Rivista Anarchica Online
Dove va Greenpeace
di Alex Guindon
Dietro la lotta giorno per giorno, Greenpeace rifiuta di affrontare l'aspetto sociale della crisi ecologica? Lo
sostiene, in questo articolo, Alex Guindon. Al quale replica Giuseppe Onufrio, coordinatore della campagna
Energia e Clima di Greenpeace Italia.
Greenpeace. Chi non ha un'opinione su questo imbattuto campione della causa
ambientalista? Spaventosa per
alcuni che vi vedono il cuore di un complotto di sinistra che punta a mettere i bastoni tra le ruote della
molto-libera impresa, banda di buffoni per altri che non apprezzano per niente la discutibile manipolazione
dell'informazione cui il gruppo talvolta fa ricorso (1) o ancora, al contrario, ultimo bastione della natura prima
che la stessa esali il suo ultimo respiro, ormai esangue dinanzi ai ripetiti attacchi dell'homo
productivis. Se
Greenpeace non lascia indifferente nessuno, sembra che le opinioni su di essa si diramino in ogni direzione. E
non c'è da stupirsi! Il gigante verde fugge lo sguardo, si rifugia nella lotta più a buon mercato per
evitare di
riflettere sulla sua ragion d'essere: l'ambiente. Dietro una lotta giorno per giorno si nasconde un rifiuto
sistematico di affrontare l'aspetto sociale della crisi ambientale. Ci si potrebbe aspettare, da parte di
un'organizzazione ambientalista, che definisse il proprio progetto, che
elaborasse una visione del mondo e, soprattutto, che riflettesse sulle cause del degrado della natura che descrive.
E invece niente. Organizzazione votata quasi esclusivamente all'azione, Greenpeace trae pretesto da questa lotta
di carattere urgente e ineluttabile per giustificare l'assenza di qualunque riflessione globale. Al fine di conservare
la propria indipendenza, l'organizzazione si vieta qualsiasi presa di posizione politica. Questo significa che il fatto
sociale è escluso dal dibattito sulle cause dei problemi ambientali e da quello su un nuovo rapporto con
la natura.
Proviamo ad analizzarne le regioni.
L'arte di costruire sul vuoto Con la storia di salvare il salvabile, Greenpeace
si propone di attaccare direttamente gli inquinatori. L'azione del
gruppo, ricordiamolo, va dalla protezione delle balene alla lotta contro il nucleare, passando dalla conservazione
delle foreste. Ciò che sottintende questa azione, è un'ideologia conservazionista: per Greenpeace,
"la guerra e la
distruzione dell'ambiente derivano da una stessa causa non analizzata; ciò che importa non è
comprendere perchè
si produce questa distruzione, bensì rallentarla, invertire la tendenza" (2). Secondo questa visione, ogni
individuo
ha diritto all'aria pura e all'acqua limpida, ecc. Secondo Johanne Fillon, dell'ufficio di Montreal di Greenpeace,
l'organizzazione vuole porre un freno all'utilizzo abusivo di queste risorse e raccomanda l'avvento di una
"produzione propria, ovvero non inquinante e rispettosa dell'ambiente" (3). Esisterebbero dunque delle soluzioni
semplici alla maggior parte di questi problemi, delle soluzioni che possono benissimo fare a meno della
riflessione sui loro aspetti sociali. L'ideologia implicita alla quale l'organizzazione fa riferimento per legittimare
i suoi comportamenti, si limita a una visione pragmatica che serve a orientare l'azione puntuale del gruppo.
L'ambiente viene percepito come un insieme di ecosistemi il cui equilibrio è minacciato dal'azione umana.
