Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 26 nr. 232
dicembre 1996 - gennaio 1997


Rivista Anarchica Online

Dove va Greenpeace
di Alex Guindon

Dietro la lotta giorno per giorno, Greenpeace rifiuta di affrontare l'aspetto sociale della crisi ecologica? Lo sostiene, in questo articolo, Alex Guindon. Al quale replica Giuseppe Onufrio, coordinatore della campagna Energia e Clima di Greenpeace Italia.

Greenpeace. Chi non ha un'opinione su questo imbattuto campione della causa ambientalista? Spaventosa per alcuni che vi vedono il cuore di un complotto di sinistra che punta a mettere i bastoni tra le ruote della molto-libera impresa, banda di buffoni per altri che non apprezzano per niente la discutibile manipolazione dell'informazione cui il gruppo talvolta fa ricorso (1) o ancora, al contrario, ultimo bastione della natura prima che la stessa esali il suo ultimo respiro, ormai esangue dinanzi ai ripetiti attacchi dell'homo productivis. Se Greenpeace non lascia indifferente nessuno, sembra che le opinioni su di essa si diramino in ogni direzione. E non c'è da stupirsi! Il gigante verde fugge lo sguardo, si rifugia nella lotta più a buon mercato per evitare di riflettere sulla sua ragion d'essere: l'ambiente. Dietro una lotta giorno per giorno si nasconde un rifiuto sistematico di affrontare l'aspetto sociale della crisi ambientale.
Ci si potrebbe aspettare, da parte di un'organizzazione ambientalista, che definisse il proprio progetto, che elaborasse una visione del mondo e, soprattutto, che riflettesse sulle cause del degrado della natura che descrive. E invece niente. Organizzazione votata quasi esclusivamente all'azione, Greenpeace trae pretesto da questa lotta di carattere urgente e ineluttabile per giustificare l'assenza di qualunque riflessione globale. Al fine di conservare la propria indipendenza, l'organizzazione si vieta qualsiasi presa di posizione politica. Questo significa che il fatto sociale è escluso dal dibattito sulle cause dei problemi ambientali e da quello su un nuovo rapporto con la natura. Proviamo ad analizzarne le regioni.

L'arte di costruire sul vuoto
Con la storia di salvare il salvabile, Greenpeace si propone di attaccare direttamente gli inquinatori. L'azione del gruppo, ricordiamolo, va dalla protezione delle balene alla lotta contro il nucleare, passando dalla conservazione delle foreste. Ciò che sottintende questa azione, è un'ideologia conservazionista: per Greenpeace, "la guerra e la distruzione dell'ambiente derivano da una stessa causa non analizzata; ciò che importa non è comprendere perchè si produce questa distruzione, bensì rallentarla, invertire la tendenza" (2). Secondo questa visione, ogni individuo ha diritto all'aria pura e all'acqua limpida, ecc. Secondo Johanne Fillon, dell'ufficio di Montreal di Greenpeace, l'organizzazione vuole porre un freno all'utilizzo abusivo di queste risorse e raccomanda l'avvento di una "produzione propria, ovvero non inquinante e rispettosa dell'ambiente" (3). Esisterebbero dunque delle soluzioni semplici alla maggior parte di questi problemi, delle soluzioni che possono benissimo fare a meno della riflessione sui loro aspetti sociali. L'ideologia implicita alla quale l'organizzazione fa riferimento per legittimare i suoi comportamenti, si limita a una visione pragmatica che serve a orientare l'azione puntuale del gruppo. L'ambiente viene percepito come un insieme di ecosistemi il cui equilibrio è minacciato dal'azione umana. Il problema si riassume nel trovare un modo di applicare delle soluzioni pragmatiche a carattere sovente tecnologico e adottare un atteggiamento più sano nell'utilizzo delle risorse.
Ma basta scavare un po' per scoprire la fragilità e la superficialità di questa visione conservazionista. Così, in un'intervista, Johanne Fillon non fu in grado di definire altrimenti il concetto di ambiente se non rapportandosi alle azioni di Greenpeace per proteggerlo e lasciandosi scappare qualche vaga affermazione sulla nozione di equilibrio degli ecosistemi (4). Le cose peggiorano ulteriormente quando ci si rende conto dell'assenza totale di interrogativi riguardo all'origine dei problemi ambientali...
Per Greenpeace l'importante non è tanto porre questioni generali, cercare delle cause, ma piuttosto agier con urgenza ed efficacia attaccandosi subito ai problemi più grossi (che spesso sono i più mediatici). Greenpeace s'indigna, Greenpeace denncia e Greenpeace vola in soccorso degli squali bianchi e di altri mammiferi fotogenici. Non che questo sia inutile, al contrario! I successi puntuali di Greenpeace sono innegabili e quando il fuoco ha raggiunto il fienile, tanto meglio se si riesce a mettere in salvo qualche bella pecora bianca.
Ma tutto ciò ha veramente senso? E' una domanda che ci si può porre, perchè il gigante verde proprio non se la pone. Una soluzione al problema ecologico, per quanto imperfetta, impone di guardare con occhio critico la nostra società e di proporre altre strade. Ora, questa possibilità non esiste nemmeno per greenpeace che, troppo preoccupata delle sue azioni puntuali, non vede la foresta che si nasconde dietro l'albero.

