazione dei prodotti rispondenti alle esigenze dei
consumatori, ne assicurino il controllo da parte dei consumatori-produttori, che rifiutino di attribuire alla
concorrenza e alla guerra economica - con i suoi sprechi e il pungolo continuo dei falsi bisogni - un
carattere
necessariamente progressivo, che permettano di porre l'accento su una reale democrazia economica e
sulla
sparizione delle classi. Innumerevoli studi, analisi, piani a breve o lungo respiro considerano sempre come
sottinteso, in via preliminare, che l'industrializzazione è la condizione prima della liquidazione
di un passato
ingiusto e della costruzione di un futuro armonioso. Possono esserci delle differenze nella valutazione
della
funzione, marginale o decisiva, delle borghesie nazionali, rispetto ai metodi che portano alla
mobilitazione delle
risorse materiali e umane e rispetto al valore delle alleanze in campo internazionale, ma il fine sembra
identico.
I difetti del sistema economico vigente sono denunciati senza tregua, ne vengono identificati i colpevoli
e si
pretende la loro eliminazione sociale. Per contrasto vengono esaltate le virtù di un regime in cui
la totalità del
potenziale economico nazionale dovrebbe essere sfruttata secondo una pianificazione centralizzata, ma
nessun
giudizio viene espresso sul significato, in termini di classe, in termini di ineguaglianza sociale, di tale
modello,
e non si trae alcuna lezione delle esperienze simili realizzate in altri continenti o nella stessa America
Latina.
Sembra che i metodi non rivestano un'importanza autonoma, dal momento che il fine stesso della
società
postindustriale sembra giustificare ogni politica che conduca ad esso, ed è sottinteso che la
società postindustriale
risolva, grazie al suo funzionamento e al suo rendimento, la maggior parte dei problemi umani. Il futuro
di una
società in cui i servizi saranno più numerosi e occuperanno maggior personale che non
il lavoro produttivo
propriamente detto, esalta un ampio settore della popolazione, esattamente quello che oggi si sente
chiamato per
vocazione e formazione, ad assolvere alle funzioni di direzione e gestione di questa società
armoniosa. (...). (...) La rivoluzione industriale, parziale e incompiuta dell'America Latina è
concepita in funzione del superiore
livello raggiunto dalle nazioni che l'hanno attuata più di un secolo fa, il che, se la concezione
è seguita da
un'azione conseguente, porta a far si che la povertà non venga tenuta in grande
considerazione. La proprietà deve essere collettiva, ma lo Stato diventa proprietario dunque
sono i padroni reali dello Stato che
l'amministrano, la sfruttano e ne traggono la continuazione del proprio potere e dei propri privilegi
d'usufrutto.
Se trascuriamo poi l'immagine ormai parzialmente superata di un'America Latina votata a esportare
materie prime
e a importare prodotti finiti, per cercare le condizioni di uno sviluppo economico autonomo, fondato su
industrie
nazionali in grado di rispondere alle esigenze dei mercati interni, ma anche di vendere all'estero e di
assumere
un ruolo nella distribuzione delle funzioni di un'economia mondiale sempre più interconnessa
e talvolta,
involontariamente, solidale, veniamo a scoprire come ogni sforzo conduca alla volontà di
integrazione all'interno
di circuiti di tipo capitalistico e tecnocratico. Tale fatto può sembrare normale e logico, ma
contraddice
formalmente le motivazioni addotte dai vari movimenti riformatori o rivoluzionari. Le tematiche popolari
sfruttate
dalle nuove élites sono quelle di un socialismo libertario, dell'abolizione dello
sfruttamento dell'uomo
sull'uomo, della partecipazione responsabile e volontaria di ogni produttore all'opera decisa
comunemente,
dell'eliminazione dei privilegi e del parassitismo sociale. Ma le misure concretamente applicate
corrispondono
alla creazione di un proletariato il più numeroso possibile, alla sua mobilitazione per la
realizzazione di un piano