Il
problema si riassume nel trovare un modo di applicare delle soluzioni pragmatiche a carattere sovente tecnologico
e adottare un atteggiamento più sano nell'utilizzo delle risorse. Ma basta scavare un po' per scoprire
la fragilità e la superficialità di questa visione conservazionista. Così, in
un'intervista, Johanne Fillon non fu in grado di definire altrimenti il concetto di ambiente se non rapportandosi
alle azioni di Greenpeace per proteggerlo e lasciandosi scappare qualche vaga affermazione sulla nozione di
equilibrio degli ecosistemi (4). Le cose peggiorano ulteriormente quando ci si rende conto dell'assenza totale di
interrogativi riguardo all'origine dei problemi ambientali... Per Greenpeace l'importante non è tanto
porre questioni generali, cercare delle cause, ma piuttosto agier con
urgenza ed efficacia attaccandosi subito ai problemi più grossi (che spesso sono i più mediatici).
Greenpeace
s'indigna, Greenpeace denncia e Greenpeace vola in soccorso degli squali bianchi e di altri mammiferi fotogenici.
Non che questo sia inutile, al contrario! I successi puntuali di Greenpeace sono innegabili e quando il fuoco ha
raggiunto il fienile, tanto meglio se si riesce a mettere in salvo qualche bella pecora bianca. Ma tutto
ciò ha veramente senso? E' una domanda che ci si può porre, perchè il gigante verde
proprio non se la
pone. Una soluzione al problema ecologico, per quanto imperfetta, impone di guardare con occhio critico la nostra
società e di proporre altre strade. Ora, questa possibilità non esiste nemmeno per greenpeace che,
troppo
preoccupata delle sue azioni puntuali, non vede la foresta che si nasconde dietro l'albero.
Agire ora, pensare più tardi Quando si pensa a Greenpeace, vengono
subito alla mente una serie di immagini spettacolari. Ovvio, perchè tutta
la strategia dell'organizzazione è cristallizzata in un vasto dispiegamento mediatico attentamente studiato.
Ancora
una volta, il mezzo è il messaggio. Tutto viene sacrificato alla visibilità. Ciò a cui si mira,
è un'azione efficace
che abbia degli impatti immediatamente percepibili: si tappano i canali che rovesciano rifiuti tossici nell'acqua
dei fiumi o degli oceani; ci si frappone tra l'arpione e la balena per dare fastidio ai cacciatori illegali; si occupano
delle piattaforme petrolifere, ecc. Si esalta al tempo stesso il coinvolgimento individuale dei membri (che sono
essenzialmente dei finanziatori) che vengono incitati ad adottare uno stile di vita in armonia con la natura e a fare
scelte di consumo ecologiche. Tutto questo va molto bene, ma perchè tanta enfasi sulle azioni spettacolari
e
mediatiche? Innanzi tutto, certo, perchè ciò è efficace. Greenpeace ha sviluppato il suo
spazio d'azione con grande
abilità in seno a una società iper-mediatizzata. L'organizzazione ha rapidamente compreso che
bisognava sfruttare
al meglio la sete di sensazionalismo dei media di massa, anche a costo di creare degli scandali o, se è il
caso, a
deformare i fatti (5). Secondo quanto riconosciuto dalla medesima, Greenpeace è divenuto un gruppo
estremamente ben organizzato
che sa profittare delle tecnologie più recenti - il gruppo è tra i pionieri nell'utilizzo della rete
internet - per portare
a buon fine azioni minuziosamente studiate per ottenere il massimo impatto mediatico. Chi non si ricorda del
celebre "ALCANCER" che sventolava sopra le ciminiere del gigante industriale Alcan, degli equipaggi dei fragili
gommoni che affrontavano i terribili pescherecci armati fino ai denti o, ultimamente, le navi di Greenpeace che
osavano spingersi ai limiti dell'atollo di Mururoa, luogo degli esperimenti nucleari francesi? Greenpeace si
specializza dunque nella messa in atto di azioni non-violente, ma sovente illegali. Ciò detto,
bisogna riconoscere una cosa nel metodo di Greenpeace: ha consentito al gruppo di raggiungere una reputazione
e un'importanza senza pari nel campo dell'ambientalismo. L'impatto delle messinscene di Greenpeace dipende
in ultima analisi da due fattori: la mediatizzazione degli avvenimenti e il suo corollario, la possibilità di
presentare
il problema in modo semplice o meglio semplicistico. E' chiaro che tutta la strategia di Greenpeace dipende dalla
