Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 26 nr. 229
estate 1996


Rivista Anarchica Online

L'allevamento intensivo degli studenti
di Filippo Trasatti

Memento vivere: Che la passione sia con te

E' mattina. Sono le otto e venti. Entro in una classe ancora fredda, dove tra quattro mura e con venticinque adolescenti stipati e assonnati, trascorrerò circa un'ora, leggendo, parlando, forse discutendo e ascoltando.
Mi colloco sulla mia cattedra, luogo centrale, protetto alle spalle da un muro e metto il mio corpo a riposo. E i loro corpi? Sono forse morti? No, sono corpi caldi quelli che ho davanti, vivi e caldi. Questa compressione di corpi giovani e vitali in uno spazio tanto piccolo e inadeguato, anonimo, spesso brutto e opprimente, fa paura e dalla paura ci si difende con l'odio e l'oppressione.
E' l'esperienza di tutti gli insegnanti novellini la paura della prima volta: l'ingresso in classe - i colleghi più anziani dicevano «nell'arena dei leoni». In qualche modo si prova a difendersi, erigendo la barriera del ruolo e della cattedra, la distanza fisica, lo sguardo dall'alto, il potere del registro contabile.
Che tacciano, che stiano fermi ai loro posti.
Ciò che si vuole, e si sa impossibile, è la completa immobilità al limite del rigor mortis. Che i loro corpi possano diventare invisibili, affinché si possa liberamente parlare alle loro giovani e duttili anime ed educarle.
Potrebbero essere morti, ci si accontenterebbe di fantasmi, purché studiosi e capaci di emettere deboli eco che si possano udire e valutare. Ecco se volessimo trovare tre parole chiave per seguire il percorso proposto da Raoul Vaneigem nel suo libro appena tradotto, La scuola è vostra (Marco Tropea Editore, Milano 1996) potremmo scegliere queste: paura , morte e in contrapposizione la passione.
Oggi probabilmente l'autore è sconosciuto ai più giovani, ma tra la fine degli anni Sessanta e la metà degli anni
Settanta, un suo libro divenne celeberrimo e usatissimo dalle giovani e meno giovani generazioni nell'ambiente di una certa sinistra libertaria, esistenzialista, situazionista e non: il Trattato del saper vivere, ad uso delle giovani generazioni (pubblicato in Francia nel 1967 e tradotto in Italia da Vallecchi nel 1973). Ho ripreso per l'occasione quel testo che, con un linguaggio impossibile, diceva tra le tante altre una cosa fondamentale che fa da sfondo a quest'ultimo libro: la passione, anzi le passioni vitali fondamentali, sono prosciugate dal potere mortifero della società mediatica e mercantile e sono in via di sparizione.
Perché la società mercantile è basata sulla coazione all'annientamento: ricerca ciò che è vivo, e lo trasforma o lo sostituisce con ciò che è morto; così fa per il lavoro, e più in generale per i rapporti umani. In questo modo la vita diventa sopravvivenza, un banchetto di avvoltoi sopra un mondo in rovina. «Non c'è niente che uccida con maggiore certezza che l'accontentarsi di sopravvivere» (44). La scuola è un modello perfetto per studiare l'azione
mortifera esercitata sui giovani dalla società mercantile e le strategie di addomesticamento delle passioni.
La scuola: «Ecco quattro mura. Il consenso generale stabilisce che qui, con qualche ipocrita riguardo, si sarà imprigionati, repressi, colpevolizzati, giudicati, onorati, puniti, umiliati, etichettati, manipolati, vezzeggiati, violentati, consolati, trattati come bebè prematuri che elemosinano aiuto e assistenza.» (8)
Una scuola creata insieme ad altri sistemi repressivi per forgiare i corpi e le menti dei sudditi, che oggi è diventata
un anacronismo, non più al passo con i tempi, si dice, eppure ancora in grado di compiere quell'operazione fondamentale per la sopravvivenza del sistema mercantile: parcellizzare, incanalare e azzerare le passioni.