di sviluppo stabilito da burocrazie politiche e tecniche, alla creazione di una nuova piramide sociale, con
i suoi
livelli diversamente privilegiati e diversamente oppressi. Riguardo poi alla contraddizione tra i
richiami alla solidarietà, uguaglianza e libertà e i programmi progettati e
realizzati dai nuovi poteri è particolarmente significativo il fatto che l'immagine modello dei
costruttori della
nuova società corrisponda, volontariamente o inconsciamente ai sistemi delle società
industriali o post-industriali
di tipo nord-americano o sovietico. (...) Nel 1970 c'erano circa un milione di studenti iscritti nelle
università dell'America Latina: un numero
piuttosto piccolo per una popolazione totale di 200 milioni di abitanti; e tuttavia l'università
appare come uno
dei più importanti centri di attività e mobilitazione politica in quasi tutti i paesi, come uno
dei luoghi in cui
vengono elaborate in permanenza le rivendicazioni, non solo studentesche, ma sociali, come un
trampolino per
le cariche pubbliche, come il punto di partenza per le grandi avventure rivoluzionarie. Occorre
esaminare più da vicino la composizione di questa minimassa studentesca. Essa è
composta da figli
dell'alta borghesia, di eredi delle élites oligarchiche, ma anche dai discendenti delle
classi medie e, in minima
proporzione, di giovani che provengono dagli strati poveri. (...) (...) Nonostante tutte queste
differenze, esistono tratti in comune tra le diverse categorie dei giovani intellettuali.
L'università permette loro di scoprire la natura e l'importanza dei problemi posti dalla crescita
economica, dai
rapporti internazionali, dalla situazione eccentrica delle società latino-americane.
L'università valorizza il ruolo -
effettivo per alcuni di loro, potenziale per altri - di un personale direttivo, sia in una società in
movimento sia in
una società totalmente trasformata. Fornisce loro la coscienza che qualunque società,
qualunque Stato non può
fare a meno dei loro servizi. Esiste in realtà un certo grado di connivenza tra il potere ufficiale
e la popolazione
studentesca, anche quando il primo fa manganellare gli elementi più estremisti della seconda. Per
gli strati
dirigenti, l'università simbolizza e legittima la trasmissione del potere. I nuovi edifici universitari
- a Caracas come
in Messico - sono monumentali esemplari: il fatto che chi le frequenta sia insopportabile, indisciplinato,
pericoloso, non interrompe che casualmente la filiazione; questo almeno nei paesi in cui la spinta
rivoluzionaria
non minaccia direttamente le strutture sociali essenziali. All'interno dello stesso corpo studentesco la
frattura fra
abbienti e aspiranti non è mai totale. Si intessono legami di tipo generazionale o di
specializzazione. Se le
ideologie rivoluzionarie non possono avere presa su coloro che per nascita, per fortuna o per inserimento
facilitato
nella società avrebbero più da perdere che da guadagnare da esse, una situazione di crisi,
mettendo in discussione
le fondamenta stesse della società, provoca l'unione di importanti settori studenteschi di origine
diverse, attorno
a programmi che implicano una trasformazione rivoluzionaria. Il fenomeno della "coagulazione"
studentesca si verifica in varie occasioni. Un giovane economista venezuelano
riesce facilmente a rendersi conto che la torta delle royalties del petrolio è si
feconda al presente ma è altrettanto
fragile in termini di futuro: anche se proviene da una famiglia direttamente beneficitaria del sistema
attuale,
rifletterà con una prospettiva diretta al futuro e vedrà con simpatia il progetto di
nazionalizzazione, di gestione
autonoma o di sviluppo industriale e si sentirà più vicino ai movimenti rivoluzionari che
alla conservazione. Così
è facile trovare, sia all'interno dei circoli estremisti sia tra i guerriglieri, nei gruppi di azione
universitari come nei
partiti di estrema sinistra, un numero rilevante di "figli di papà". In questa defezione o in questa
