Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 27 nr. 236
maggio 1997


Rivista Anarchica Online

Il paradosso dei burattini
di Mariano Dolci

Burattini e marionette non sono un passatempo o dei giocattolini adatti tuttalpiù ai bambini. L'esperienza del laboratorio "Gianni Rodari" di Reggio Emilia presentata dal suo animatore

Dal 1970 il "Laboratorio di Animazione" dei Nidi e delle Scuole dell'Infanzia Comunali di Reggio Emilia ha come precisa finalità quella di ricercare, sperimentare e diffondere le potenzialità pedagogiche dei burattini, delle marionette, delle maschere, delle ombre e dei travestimenti.
Leggiamo in un passo di una celebre poesia di Loris Malaguzzi, che poi ha dato titolo ad un libro e a una delle grandi mostre sulle Scuole dell'Infanzia di Reggio che girano il mondo: "Il bambino ha cento lingue ma gliene rubano novantanove...". Già al termine degli anni sessanta la frase si poteva incontrare affissa all'ingresso di alcune Scuole dell'Infanzia di Reggio.
Le frequenti conversazioni, sempre eccitanti, con Malaguzzi direttore delle scuole, gli incoraggiamenti di Rodari, che dedicò un capitolo della sua "Grammatica della fantasia" ai nostri burattini, preservarono il "Laboratorio" dalla tentazione di "calare" il teatro in fascie di età sempre più precoci.
"Spettacolino", "scenetta", "riduzione", "adattamento" sono dunque parole che non fanno parte del nostro lessico. Comunque anche termini come "drammatizzazione", "animatore", "spettatore", "burattino", "teatrino" ed altri necessiterebbero, a contatto con il Nido e la Scuola dell'Infanzia, di una profonda riconcettualizzazione. Il campo teatrale, spettacolare infatti, e le utilizzazioni pedagogiche non possono che avere presupposti, criteri, finalità, approcci, metodi e prassi del tutto diversi.
A differenza dunque delle ricerche dei professionisti teatrali che si prefiggono nelle loro ricerche formali di esplorare le possibilità espressive di una determinata tecnica in vista della creazione di uno stile, l'interesse del "Laboratorio" si rivolge a tutte le tecniche e a tutte le modalità di animazione per tentare di evidenziare i loro particolari pregi espressivi, i loro limiti, le analogie e le differenze tra di loro, ossia di definire la loro identità in vista di riproporli con sempre maggiore consapevolezza in contesti "non-spettacolari". Si parte del presupposto che gli strumenti ed i procedimenti non siano solo docili emanazioni di una progettazione demandata alla sola testa, ma che attraverso procedimenti di interazione con le mani ed il corpo e di retroazione con i processi espressivi, essi influenzino in modo significativo l'andamento della comunicazione. Insomma, esprimersi con burattini a guanto o con marionette a filo non è la stessa cosa, come del resto dimostra tutta la storia passata di questi due generi.
Si deve anche notare che nella nostra cultura eminentemente dualistica si procede per coppie opposizionali: mente-mano, spirito-materia, anima-corpo e l'interesse per le influenze esercitate dagli strumenti e le tecniche sui processi di di creazione e di espressione e di comunicazione non è mai stato molto spinto. Si postula dunque una mente che ordina e una mano che esegue. Perfino negli studi sulla pittura ed il disegno, che pure da tempo sono diventati abituali in pedagogia e psicologia infantile, noi incontreremo molto di rado delle osservazioni sulle proprietà dei materiali, delle tecniche, dei procedimenti e sulle loro influenze sui processi espressivi. Questo atteggiamento non si giustifica: nel nostro caso, qualsiasi sia il vincolo imposto dal testo, dal canovaccio o da un semplice progetto che l'animatore intende rispettare, si verificherà frequentemente un certo scarto tra quello che è stato precedentemente progettato e quello che effettivamente è stato espresso. Per cui, chi anima un burattino ha spesso la sensazione che il suo personaggio "gli prende la mano" come se fosse dotato di una certa autonomia.
Considerare burattini e marionette come un passatempo o come dei giocattolini adatti tutto al più per i bambini, è un pregiudizio relativamente recente. Paradossalmente, ci si deve convincere che i bambini sono stati proprio le prime vittime di questo pregiudizio che apparentemente avrebbe dovuto favorirli. Esso ha reso più difficile ogni riflessione sulle proprietà e le potenzialità di questi strumenti. I burattini attraggono molto i bambini, sia come spettacoli sia come giocattoli e questo costituisce una gravissima colpa in una cultura e in una scuola che (pur nel secolo che ha visto Piaget e Freud) continua lo stesso imperterrita a veicolare una immagine ridicolmente misera delle capacità dei bambini. Abbiamo dunque un'adulto "che sa", costituito da una grande bocca, e degli allievi costituiti da grandi orecchie ai quali si deve trasmettere parole.
Per via della nostra mancanza d'umorismo, della nostra deprimente incapacità di saper rispettare i paradossi, della nostra smania di suscitare continuamente dicotomie (tra cui le più dannose per i bambini sono: fantasia/ragione; gioco/studio; mano/mente; cognitività/affettività; comprensione/espressione; autoritarismo/permissivismo; ecc.) ci sfuggono le strategie straordinariamente raffinate messe in atto dai bambini per costruire le loro identità e la loro visione del mondo.