La rivoluzione che parte della vita quotidiana, ci dice Vaneigem allievo di Fourier, passa attraverso la spinta passionale e pone a proprio modello le tre passioni più represse e necessarie: il gioco, la creatività e l'amore.
La gioia e il gioco nell'apprendimento, comune nelle società animali e nella prima infanzia del cucciolo d'uomo,
vengono brutalmente raffreddati con il primo ingresso nella scuola e gradualmente ridotti fino a svanire nell'età
preadolescenziale. Alle superiori ormai è assurdo giocare, se non a calcio. In questa situazione che cosa resta del
sapere, intorno a cui si pretenderebbe di strutturare il rapporto tra insegnanti e studenti? Su questo punto Paulo
Freire ha detto vent'anni fa parole decisive e la situazione non è minimamente cambiata da allora. Continuiamo a muoverci in quella che lui chiamava una concezione patrimoniale e bancaria del sapere.
L'aula, i banchi, sono sportelli di banche: al posto dei soldi circolano pacchetti di sapere che si depositano nella
memoria affinché producano interessi. Gli attori agiscono all'interno di un sistema e recitano un copione che
certo non hanno scritto né possono scrivere da sé. Sono già fin dal primo momento sostituibili, in quanto pezzi di un meccanismo che, pur se molto arrugginito, continua ugualmente a funzionare.
Mi fa sempre impressione vedere gli ex studenti che tornano dopo anni a visitare la loro scuola e trovano che
tutto continua a funzionare senza di loro, che sono stati assolutamente inessenziali nel sistema, che di loro non è rimasta traccia. E allora chiedono, a volte, se ci ricordiamo di loro. Non è vieto sentimentalismo; è come se chiedessero se, non dico i muri, ma almeno noi che abbiamo passato anni con loro, abbiamo provato qualcosa per loro che sia rimasto nella memoria. Alcuni quasi non me li ricordo, confusi tra i cento volti di un anno, ma altri
sono stati importanti per la mia vita, e non sempre riesco a dirglielo come vorrei.
Se in certi momenti mi sono appassionato a loro, a ciò che stavamo facendo insieme. La passione non è un lusso, è un elemento necessario della vita; parafrasando Vaneigem: colui che porta nel suo cuore il cadavere delle proprie passioni educherà soltanto delle anime morte. Questo è davvero per me un punto centrale, affascinante, una vera sfida per chi insegna (e tutti in qualche modo insegnamo) e per chi ama la conoscenza. Il sapere filtrato dai programmi scolastici ha perso tutta la sua originaria sensualità, il suo carattere di ricerca appassionata, il travaglio, la fatica; gli errori, i vicoli ciechi sono stati espunti come elementi vergognosi, come se il sapere si muovesse da sempre e per sempre entro il solco già tracciato della certezza. Restano soltanto compilazioni, digesti, da aggiornare a cura delle case editrici.
Gli insegnanti, adulatori del Libro di Testo, vi trovano la verità già scritta che devono limitarsi a ripetere, commentare e infiorettare. Non siamo molto lontani, come si può vedere, dal metodo scolastico medievale, con la differenza importante che almeno allora i discepoli sceglievano i maestri e nella pratica delle quaestiones rovesciavano i ruoli e interrogavano i maestri con un fuoco di fila di domande e problemi da togliere il fiato.
Il sapere è diventato dunque carne morta. « Infilzare una farfalla con uno spillo non è il modo migliore di far conoscenza di lei. Chi trasforma il vivente in cosa morta, quale che ne sia il pretesto, dimostra soltanto che il suo sapere non gli è servito nemmeno a diventare umano». (38) Un colpo mortale. Certo, si dirà, Vaneigem accentua a bella posta, con dei temi quasi deamicisiani, gli aspetti più logori e démodé di una scuola con permanenze ottocentesche; ci porta , come in una via crucis, a toccare stazione per stazione i punti più dolorosi, ma inevitabili se si vuol davvero rimettere sui piedi il problema scuola.