Agire ora, pensare più tardi
Quando si pensa a Greenpeace, vengono subito alla mente una serie di immagini spettacolari. Ovvio, perchè tutta la strategia dell'organizzazione è cristallizzata in un vasto dispiegamento mediatico attentamente studiato. Ancora una volta, il mezzo è il messaggio. Tutto viene sacrificato alla visibilità. Ciò a cui si mira, è un'azione efficace che abbia degli impatti immediatamente percepibili: si tappano i canali che rovesciano rifiuti tossici nell'acqua dei fiumi o degli oceani; ci si frappone tra l'arpione e la balena per dare fastidio ai cacciatori illegali; si occupano delle piattaforme petrolifere, ecc. Si esalta al tempo stesso il coinvolgimento individuale dei membri (che sono essenzialmente dei finanziatori) che vengono incitati ad adottare uno stile di vita in armonia con la natura e a fare scelte di consumo ecologiche. Tutto questo va molto bene, ma perchè tanta enfasi sulle azioni spettacolari e mediatiche? Innanzi tutto, certo, perchè ciò è efficace. Greenpeace ha sviluppato il suo spazio d'azione con grande abilità in seno a una società iper-mediatizzata. L'organizzazione ha rapidamente compreso che bisognava sfruttare al meglio la sete di sensazionalismo dei media di massa, anche a costo di creare degli scandali o, se è il caso, a deformare i fatti (5).
Secondo quanto riconosciuto dalla medesima, Greenpeace è divenuto un gruppo estremamente ben organizzato che sa profittare delle tecnologie più recenti - il gruppo è tra i pionieri nell'utilizzo della rete internet - per portare a buon fine azioni minuziosamente studiate per ottenere il massimo impatto mediatico. Chi non si ricorda del celebre "ALCANCER" che sventolava sopra le ciminiere del gigante industriale Alcan, degli equipaggi dei fragili gommoni che affrontavano i terribili pescherecci armati fino ai denti o, ultimamente, le navi di Greenpeace che osavano spingersi ai limiti dell'atollo di Mururoa, luogo degli esperimenti nucleari francesi?
Greenpeace si specializza dunque nella messa in atto di azioni non-violente, ma sovente illegali. Ciò detto, bisogna riconoscere una cosa nel metodo di Greenpeace: ha consentito al gruppo di raggiungere una reputazione e un'importanza senza pari nel campo dell'ambientalismo. L'impatto delle messinscene di Greenpeace dipende in ultima analisi da due fattori: la mediatizzazione degli avvenimenti e il suo corollario, la possibilità di presentare il problema in modo semplice o meglio semplicistico. E' chiaro che tutta la strategia di Greenpeace dipende dalla copertura mediatica. A questo livello, non ci sono problemi: i giornali e le stazioni televisive di tutto il mondo sono ben felici di illustrare le disavventure di questa gioiosa banda di avventurieri dei tempi moderni. Per contro, affinchè un'azione abbia un impatto sui poteri politici o sulle grandi corporazioni, occorre ugualmente che la popolazione comprenda il problema e lo giudichi solubile. Così, si scelgono con cura i settori di attività in modo da toccare le corde più sensibili dei cittadini. Ciò che è necessario, sono problemi che si possano presentare sotto forma di discorso morale: ecco i cattivi, ecco le vittime. E se questi ultimi hanno il buon gusto di suscitare passioni, non ci si lamenterà.
All'inverso, allorchè il problema da risolvere appare complesso, si esita.
Quand'è che avete sentito parlare per l'ultima volta delle piogge acide? Questa questione così popolare negli anni Ottanta tende a complicarsi, i suoi impatti sono difficili da valutare e di conseguenza si esita a farne un cavallo di battaglia. Allo stesso modo, Greenpeace trascura il problema delle manipolazioni genetiche. Ci si riserva la possibilità di criticarne certe applicazioni, ma non ci si interroga sul problema in sè (6). E' troppo complesso e poco mediatico.
l'ideologia di Greenpeace si ferma spesso là dove comincia la riflessione.