adesione, più che
un conflitto generazionale (anche se questo aspetto non è da dimenticare) è opportuno
vedere un momento del
conflitto tra società vecchia e nuova. (...) (...) Resta così, come speranza e
volontà, la futura società possibile sbarazzatasi dei pesi morti e liberata dalle
strozzature del passato e del presente: la società razionale e efficiente, gestita da chi possiede il
sapere, le capacità
e i titoli. E' una speranza nutrita dalle evidenti contraddizioni e lacune del sistema, una speranza talvolta
alimentata dalla previsione di catastrofi imminenti, talvolta stimolata dalla propagazione di un metodo
di
conquista rapida del potere. Occorre ripeterlo: la scelta o l'impegno dell'intellettuale disponibile dipende,
prima
di tutto, dalla capacità di utilizzo delle sue funzioni da parte del regime sociale in cui vive. Il
Brasile amministrato
dai militari desarrollisti, autoritari e pro-occidentali, ha assorbito, grazie alla propria crescita
economica, la quasi
totalità dei detentori del sapere tecnico-scientifico e nello stesso tempo ha eliminato ogni
consistente opposizione.
La giunta militare del Perù raccoglie o mette a tacere una larga parte della sinistra e dell'estrema
sinistra
intellettuale offrendole degli spazi. Il Messico del Partito unico e del potere dei licenciados
ha cominciato a
incontrare difficoltà a partire dal momento in cui la produzione di diplomati ha superato le
possibilità di
assorbimento del proprio apparato governativo e amministrativo. L'appello alle masse proletarizzate,
il tentativo di alleanza tra studenti e operai, corrispondono, a seconda del
grado di capacità della società globale ad integrare gli intellettuali di ogni
specialità, alla ricerca di un motore
sociale capace di portare al potere (economico e politico) questa stessa classe intellettuale. D'altra parte,
la
formula apparentemente democratica (difesa dai movimenti universitari e accettata anche dagli
imprenditori
progressisti e dai diversi socialismi di stato) delle "uguali possibilità", che permetterebbe e
garantirebbe
l'istruzione generalizzata e aperta a tutti, in fin dei conti contribuisce ad giustificare il ruolo di una classe
dominante: una classe che non fonda più il proprio potere sulla proprietà ma sulla
funzione. Non si tratta infatti
di uguali possibilità per acquisire sapere, conoscenze e abitudine al ragionamento, ma di uguali
possibilità per
coloro che, con titoli e pergamene, avranno diritto al comando. (...) Fino a una data piuttosto
recente, l'intellettuale latino-americano era strettamente legato alla società oligarchica,
sia che facesse parte della società privilegiata, sia che la servisse. L'educazione superiore era
appannaggio degli
strati aristocratici o di quelli alto borghesi. A seguito di queste, e nella loro ombra, si muovono altre
categorie di intellettuali più numerose; anche i loro
membri sono forniti di diplomi, o hanno una infarinatura universitaria, ma non dispongono di alcuna
risorsa e
sono destinati a ruoli meno rispettati. Sono i professionisti indigenti, gli insegnanti medi e superiori, i
funzionari,
gli amministratori dei servizi: tali categorie formano, con un futuro più o meno brillante, le
schiere delle classi
medie. Sono alimentate dal desiderio tipico dei negozianti, artigiani e impiegati di vedere i figli ascendere
ai primi
livelli della promozione sociale: il titolo universitario rappresenta la condizione e la speranza dell'ascesa,
infatti,
nonostante il rapido intasamento, la creazione di nuovi servizi burocratici, lo sviluppo del commercio e
dell'industria, la crescita delle città, le attività politiche permetteranno di assorbire ancora
un grande numero degli
aspiranti. Ma presto nuovi ostacoli bloccano l'ascesa. La borghesia non si dimostra sufficientemente
dinamico, e il sistema
clientelare frena, invece di incoraggiare, le iniziative delle stessa classi medie, attratte più
fortemente