La scuola è per Vaneigem la culla di una speranza: dare al vivente la priorità sull'economia mortifera. È l'esatto contrario di quello che si sta tentando di fare: metterla interamente sotto il segno dell'economia e il criterio della quantità. Lo ricorda lo stesso Vaneigem, citando un memorandum della Commissione europea sull'educazione: «si raccomandava alle università di comportarsi come imprese sottoposte alle regole della concorrenza e del mercato. Lo stesso documento esprimeva l'augurio che gli studenti fossero trattati come clienti, stimolati non ad apprendere, ma a consumare».(53)
Così il cerchio si chiude: la scuola accoglie nelle sue braccia mortifere i bambini piccoli ancora pieni di passioni,
al gioco, alla conoscenza, all'amore, e li restituisce al mercato del lavoro dotati di un unica spinta: la passione acquisitiva del consumatore.
Il libro di Vaneigem è dedicato agli studenti, così almeno recita il sottotitolo, ma coinvolge pienamente tutti coloro che si occupano della scuola, dai politici ai genitori, agli insegnanti.
È durissimo ma pieno di speranza e di poesia. Mostra che esiste una strada diversa, che non è lontana da quelle che abitualmente percorriamo. Comincia dalle cose semplici , superflue ed essenziali. «Occupate gli edifici scolastici invece di lasciarvi contagiare dalla loro rovina programmata. Abbelliteli a vostro piacimento, la bellezza infatti incita alla creazione e all'amore, mentre la bruttezza attira l'odio e l'annientamento». (82)
Passa poi alle cose più difficili: «Trasformatele in laboratori creativi, in centri d'incontro, in parchi d'intelligenza
attrattiva. Che le scuole siano i frutteti di un gaio sapere, alla maniera degli orti che i disoccupati e i più bisognosi
non hanno ancora avuto l'immaginazione d'impiantare nelle grandi città, sfondando l'asfalto e il cemento». (83)
Svela che il re è nudo, che tutti i discorsi fumosi dei politici sulla scuola hanno eluso il più ragionevole dei provvedimenti: «Se gli uomini politici nutrissero per l'educazione le buone intenzioni che proclamano incessantemente, non farebbero di tutto per garantirne la qualità? Tarderebbero forse a deliberare le due misure che determinano la condizione sine qua non di un apprendimento umano: aumentare il numero degli insegnanti e diminuire il numero di allievi per classe, in modo che ognuno possa essere trattato secondo la sua specificità e non confuso nell'anonimato della folla?».(66)
Non è vero che queste siano proposte impraticabili. Non ci lasciamo irretire da chi dice che è tutta questione di fondi, di contabilità commerciale di denaro pubblico e privato, « del denaro rubato alla vita e messo al servizio del denaro». C'è una strada, praticabilissima e rivoluzionaria, non dico l'unica, di cui sono da tempo persuaso: la tecnologia oggi, nel lavoro come a scuola è in grado di liberarci dalle occupazioni più ripetitive in modo leggero, lasciando più spazio e tempo ai rapporti umani, al gioco e alla creatività. Non c'è ragione per non servirsene, se non che si teme stupidamente di venir sostituiti dalle macchine. Chi teme questo ha già ammesso
implicitamente di essere sostituibile, e ancor di più, che nel suo lavoro non c'è spazio e tempo per l'umano.
Rifletta infatti ognuno: se si liberassero davvero le ore scolastiche dei tempi morti (la maggior parte), che si farebbe poi con gli studenti dei tempi vivi liberati? Il ritorno della vita a scuola fa paura, fa ritornare a scorrere il sangue nelle vene, la passione sui corpi.
«Al di fuori di una scuola aperta dove ci sia e si cerchi incessantemente la vita-dall'arte di amare alle matematiche
speculative- c'è soltanto la noia e il peso morto di un passato totalitario».