copertura mediatica. A questo livello, non ci sono problemi: i giornali e le stazioni televisive di tutto il mondo
sono ben felici di illustrare le disavventure di questa gioiosa banda di avventurieri dei tempi moderni. Per contro,
affinchè un'azione abbia un impatto sui poteri politici o sulle grandi corporazioni, occorre ugualmente
che la
popolazione comprenda il problema e lo giudichi solubile. Così, si scelgono con cura i settori di
attività in modo
da toccare le corde più sensibili dei cittadini. Ciò che è necessario, sono problemi che
si possano presentare sotto
forma di discorso morale: ecco i cattivi, ecco le vittime. E se questi ultimi hanno il buon gusto di suscitare
passioni, non ci si lamenterà. All'inverso, allorchè il problema da risolvere appare complesso,
si esita. Quand'è che avete sentito parlare per l'ultima volta delle piogge acide? Questa questione
così popolare negli anni
Ottanta tende a complicarsi, i suoi impatti sono difficili da valutare e di conseguenza si esita a farne un cavallo
di battaglia. Allo stesso modo, Greenpeace trascura il problema delle manipolazioni genetiche. Ci si riserva la
possibilità di criticarne certe applicazioni, ma non ci si interroga sul problema in sè (6). E' troppo
complesso e
poco mediatico. l'ideologia di Greenpeace si ferma spesso là dove comincia la riflessione.
"Nothing succeeds like success" E' evidente, da un lato, che Greenpeace punta
a dei successi puntuali e immediati come l'adozione di
regolamentazioni più severe o ad azioni concrete da parte dei grandi inquinatori. Ma al cuore della
strategia del
gruppo si ritrova un altro imperativo, tanto banale quanto incoffessato: il reclutamento di membri-finanziatori.
Per quanto concerne il primo obbiettivo, il successo dell'organizzazione è considerevole. Questa
valutazione,
come testimonia l'avventura della Rainbow Warrior, l'imbarcazione del gruppo colata a picco dai
servizi segreti
francesi, è senza dubbio condivisa dai governi e dalle imprese. Le azioni di Greenpeace disturbano,
perchè sono
largamente diffuse e calcolate in modo da commuovere il buon cittadino. Semplice ed efficace: si tratta di indurre
dei cambiamenti puntuali attraverso la scappatoia della mobilitazione dell'opinione pubblica. Più di un
governo
fremerà dinanzi al malcontento della piazza alla vigilia di una scadenza elettorale: più di un
consiglio di
amministrazione tremerà di fronte alla minaccia di un boicottaggio. Ma il successo della strategia di
Greenpeace si misura anche in altro modo. Il finanziamento di Greenpeace
dipende essenzialmente dai contributi volontari dei suoi membri. Più numerosi sono i suoi membri e
più sono
soddisfatti, più Greenpeace è in salute. E come si reclutano i nuovi membri? Ma è ovvio,
accrescendo la propria
visibilità! Le campagne d'azione di Greenpeace sono seguite da spedizioni postali che hanno lo scopo di
reclutare
nuovi membri e ottenere l'appoggio dei vecchi militanti. Per poter attirare nuovi membri Greenpeace deve
rimandare l'immagine di una organizzazione dinamica ed efficace, in grado di rispondere ai problemi immediati
in modo soddisfacente. Di conseguenza, un altro criterio entra in lizza nella selezione delle azioni mediatiche:
quello della percentuale di successo. Come ricordano Eyerman e Jamison: "Greenpeace non agisce senza avere
una ragionevole sicurezza di successo e questa strategia non può essere condotta a buon fine se non
attraverso
una pianificazione minuziosa e la valutazione esaustiva dei costi e dei benefici di un'operazione" (7). In
sintesi, niente riesce meglio del successo e sembra che Greenpeace abbia fatto propria questa parola d'ordine,
nell'ottica di incrementare il numero dei propri aderenti. Ciò che occorre comprendere è che i
membri di
Greenpeace hanno una doppia importanza: aumentano il potere di pressione (lobbying)
dell'organizzazione e
forniscono i fondi necessari alla sua autoriproduzione. E' per questo che l'organizzazione sottoscrive accordi con
società di sondaggi d'opinione per misurare l'effetto delle campagne, l'effetto della pubblicità del
gruppo, così
come per aggiustare la strategia secondo l'umore del momento (8). Greenpeace ha anche un pubblico
privilegiato: i giovani semiprofessionisti senza un'opinione politica definita.
