Rivista Anarchica Online
L'allevamento intensivo degli studenti
di Filippo Trasatti
Memento vivere: Che la passione sia con te
E' mattina. Sono le otto e venti. Entro in una classe ancora fredda, dove tra quattro
mura e con venticinque
adolescenti stipati e assonnati, trascorrerò circa un'ora, leggendo, parlando, forse discutendo e
ascoltando. Mi colloco sulla mia cattedra, luogo centrale, protetto alle spalle da un muro e metto il mio corpo
a riposo. E i
loro corpi? Sono forse morti? No, sono corpi caldi quelli che ho davanti, vivi e caldi. Questa compressione di
corpi giovani e vitali in uno spazio tanto piccolo e inadeguato, anonimo, spesso brutto e opprimente, fa paura e
dalla paura ci si difende con l'odio e l'oppressione. E' l'esperienza di tutti gli insegnanti novellini la paura della
prima volta: l'ingresso in classe - i colleghi più
anziani dicevano «nell'arena dei leoni». In qualche modo si prova a difendersi, erigendo la barriera del ruolo e
della cattedra, la distanza fisica, lo sguardo dall'alto, il potere del registro contabile. Che tacciano, che stiano
fermi ai loro posti. Ciò che si vuole, e si sa impossibile, è la completa immobilità
al limite del rigor mortis. Che i loro corpi possano
diventare invisibili, affinché si possa liberamente parlare alle loro giovani e duttili anime ed
educarle. Potrebbero essere morti, ci si accontenterebbe di fantasmi, purché studiosi e capaci di
emettere deboli eco che si
possano udire e valutare. Ecco se volessimo trovare tre parole chiave per seguire il percorso proposto da Raoul
Vaneigem nel suo libro appena tradotto, La scuola è vostra (Marco Tropea
Editore, Milano 1996) potremmo
scegliere queste: paura , morte e in contrapposizione la passione. Oggi probabilmente l'autore è
sconosciuto ai più giovani, ma tra la fine degli anni Sessanta e la metà degli anni Settanta,
un suo libro divenne celeberrimo e usatissimo dalle giovani e meno giovani generazioni nell'ambiente
di una certa sinistra libertaria, esistenzialista, situazionista e non: il Trattato del saper vivere, ad uso delle
giovani
generazioni (pubblicato in Francia nel 1967 e tradotto in Italia da Vallecchi nel 1973). Ho ripreso per
l'occasione
quel testo che, con un linguaggio impossibile, diceva tra le tante altre una cosa fondamentale che fa da sfondo a
quest'ultimo libro: la passione, anzi le passioni vitali fondamentali, sono prosciugate dal potere mortifero della
società mediatica e mercantile e sono in via di sparizione. Perché la società mercantile
è basata sulla coazione all'annientamento: ricerca ciò che è vivo, e lo trasforma o lo
sostituisce con ciò che è morto; così fa per il lavoro, e più in generale per i
rapporti umani. In questo modo la vita
diventa sopravvivenza, un banchetto di avvoltoi sopra un mondo in rovina. «Non c'è niente che uccida
con
maggiore certezza che l'accontentarsi di sopravvivere» (44). La scuola è un modello perfetto per studiare
l'azione mortifera esercitata sui giovani dalla società mercantile e le strategie di addomesticamento
delle passioni. La scuola: «Ecco quattro mura. Il consenso generale stabilisce che qui, con qualche ipocrita
riguardo, si sarà
imprigionati, repressi, colpevolizzati, giudicati, onorati, puniti, umiliati, etichettati, manipolati, vezzeggiati,
violentati, consolati, trattati come bebè prematuri che elemosinano aiuto e assistenza.» (8) Una scuola
creata insieme ad altri sistemi repressivi per forgiare i corpi e le menti dei sudditi, che oggi è
diventata un anacronismo, non più al passo con i tempi, si dice, eppure ancora in grado di compiere
quell'operazione
fondamentale per la sopravvivenza del sistema mercantile: parcellizzare, incanalare e azzerare le passioni. La
rivoluzione che parte della vita quotidiana, ci dice Vaneigem allievo di Fourier, passa attraverso la spinta