Finché possono, i bambini non accettano le dicotomie in cui li abbiamo ingabbiati, fanno di tutto per resistervi, per rimanere intelligenti, per utilizzare tutte le loro facoltà senza aspettare il nostro permesso. Quando possono, si appropriano dunque delle marionette come degli altri linguaggi e, qualora si aiuti il gruppo a risolvere i primi problemi tecnici di costruzione e di animazione, ne fanno subito uso per una quantità di "far finta" per loro molto strutturanti.
I bambini, anche i piccoli del Nido, avvertono immediatamente, vedendo un burattino, che ci si trova di fronte ad un paradosso interessante. Quando per esempio entra in scena il mio lupo dall'aspetto perfido, i bambini sono pervasi da un'emozionante inquietudine. Vedono perfettamente che si tratta di un lupo (il che non promette nulla di buono) e non di un canarino o di un pesciolino rosso. Tuttavia sanno anche che è solo un pezzo di cartapesta attaccato a della stoffa, ossia che è finto. Se alcuni accennano a spaventarsi, gli adulti si inteneriscono sulla presunta ingenuità infantile dimenticando, nella loro ostinata sottovalutazione dell'infanzia, che anche loro si commuovono intensamente al teatro, che hanno paura al cinema o che sobbalzano guardando la televisione, di fronte cioè a tutto quello che sanno perfettamente essere "finzione".
Dunque il burattino è e congiuntamente non è un lupo. La capacità di sopportare il paradosso senza volerlo risolvere immediatamente e a tutti i costi è la premessa necessaria per intendere la natura del burattino. Si tratta di una capacità straordinaria ed esclusiva dell'intelligenza umana responsabile del formarsi di ogni cultura, scienza o arte; capacità che non nasce in un solo giorno ma che ha bisogno fin dalla nascita di continuo alimento per costruirsi.
Nella Poetica Aristotele fissa per i secoli successivi cosa è la metafora che egli considera come la fonte della conoscenza: "La metafora è il trasferimento del nome di una cosa a un'altra cosa." (Achille è un leone). Questo processo rassomiglia molto all'uso che i bambini fanno dei burattini, delle marionette, delle maschere e dei travestimenti nei loro giochi di "far finta": si tratta di trasferire su un oggetto o un accessorio parte dell'identità di un altro essere reale o immaginario. Attraverso questa contrattazione tra idendità, la sua e quella di un modello ai suoi occhi pieno di attrattiva, il bambino costruisce e prende coscienza attraverso il gioco di analogie e di opposizioni, la sua personalità unica e irripetibile.
"Giocare" con altre identità è stato determinante all'alba dell'umanità per accedere alla coscienza: le cerimonie magico-religiose con maschere e statue animate sono state il ponte gettato tra la natura e la cultura. I giochi di maschere, travestimenti, bambole, burattini o, in assenza, semplici oggetti comuni ai quali si presta vita, sono riscoperti da ogni generazione di bambini per motivazioni simili: per fare emergere la propria identità attraverso la contrattazione con altre reali o immaginarie.
L'uso abituale di marionette (con le ombre, le maschere, i travestimenti) può dunque essere considerato come una strategia per esplorare la realtà che ci circonda e procedere nella conoscenza. "Comunicare per simboli animando paradossi, non è meno importante che comunicare per parole; qualche volta è il solo modo di comunicare per il bambino (Rodari)". Il riavvicinamento operato da Max Black, tra teoria scientifica e metafora, potrebbe forse permetterci di sfruttare a fondo la possibilità delle "marionette-metafore" di arrivare alla realtà per mezzo della finzione. Le paradossali caratteristiche delle marionette permettono di stimolare congiuntamente il dispiegarsi della fantasia e l'attivazione del senso critico. Il teatrino dovrebbe allora essere visto come una straordinaria opportunità di ridescrivere il mondo in assoluta libertà, per meglio conoscerlo e padroneggiarlo. Un'opportunità per mettere in scena i "se" epistemologici infantili. Ci si potrebbe anche interrogare se questi giochi, qualora non siano sporadici, non svolgano anche un ruolo nell'esperienza dei bambini per l'acquisizione di capacità critiche nei confronti dei messaggi e nel stimolare la scoperta e il padroneggiamento di sempre nuove relazioni tra realtà e fantasia, capacità sempre più necessarie e urgenti in un mondo come il nostro.
L'animismo, l'egocentrismo, l'artificialismo, il sostanzialismo, ecc., sono facoltà che ci sono date non per essere sezionate, amputate o riservate agli specialisti dell'arte ma per saperle integrare con le nostre capacità razionali. Oltre agli aspetti cognitivi che abbiamo sottolineato, pensiamo che l'uso abituale delle marionette abbia anche qualche rapporto con la formazione del senso etico: non aiutare e rispettare questi giochi ne determina presto un inaridimento con la conseguente incapaciità per gli adulti di sapersi "porre nei panni degli altri". Potrò sembrare un ingenuo ma ritengo che tanti fenomeni di violenza, di razzismo, di mancanza di solidarietà e di indifferenza alle sofferenze di altri, siano dovuti anche alla nostra non sufficientemente esercitata capacità di sapersi mettere "nei panni di un altro".
Ma i linguaggi espressivi non possono fare da soli miracoli e risolvere situazioni se non sono integrati con tutto il resto delle attività scolastiche. Come diceva, sempre Rodari, la loro finalità nell'educazione non è perchè qualcuno diventi artista, ma perchè nessuno sia schiavo. L'immagine che, aiutati anche dalle ricerche scientifiche, dobbiamo farci del bambino e delle sue potenzialità, presuppone una scuola che non sia solo preparazione alla vita, ma la vita stessa.