Non ci si può sorprendere allora se al gruppo manca un'ideologia! Greenpeace non è
un'organizzazione dedita
solo all'azione, ma è impegnata anche in un processo di autoriproduzione che spesso costituisce la ragione
stessa
delle sue azioni.
Non siamo ancora usciti dal bosco Il quadro che abbiamo tracciato appare a
tinte fosche. E lo è. Malgrado tutte le nostre critiche, Greenpeace ha
avuto se non altro il merito di compiere delle azioni concrete o, se assecondiamo il suo punto di vista, di vincere
delle battaglie in una guerra di lunga lena. Ammettiamolo, senza Greenpeace e il movimento ambientalista la
situazione ambientale sarebbe senza dubbio peggiore dell'attuale. Greenpeace è il cane da guardia della
causa
verde. Ma come tutti i bravi cani, si lascia condurre al guinzaglio che ha al collo e non riesce a vedere più
in là
della punta del suo naso. Non si tratta tanto di condannare una volta per tutte il conservazionismo in nome di un
bene superiore che è arduo definire. Bisogna certamente continuare a lottare partendo dai problemi che
sentiamo
più vicini, ma siamo onesti: non è riciclando le nostre cannuccie di Coca-Cola, eleggendo sindaci
eco-sensibili
e versando una lacrima per gli squali bianchi che cambieremo le cose, o proveremo a farlo. Nel momento in cui
la Cina si appresta a dotare i suoi innumerevoli compagni di "automobili del popolo", Tokyo s'innalza su un
cumuloo di immondizie e noi peccatori ci rendiamo conto, mogi mogi, che forse hanno superato i limiti, è
così
assurdo porsi una domanda tanto semplice: dove andiamo? Perchè è proprio di
noi che si tratta e non delle bestie, dei fiori e degli uccelli. Il concetto stesso di ambiente, che
Greenpeace dimentica di definire, fa riferimento a ciò che sta intorno a noi.
Si tratta, lo si dimentica troppo spesso, di un concetto sociale. Porre l'essere umano al centro delle proprie
preoccupazioni, non significa fare dell'antropocentrismo, ma semplicemente riconoscere un'evidenza: soltanto
l'essere umano ha la possibilità di modificare coscientemente il suo ambiente. E' a lui che spetta dunque
sistemare
i picchetti di questa azione riflettendo sulla propria collocazione nella natura, ma anche sui suoi rapporti con i
propri simili e i valori che strutturano il suo lavoro. In breve, la riflessione sulla crisi ambientale passa
necessariamente attraverso una riflessione sul divenire della società umana. Finchè i movimenti
ambientalisti
cadranno nel corso di questa constatazione, rimarranno bloccati in una logica di fuga in avanti nutrita di soluzioni
tecnologiche e non riusciranno a modificare in alcun modo le regole del grande gioco sociale.