"Nothing succeeds like success"
E' evidente, da un lato, che Greenpeace punta a dei successi puntuali e immediati come l'adozione di regolamentazioni più severe o ad azioni concrete da parte dei grandi inquinatori. Ma al cuore della strategia del gruppo si ritrova un altro imperativo, tanto banale quanto incoffessato: il reclutamento di membri-finanziatori. Per quanto concerne il primo obbiettivo, il successo dell'organizzazione è considerevole. Questa valutazione, come testimonia l'avventura della Rainbow Warrior, l'imbarcazione del gruppo colata a picco dai servizi segreti francesi, è senza dubbio condivisa dai governi e dalle imprese. Le azioni di Greenpeace disturbano, perchè sono largamente diffuse e calcolate in modo da commuovere il buon cittadino. Semplice ed efficace: si tratta di indurre dei cambiamenti puntuali attraverso la scappatoia della mobilitazione dell'opinione pubblica. Più di un governo fremerà dinanzi al malcontento della piazza alla vigilia di una scadenza elettorale: più di un consiglio di amministrazione tremerà di fronte alla minaccia di un boicottaggio.
Ma il successo della strategia di Greenpeace si misura anche in altro modo. Il finanziamento di Greenpeace dipende essenzialmente dai contributi volontari dei suoi membri. Più numerosi sono i suoi membri e più sono soddisfatti, più Greenpeace è in salute. E come si reclutano i nuovi membri? Ma è ovvio, accrescendo la propria visibilità! Le campagne d'azione di Greenpeace sono seguite da spedizioni postali che hanno lo scopo di reclutare nuovi membri e ottenere l'appoggio dei vecchi militanti. Per poter attirare nuovi membri Greenpeace deve rimandare l'immagine di una organizzazione dinamica ed efficace, in grado di rispondere ai problemi immediati in modo soddisfacente. Di conseguenza, un altro criterio entra in lizza nella selezione delle azioni mediatiche: quello della percentuale di successo. Come ricordano Eyerman e Jamison: "Greenpeace non agisce senza avere una ragionevole sicurezza di successo e questa strategia non può essere condotta a buon fine se non attraverso una pianificazione minuziosa e la valutazione esaustiva dei costi e dei benefici di un'operazione" (7).
In sintesi, niente riesce meglio del successo e sembra che Greenpeace abbia fatto propria questa parola d'ordine, nell'ottica di incrementare il numero dei propri aderenti. Ciò che occorre comprendere è che i membri di Greenpeace hanno una doppia importanza: aumentano il potere di pressione (lobbying) dell'organizzazione e forniscono i fondi necessari alla sua autoriproduzione. E' per questo che l'organizzazione sottoscrive accordi con società di sondaggi d'opinione per misurare l'effetto delle campagne, l'effetto della pubblicità del gruppo, così come per aggiustare la strategia secondo l'umore del momento (8).
Greenpeace ha anche un pubblico privilegiato: i giovani semiprofessionisti senza un'opinione politica definita. Non ci si può sorprendere allora se al gruppo manca un'ideologia! Greenpeace non è un'organizzazione dedita solo all'azione, ma è impegnata anche in un processo di autoriproduzione che spesso costituisce la ragione stessa delle sue azioni.

