Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 26 nr. 230
ottobre 1996


Rivista Anarchica Online

Fuori dal cerchio della ragione
di Elena Petrassi

Il migliore dei mondi possibili, anzi l'unico mondo possibile. E' quello che noi occidentali abitiamo. O meglio, un coro incessante di voci ci dice che noi abitiamo questo mondo così perfetto. I mass media per primi, e tra questi la televisione che domina ogni aspetto sociale e comunicativo della nostra vita. Anche i nostri politici alzano le loro voci a difendere questa società, questo modello di vita, questo modello di consumi. Poco importa che la televisione ci mostri immagini devastanti di guerre combattute altrove, di ingiustizie perpetrate altrove. Di
tanto in tanto la televisione ci porta i visi disperati di esseri umani che hanno perduto tutto o che non hanno più nulla da perdere se non la vita. E a volte ci mostra come il confine tra l'inclusione e l'esclusione sociale sia sottile e labile. Gli immigrati "sans papiers" francesi sono la dimostrazione che il diritto di cittadinanza non è dato per sempre. Basta che una qualsiasi legge venga cambiata e poco importa il numero di anni trascorsi in un qualsivoglia territorio nazionale a lavorare, pagare le tasse, cercare di costruire qualcosa. Le leggi cambiano e quale che sia il senso di giustizia di cui esse sono portatrici, le donne e gli uomini si devono piegare. Se per legge e per accordo i governanti decidono che l'unione europea si farà solo a patto del raggiungimento di alcuni parametri economico-finanziari, mi riferisco all'accordo di Maastricht, niente può essere cambiato, il costo in termini sociali è trascurabile. In Europa sappiamo esserci circa venti milioni di disoccupati destinati forse a crescere. Le categorie e le garanzie del lavoro dipendente cambiano e i sindacati, nel mare sempre più grosso della deregolamentazione del mercato del lavoro, appaiono impotenti a gestire il cambiamento. Un cambiamento strutturale, culturale e immaginario trascinato dalle potenti innovazioni tecnologiche, gestito dalla finanza virtuale internazionale attraverso il controllo dei mass-media ormai già avvenuto. Il mercato e le sue regole sono l'imperativo dominante in un mondo in cui ormai il luogo del potere si è interamente trasferito dall'ambito politico e sociale a quello economico. Questo cambiamento ha trovato il ceto politico quale comprimario del cambiamento, anzi forse impotente a far si che le cose andassero diversamente. La divisione del potere economico da quello politico e legislativo è una divisione formale di cui sono forse coscienti gli studiosi di quella che a questa punto è diventata una sorta di archeologia della scienza politica occidentale. I fondamenti degli stati nazionali e delle democrazie occidentali vacillano perché il potere economico ha assunto una portata transnazionale. Inutile pensare che sia possibile cambiare qualcosa, questo è quanto i chierici della nuova ideologia dominante vanno ripetendoci instancabilmente. Per fortuna ogni tanto qualche voce dissonante si alza e grida che le cose non stanno proprio così, che questo processo non è irreversibile e che chi si sente "impelagato, invischiato in questa dottrina appiccicosa che avviluppa impercettibilmente qualsiasi ragionamento ribelle, lo inibisce, lo offusca, lo paralizza e finisce per soffocarlo" deve contribuire alla fondazione di un pensiero critico capace di opporsi al Pensiero Unico, questo "furore ideologico che è un moderno dogmatismo". Una delle prime voci a essersi levata contro questo modello di società è il direttore di Le Monde diplomatique, Ignacio Ramonet. Nel gennaio del 1995 ha presentato la sua concezione del Pensiero Unico dalle colonne del suo giornale. Nel 1996 in un libro collettivo con Fabio Giovannini e Giovanna Ricoveri ha approfondito questi temi e indicato delle vie possibili di confronto per opporsi allo stato delle cose. Il libro in questione si intitola Il pensiero unico e i nuovi padroni del mondo (Edizioni Strategia della Lumaca - Lire 16.000 - Roma 1996).