(traduzione
di Stefano Viviani dal "bollettino di riflessioni libertarie" Hors d'ordre, edito in Quebec -
Canada)
(1) A questo proposito vedi R. Arnold e A. Gottlieb, "Greenpeace USA", in Trashing
the economy, Free
Enterprise Press, Washington 1993, pp. 173-183. (2) Cfr. R. Eyerman e A. Jamison, "Environmental
knowledge as an organizational weapon: the case of
Greenpeace", Social Science Information, SAGE, Londra 1989, vol. 28 (1), p.110. (3) Intervista
con Johanne Fillon, responsabile dell'ufficio stampa di Greenpeace di Montreal, 23 febbraio 1996. (4)
Ibidem (5) Per la presentazione di una serie di discutibili manipolazioni da parte di Greenpeace,
vedi in particolare R.
Arnold e A. Gottlieb, op. cit. (6) Cfr. R. Eyerman e A. Jamison, op. cit.
p.112 (7) Cfr. R. Eyerman e A. Jamison, op. cit. p.107 (8) Ibidem
Greenpeace va...
L'articolo di Alex Guindon sostiene che Greenpeace è priva di "visione del mondo", non riflette sulle
cause sociali
del degrado ambientale e quindi si dirige su battaglie a buon mercato, vietandosi "qualsiasi presa di posizione
politica". Rientra in questa descrizione, il fatto di occuparsi solo di cose visibili, tralasciando temi più
complessi,
come ad esempio la manipolazione genetica. E' certamente vero che Greenpeace non adotta una ideologia
esplicita e non pretende dai suoi iscritti di adottare una visione del mondo, intesa come teoria politica. In questo
senso la critica è malposta: Greenpeace non si definisce come movimento politico e non ha la pretesa di
modificare la società, così come nessuno si aspetta da Amnesty International di proporre
alternative di governo
nei Paesi in cui agise. Questo non vuol dire, ovviamente, che in un senso più lato Greenpeace non abbia
una
visione del mondo o che faccia della battaglie a buon mercato. Guindon sembra poco informato sulle
attività che Greenpeace svolge nel mondo e si sofferma solo sulle attività
che, per loro natura, hanno maggiore visibilità. La stessa campagna di Mururoa è andata avanti
dal 1972 e da
allora sono state effettuate 12 azioni e in 7 di esse si è riusciti a compiere lo sbarco di protesta, ma
l'opinione
pubblica internazionale se n'è accorta in grande maggioranza solo lo scorso anno. Il mutato contesto
internazionale ha probabilmente reso molto più visibile quella che era stata fino ad allora una battaglia
condotta
quasi in solitudine. Pochi ricordano che Greenpeace è stata tra le poche organizzazioni internazionali ad
opporsi
alla Guerra del Golfo, cecando di contrastare la propaganda pro-intervento, cosa che negli USA ha pagato anche
in termini di iscritti. Greenpeace è nata nel 1971, quando un gruppetto composito di ecopacifisti
canadesi e americani noleggia un
peschereccio - il Phyllis Cormack - per invadere le acque dell'isola di Amchitka (Isole Aleutine,
Alaska) dove
gli USA stavano per far esplodere una bomba atomica. Del gruppo fanno parte tra gli altri una coppia quacchera
-
che aveva tentato invano una azione simile a Bikini nel 1958 -, un critico teatrale, un giornalista, uno studente,
il proprietario del peschereccio e altri. Il governo USA, dopo quattro mesi di campagna, dovette sospendere i test
ad Amchitka. L'anno dopo a Mururoa, sarà David McTaggart a entrare nell'atollo mentre la bomba
è già sopra
di esso attaccata al pallone aereostatico. Questa origine ha segnato l'organizzazione che ha fatto dell'azione
diretta lo strumento principale di intervento
e di denuncia. Una riflessione ben centrata sulle caratteristiche dei metodi adottati da Greenpeace è stata
fatta da
Wolfgang Sachs ("Guerrieri verdi senza truppe", ne Il Manifesto, 29/9/1995). In sintesi, le