Non siamo ancora usciti dal bosco
Il quadro che abbiamo tracciato appare a tinte fosche. E lo è. Malgrado tutte le nostre critiche, Greenpeace ha avuto se non altro il merito di compiere delle azioni concrete o, se assecondiamo il suo punto di vista, di vincere delle battaglie in una guerra di lunga lena. Ammettiamolo, senza Greenpeace e il movimento ambientalista la situazione ambientale sarebbe senza dubbio peggiore dell'attuale. Greenpeace è il cane da guardia della causa verde. Ma come tutti i bravi cani, si lascia condurre al guinzaglio che ha al collo e non riesce a vedere più in là della punta del suo naso. Non si tratta tanto di condannare una volta per tutte il conservazionismo in nome di un bene superiore che è arduo definire. Bisogna certamente continuare a lottare partendo dai problemi che sentiamo più vicini, ma siamo onesti: non è riciclando le nostre cannuccie di Coca-Cola, eleggendo sindaci eco-sensibili e versando una lacrima per gli squali bianchi che cambieremo le cose, o proveremo a farlo. Nel momento in cui la Cina si appresta a dotare i suoi innumerevoli compagni di "automobili del popolo", Tokyo s'innalza su un cumuloo di immondizie e noi peccatori ci rendiamo conto, mogi mogi, che forse hanno superato i limiti, è così assurdo porsi una domanda tanto semplice: dove andiamo?
Perchè è proprio di noi che si tratta e non delle bestie, dei fiori e degli uccelli.
Il concetto stesso di ambiente, che Greenpeace dimentica di definire, fa riferimento a ciò che sta intorno a noi. Si tratta, lo si dimentica troppo spesso, di un concetto sociale. Porre l'essere umano al centro delle proprie preoccupazioni, non significa fare dell'antropocentrismo, ma semplicemente riconoscere un'evidenza: soltanto l'essere umano ha la possibilità di modificare coscientemente il suo ambiente. E' a lui che spetta dunque sistemare i picchetti di questa azione riflettendo sulla propria collocazione nella natura, ma anche sui suoi rapporti con i propri simili e i valori che strutturano il suo lavoro. In breve, la riflessione sulla crisi ambientale passa necessariamente attraverso una riflessione sul divenire della società umana. Finchè i movimenti ambientalisti cadranno nel corso di questa constatazione, rimarranno bloccati in una logica di fuga in avanti nutrita di soluzioni tecnologiche e non riusciranno a modificare in alcun modo le regole del grande gioco sociale.

(traduzione di Stefano Viviani dal "bollettino di riflessioni libertarie" Hors d'ordre, edito in Quebec - Canada)

(1) A questo proposito vedi R. Arnold e A. Gottlieb, "Greenpeace USA", in Trashing the economy, Free Enterprise Press, Washington 1993, pp. 173-183.
(2) Cfr. R. Eyerman e A. Jamison, "Environmental knowledge as an organizational weapon: the case of Greenpeace", Social Science Information, SAGE, Londra 1989, vol. 28 (1), p.110.
(3) Intervista con Johanne Fillon, responsabile dell'ufficio stampa di Greenpeace di Montreal, 23 febbraio 1996.
(4) Ibidem
(5) Per la presentazione di una serie di discutibili manipolazioni da parte di Greenpeace, vedi in particolare R. Arnold e A. Gottlieb, op. cit.
(6) Cfr. R. Eyerman e A. Jamison, op. cit. p.112
(7) Cfr. R. Eyerman e A. Jamison, op. cit. p.107
(8) Ibidem



Greenpeace va...