L'analisi di Ramonet si snoda attraverso le grandi trasformazioni indotte dall'informatica e lo strapotere che la televisione ha assunto anche in termini di creazione di immaginario soprattutto per i bambini e gli adolescenti. Delinea poi con grande chiarezza la struttura della finanza internazionale che è comunque in grado di influenzare la politica economica di qualsiasi stato attraverso massicci spostamenti di risorse e ci fornisce i concetti chiave del pensiero unico: "il mercato, la cui mano invisibile mitiga le asperità e le disfunzioni del capitalismo; la concorrenza e la competitività che stimolano e dinamizzano le aziende; il libero scambio senza limiti, quale fattore di sviluppo; la mondializzazione sia della produzione manifatturiera che dei flussi finanziari; la divisione internazionale del lavoro, che modera le rivendicazioni salariali e abbassa il costo del lavoro; la moneta forte, fattore di stabilizzazione; le deregulation, la privatizzazione, la liberalizzazione" e così via. I mass media e gli uomini politici, i giornalisti, i centri di ricerca e le università più prestigiose non fanno altro che ripetere, come già dicevo sopra, che questo è l'unico mondo possibile: ben consapevoli che nella nostra società dell'informazione istantanea "ripetere equivale a dimostrare". Porsi al di fuori di quello che il saggista neo-liberale Alain Minc chiama "il cerchio della ragione" significa collocarsi tra gli emarginati, i devianti, gli anormali.
Un mondo vasto e variegato aggiungo io, fatto di dissidenti politici, di oppositori, di poveri, di disoccupati, di anziani e di bambini, di folli.
Tanto bello comunque questo mondo governato dal pensiero unico alla fin fine poi non deve essere se in tutte le nazioni occidentali, il consumo di ansiolitici e tranquillanti aumenta di anno in anno.
D'altronde la nuova psichiatria di matrice bio-organicista che continua e riprende a curare i sintomi del malessere psichico come se l'essere umano non fosse un'unità di mente corpo, ma un insieme di parti separate, offre i suoi servigi al sistema per far si che tranquilli e caricati, i cittadini di questo mondo nuovo alla Aldous Huxley si adattino e non escano dalle righe.
Leggendo il saggio di Ramonet ho avuto più di una volta l'impressione che gli anni sessanta e settanta siano passati come una grande tempesta ma che non abbiano gettato radici solide per un reale cambiamento. Ma è così o sono io a essere sconsolata e pessimista? Il saggio di Fabio Giovannini porta l'attenzione sull'arretratezza culturale della sinistra istituzionale rispetto al mondo del pensiero unico. I suoi strumenti di analisi si rifanno al pensiero marxista classico, con fondamenta cioè piuttosto lontane da quelle degli anarchici. Ciò non toglie che anche per noi questi spunti siano utili per avviare un confronto rispetto all'andamento di questa società nella quale volenti o nolenti, viviamo e lavoriamo. Uno degli spunti che trovo importante è quello della necessità di "capire meglio l'immaginario, di fronte a un mondo che è sempre più rappresentato dai mezzi di comunicazione, e quindi dall'immaginario che veicolano". In questo senso penso ai contributi fondamentali di Eduardo Colombo e Cornelius Castoriadis.
Giovannini dal canto suo cerca le manchevolezze del pensiero critico nel "buco nero del marxismo", cioè nel vuoto di elaborazione della sinistra a proposito dei mass-media e si muove interamente in ambito istituzionale e statuale. Con il quale d'altronde noi, anche nostro malgrado, siamo costretti a confrontarci, vista comunque la crisi degli AIS, cioè degli apparati ideologici di stato, che sono la scuola, la famiglia, la chiesa, i partiti.