dall'amministrazione pubblica o dal commercio che dall'industria: troppi vagoni e nessuna locomotiva;
si sviluppa
un forte settore terziario, che non corrisponde affatto allo sviluppo industriale; l'università
continua a fabbricare
dottori in legge, in filosofia, in lettere e in seguito dei diplomati in sociologia o psicologia, tutti forniti di
conoscenze di cui non si vede l'utilizzo immediato e non immediatamente impiegabili. La folla degli
intellettuali
cresce, mentre gli sbocchi sono limitati: si assiste allora, negli anni '60, alla nascita di movimenti che, in
contrasto
con la fraseologia confusa delle classi medie, tracciano le linee di ideologie corrispondenti alla propria
unità
funzionale; non è più la speranza di una sistemazione e della riforma della società
che domina, ma la volontà di
trasformare la società dalla testa ai piedi. (...). (...) A questi tasselli del mosaico intellettuale,
che occupano vari posti in società diverse ma tutte caratterizzate
da una rapida evoluzione e dall'intervento crescente dello Stato, bisogna ora aggiungere alcuni gruppi la
cui
formazione non è di tipo universitario e la cui origine è estranea alle classi medie: si tratta
dei membri degli
apparati sindacali operai e dei burocrati permanenti dei movimenti contadini. Entrambi i gruppi sono
"usciti" dalle
classi di origine, e a diversi livelli, fanno parte del personale di gestione che è fortemente legato
alle
amministrazioni statali o ne dipende, trovandosi contemporaneamente a stretto contatto con i movimenti
politici:
La sfumatura delle diverse concezioni relative al tipo di società che dovrebbe rendere loro piena
giustizia e pieno
impiego, il sentimento di importanza che li attanaglia quando il regime li trascura o li considera solo come
servitori, la permanente frustrazione di considerarsi idonei alla partecipazione al potere mentre non
possono
accedervi, spingeranno gli intellettuali a collegarsi alle formazioni politiche che mirano alla conquista
dello Stato
per farne lo strumento essenziale della ricostruzione della società. Essi entrano in tali movimenti
politici, talvolta
li creano, più spesso osservano con simpatia i loro sforzi, anche se questi sono avventuristi e
destinati dall'inizio
alla sconfitta. Si crea allora un vero ambiente, dalle frontiere mal definite, in cui attivisti, collaboratori
occasionali, ideologi e militanti danno vita a iniziative e operazioni sempre tese alla presa del potere e
delle sue
anticamere. (...) (...) Vi è dunque un certo numero di tratti essenziali che avvicina gli
intellettuali, malgrado tutte le diversità di
origine, di formazione e di livello di integrazione nella vecchia società o in quella che sta
prendendo forma, e al
di là di ogni rivalità immediata: e la loro volontà di giungere ad un potere
monopolistico di stato (imposto vuoi
da un partito unico, vuoi dall'apparato militare), condizione preliminare per la lotta che la distribuzione
interna
dei poteri e dei ruoli e la creazione di una gerarchia tra i membri dello stesso strato sociale privilegiato
presuppongono; è la loro preferenza per la proprietà statale dei principali mezzi di
produzione, attraverso la
nazionalizzazione totale o la creazione di un settore pubblico maggioritario; è il convincimento
che la
pianificazione centralizzata offra la sola soluzione possibile ai problemi sociali interni e agli imperativi
della
concorrenza internazionale; è insomma la volontà di attuazione di un tipo di
società industriale e postindustriale.
In questa prospettiva, il progetto e il destino di questa nuova classe sono chiari, in quanto si iscrivono
nella natura
della sua funzione e nell'idea che questa classe se ne fa. Nella realtà, i meccanismi che
favoriscono l'avvento della
nuova classe e il modello di potere cui essa aspira sono più significativi della letteratura sterminata
che incensa
e giustifica la sua ascesa.
L. M. V.
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