L'articolo di Alex Guindon sostiene che Greenpeace è priva di "visione del mondo", non riflette sulle cause sociali del degrado ambientale e quindi si dirige su battaglie a buon mercato, vietandosi "qualsiasi presa di posizione politica". Rientra in questa descrizione, il fatto di occuparsi solo di cose visibili, tralasciando temi più complessi, come ad esempio la manipolazione genetica. E' certamente vero che Greenpeace non adotta una ideologia esplicita e non pretende dai suoi iscritti di adottare una visione del mondo, intesa come teoria politica. In questo senso la critica è malposta: Greenpeace non si definisce come movimento politico e non ha la pretesa di modificare la società, così come nessuno si aspetta da Amnesty International di proporre alternative di governo nei Paesi in cui agise. Questo non vuol dire, ovviamente, che in un senso più lato Greenpeace non abbia una visione del mondo o che faccia della battaglie a buon mercato.
Guindon sembra poco informato sulle attività che Greenpeace svolge nel mondo e si sofferma solo sulle attività che, per loro natura, hanno maggiore visibilità. La stessa campagna di Mururoa è andata avanti dal 1972 e da allora sono state effettuate 12 azioni e in 7 di esse si è riusciti a compiere lo sbarco di protesta, ma l'opinione pubblica internazionale se n'è accorta in grande maggioranza solo lo scorso anno. Il mutato contesto internazionale ha probabilmente reso molto più visibile quella che era stata fino ad allora una battaglia condotta quasi in solitudine. Pochi ricordano che Greenpeace è stata tra le poche organizzazioni internazionali ad opporsi alla Guerra del Golfo, cecando di contrastare la propaganda pro-intervento, cosa che negli USA ha pagato anche in termini di iscritti.
Greenpeace è nata nel 1971, quando un gruppetto composito di ecopacifisti canadesi e americani noleggia un peschereccio - il Phyllis Cormack - per invadere le acque dell'isola di Amchitka (Isole Aleutine, Alaska) dove gli USA stavano per far esplodere una bomba atomica. Del gruppo fanno parte tra gli altri una coppia quacchera - che aveva tentato invano una azione simile a Bikini nel 1958 -, un critico teatrale, un giornalista, uno studente, il proprietario del peschereccio e altri. Il governo USA, dopo quattro mesi di campagna, dovette sospendere i test ad Amchitka. L'anno dopo a Mururoa, sarà David McTaggart a entrare nell'atollo mentre la bomba è già sopra di esso attaccata al pallone aereostatico.
Questa origine ha segnato l'organizzazione che ha fatto dell'azione diretta lo strumento principale di intervento e di denuncia. Una riflessione ben centrata sulle caratteristiche dei metodi adottati da Greenpeace è stata fatta da Wolfgang Sachs ("Guerrieri verdi senza truppe", ne Il Manifesto, 29/9/1995).
In sintesi, le argomentazioni di Sachs si concentrano sulla capacità di riportare dentro l'orizzonte di attenzione dell'opinione pubblica (laddove essa esiste) i costi "rimossi" della società industriale, sulle sue conseguenze remote, e cioè invisibili nella società dei media. Ciò avviene attraverso azioni dirette e nonviolente che le rendano da un lato eventi "telegenici" e dall'altro espressione di una presa di responsabilità attraverso l'esposizione personale degli attivisti. Questi elementi consentono a Greenpeace di riformulare in modo efficace l'azione politica nella società dominata dai mass media, senza per questo proporre esplicitamente una visione politica del mondo. Il ruolo di greenpeace è dunque quello di "catalizzare" e non può sostituirsi in alcun modo a chi governa a vari livelli.
Le azioni, comunque, sono solo un aspetto del modo di operare di Greenpeace, anche se quello più visibile. La redazione di rapporti scientifici, l'azione di lobby nelle istituzioni e con l'industria, sono parte integrante - anche se più tradizionale - delle campagne dell'associazione, aspetti che Guindon non considera molto.
In effetti, è vero che alcuni temi sono più difficili da attaccare e da "visualizzare" con le tecniche per cui è famosa Greenpeace. Ad esempio, la manipolazione genetica, su cui alcuni uffici di Greenpeace hanno cominciato a lavorare da due anni in qua. Oggi è in atto una campagna per bloccare la vendita in Europa e in Italia di soia geneticamente modificata prodotta dalla Monsanto negli USA.
Alcune campagne (nucleare, balene, scarichi industriali) oscurano altre attività che hanno minore "digeribilità" da parte dei media, come ad esempio lo sviluppo di una tecnologia pulita - il greenfreeze - per il settore della refrigerazione, o delle operazioni di "ritorno al mittente" - in Europa e negli USA - di scorie tossiche esportate in paesi in via di sviluppo.
Laddove invece non esiste alcuna libertà di informazione - o di libertà tout court - la strategia di Greenpeace non può mai ottenere lo stesso effetto di quello che ha nel mondo occidentale, perchè nessun cittadino - a parte quelli presenti in loco - si accorgerà mai di una protesta.
In questi mesi Greenpeace sta lavorando per il riconoscimento dell'ufficio di Hong Kong - che l'anno prossimo torna a far parte della Cina Popolare - e ha avviato una missione in India. Tradurre in termini cinesi o indiani i temi e le modalità di agire di Greenpeace richiede un notevole sforzo e, per quanto Guindon lo neghi, molta capacità di riflessione. In entrambi i Paesi si è cominciato con il denunciare l'esportazione di scorie tossiche da alcuni paesi occidentali. In occidente, emarginare metodi produttivi distruttivi per l'ambiente e la salute è difficile ma possibile; il rischio in atto è dato dalla loro "emigrazione" in altre aree del mondo. Premere perchè le tecnologie più pulite ed efficienti siano accessibili a tutti è oggi un aspetto centrale della nostra azione.
L'efficacia che Greenpeace a volte riesce ad avere è dunque basata anche sulla sua natura di associazione (e quindi non "politica") che unisce le persone e le culture più diverse in 33 Paesi nei 5 continenti. Gli obbiettivi proposti hanno comunque una valenza politica generale e su questi, certe volte, l'opinione pubblica riesce a battere la volontà dei governi.
Se dunque Greenpeace solleva questioni che ritiene prioritarie, catalizzando l'attenzione pubblica e proponendo alternative, il compito di trovare soluzioni politiche e diplomatiche e di trasformare la società spetta invece a chi - movimenti, partiti, governi - si candida in ruoli più strettamente politici.

Giuseppe Onufrio