La sua rassegna va dagli studi di Enzensberger a quelli di Marcuse, da quelli di Adorno a quelli di Horkeimer. Un altro spunto che ho trovato estremamente interessante è quello dell'individualismo portato dal pensiero unico: "Il Pensiero Unico è estremamente individualistico: è il pensiero dell'Uno, in antitesi alla valorizzazione dell'incontro con l'altro, il diverso. Anzi, nei confronti del diverso viene sempre più spesso scelta la violenza. L'individuo solitario viene contrapposto a tutto ciò che è in comune, e a ogni solidarietà. L'individuo diventa un atomo privo di legami sociali, senza appartenenze se non quelle originarie del sangue e del suolo (una metafora usata dal nazismo, non a caso). E questo individualismo si dota di una sua precisa proposta di felicità: una felicità anestetizzante fondata sulla merce". Un individualismo ben lontano da quello di filone anarchico come è ben evidente.
Giovannini comunque chiude il suo contributo lanciando un invito al "composito universo... sociale e culturale estraneo al pensiero unico" di mettere in rete e in comunicazione le proprie esperienze e i propri saperi.
Il terzo e ultimo saggio, quello di Giovanna Ricoveri introduce degli "elementi per una critica ecologica al pensiero unico". Una delle prime evidenziazioni parte dai legami tra mondializzazione economica e marginalità sociale ben delineate da Riccardo Petrella sempre su Le Monde Diplomatique attraverso quelli che lui stesso definisce i "nuovi comandamenti o tavole della legge". II mercato è il grande regolatore della vita economica, la guida degli uomini e della società...Ci dicono che bisogna aver fede nei meccanismi del mercato...ma la libertà che il mercato offre all'uomo è quella di sottomettersi. Se non lo fa...sarà eliminato dal mercato e dal lavoro...Le tavole del nuovo ordine mondiale sono sei, e in estrema sintesi si possono così rappresentare: 1) nessuno potrà evitare il processo di mondializzazione; 2) nessuno potrà sottrarsi alle rivoluzioni scientifica e tecnologica permanente in atto; 3) nessuno potrà evitare di misurarsi con la competitività, pena l'esclusione materiale e sociale; 4) uno spazio unico mondiale, sostitutivo degli stati nazionali, nel quale merci, capitali e servizi circolino liberamente, è inevitabile; 5) la definizione delle regole non spetta più allo stato, ma alle imprese, diversamente la competitività non funziona; 6) la privatizzazione di interi comparti dell'economia e della vita sociale (ferrovie, trasporti pubblici, ospedali, istruzione, banche, cultura, acqua, luce, gas) è il complemento obbligato della nuova situazione, determinata dalla competitività. "Di fronte a questo scenario anche la sinistra si comporta come se tutto ciò fosse un approdo obbligato". A questo la Ricoveri fa risalire anche la crisi del Welfare State, "avendo cambiato lo stato, a causa della mondializzazione, natura e funzione. Oggi, la sua mediazione sociale non serve, perché le basi espansive del capitale si sono ridotte e il conflitto sociale viene controllato con la disoccupazione e con l'esclusione sociale".
Interessante è anche l'analisi della globalizzazione e della segmentazione territoriale del mercato globale, dove "lo spazio della globalizzazione non è dunque quello universalistico dell'uguaglianza: anzi, alle vecchie gerarchie e diseguaglianze economiche e sociali della precedente fase di accumulazione, temperate dal compromesso socialdemocratico e dal Welfare, si sostituiscono ora la frammentazione e l'esclusione, senza le mediazioni istituzionali e sociali, cadute sotto la scure della competitività". Sulla pervasività non solo economica ma anche culturale del mercato sono valide le riflessioni introdotte nel paragrafo La deculturazione e le monoculture della mente, nella quale viene fatto riferimento agli studi di Serge Latouche e Vandana Shiva. La grande scommessa resta comunque quella sul futuro con parole d'ordine quali "rallentare ( i ritmi di vita e di lavoro ) e preservare le risorse, le città, le persone, sia nel senso ristretto di conservare, sia nel senso ampio di ristrutturare e ricostruire".
Credo che materiale di discussione ce ne sia molto anche per chi non si riconosce nelle parti in campo ed è con l'auspicio di aprire un dibattito sulla nostra rivista che vi lascio queste mie righe.