argomentazioni di Sachs si concentrano sulla capacità di riportare dentro l'orizzonte di attenzione
dell'opinione pubblica (laddove essa esiste) i costi "rimossi" della società industriale, sulle sue
conseguenze
remote, e cioè invisibili nella società dei media. Ciò avviene attraverso azioni dirette e
nonviolente che le rendano
da un lato eventi "telegenici" e dall'altro espressione di una presa di responsabilità attraverso l'esposizione
personale degli attivisti. Questi elementi consentono a Greenpeace di riformulare in modo efficace l'azione
politica nella società dominata dai mass media, senza per questo proporre esplicitamente una visione
politica del
mondo. Il ruolo di greenpeace è dunque quello di "catalizzare" e non può sostituirsi in alcun modo
a chi governa
a vari livelli. Le azioni, comunque, sono solo un aspetto del modo di operare di Greenpeace, anche se quello
più visibile. La
redazione di rapporti scientifici, l'azione di lobby nelle istituzioni e con l'industria, sono parte integrante - anche
se più tradizionale - delle campagne dell'associazione, aspetti che Guindon non considera molto. In
effetti, è vero che alcuni temi sono più difficili da attaccare e da "visualizzare" con le tecniche
per cui è famosa
Greenpeace. Ad esempio, la manipolazione genetica, su cui alcuni uffici di Greenpeace hanno cominciato a
lavorare da due anni in qua. Oggi è in atto una campagna per bloccare la vendita in Europa e in Italia di
soia
geneticamente modificata prodotta dalla Monsanto negli USA. Alcune campagne (nucleare, balene, scarichi
industriali) oscurano altre attività che hanno minore "digeribilità"
da parte dei media, come ad esempio lo sviluppo di una tecnologia pulita - il greenfreeze - per il
settore della
refrigerazione, o delle operazioni di "ritorno al mittente" - in Europa e negli USA - di scorie tossiche esportate
in paesi in via di sviluppo. Laddove invece non esiste alcuna libertà di informazione - o di
libertà tout court - la strategia di Greenpeace non
può mai ottenere lo stesso effetto di quello che ha nel mondo occidentale, perchè nessun cittadino
- a parte quelli
presenti in loco - si accorgerà mai di una protesta. In questi mesi Greenpeace sta lavorando per il
riconoscimento dell'ufficio di Hong Kong - che l'anno prossimo
torna a far parte della Cina Popolare - e ha avviato una missione in India. Tradurre in termini cinesi o indiani i
temi e le modalità di agire di Greenpeace richiede un notevole sforzo e, per quanto Guindon lo neghi,
molta
capacità di riflessione. In entrambi i Paesi si è cominciato con il denunciare l'esportazione di
scorie tossiche da
alcuni paesi occidentali. In occidente, emarginare metodi produttivi distruttivi per l'ambiente e la salute è
difficile
ma possibile; il rischio in atto è dato dalla loro "emigrazione" in altre aree del mondo. Premere
perchè le
tecnologie più pulite ed efficienti siano accessibili a tutti è oggi un aspetto centrale della nostra
azione. L'efficacia che Greenpeace a volte riesce ad avere è dunque basata anche sulla sua natura di
associazione (e quindi
non "politica") che unisce le persone e le culture più diverse in 33 Paesi nei 5 continenti. Gli obbiettivi
proposti
hanno comunque una valenza politica generale e su questi, certe volte, l'opinione pubblica riesce a battere la
volontà dei governi. Se dunque Greenpeace solleva questioni che ritiene prioritarie, catalizzando
l'attenzione pubblica e proponendo
alternative, il compito di trovare soluzioni politiche e diplomatiche e di trasformare la società spetta
invece a chi -
movimenti, partiti, governi - si candida in ruoli più strettamente politici.
Giuseppe Onufrio
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