passionale e pone a proprio modello le tre passioni più represse e necessarie: il gioco, la creatività
e l'amore. La gioia e il gioco nell'apprendimento, comune nelle società animali e nella prima infanzia
del cucciolo d'uomo, vengono brutalmente raffreddati con il primo ingresso nella scuola e gradualmente
ridotti fino a svanire nell'età preadolescenziale. Alle superiori ormai è assurdo giocare, se non
a calcio. In questa situazione che cosa resta del sapere, intorno a cui si pretenderebbe di strutturare il rapporto
tra insegnanti e studenti? Su questo punto Paulo Freire ha detto vent'anni fa parole decisive e la situazione
non è minimamente cambiata da allora. Continuiamo
a muoverci in quella che lui chiamava una concezione patrimoniale e bancaria del sapere. L'aula, i banchi,
sono sportelli di banche: al posto dei soldi circolano pacchetti di sapere che si depositano nella memoria
affinché producano interessi. Gli attori agiscono all'interno di un sistema e recitano un copione
che certo non hanno scritto né possono scrivere da sé. Sono già fin dal primo
momento sostituibili, in quanto pezzi
di un meccanismo che, pur se molto arrugginito, continua ugualmente a funzionare. Mi fa sempre impressione
vedere gli ex studenti che tornano dopo anni a visitare la loro scuola e trovano che tutto continua a funzionare
senza di loro, che sono stati assolutamente inessenziali nel sistema, che di loro non
è rimasta traccia. E allora chiedono, a volte, se ci ricordiamo di loro. Non è vieto
sentimentalismo; è come se
chiedessero se, non dico i muri, ma almeno noi che abbiamo passato anni con loro, abbiamo provato qualcosa per
loro che sia rimasto nella memoria. Alcuni quasi non me li ricordo, confusi tra i cento volti di un anno, ma
altri sono stati importanti per la mia vita, e non sempre riesco a dirglielo come vorrei. Se in certi momenti
mi sono appassionato a loro, a ciò che stavamo facendo insieme. La passione non è un lusso,
è un elemento necessario della vita; parafrasando Vaneigem: colui che porta nel suo cuore il cadavere
delle
proprie passioni educherà soltanto delle anime morte. Questo è davvero per me un punto centrale,
affascinante,
una vera sfida per chi insegna (e tutti in qualche modo insegnamo) e per chi ama la conoscenza. Il sapere filtrato
dai programmi scolastici ha perso tutta la sua originaria sensualità, il suo carattere di ricerca appassionata,
il
travaglio, la fatica; gli errori, i vicoli ciechi sono stati espunti come elementi vergognosi, come se il sapere si
muovesse da sempre e per sempre entro il solco già tracciato della certezza. Restano soltanto
compilazioni,
digesti, da aggiornare a cura delle case editrici. Gli insegnanti, adulatori del Libro di Testo, vi trovano la
verità già scritta che devono limitarsi a ripetere,
commentare e infiorettare. Non siamo molto lontani, come si può vedere, dal metodo scolastico
medievale, con
la differenza importante che almeno allora i discepoli sceglievano i maestri e nella pratica delle quaestiones
rovesciavano i ruoli e interrogavano i maestri con un fuoco di fila di domande e problemi da togliere il
fiato. Il sapere è diventato dunque carne morta. « Infilzare una farfalla con uno spillo non è
il modo migliore di far
conoscenza di lei. Chi trasforma il vivente in cosa morta, quale che ne sia il pretesto, dimostra soltanto che il suo
sapere non gli è servito nemmeno a diventare umano». (38) Un colpo mortale. Certo, si dirà,
Vaneigem accentua
a bella posta, con dei temi quasi deamicisiani, gli aspetti più logori e démodé di una
scuola con permanenze
ottocentesche; ci porta , come in una via crucis, a toccare stazione per stazione i punti più dolorosi, ma
inevitabili
se si vuol davvero rimettere sui piedi il problema scuola. La scuola è per Vaneigem la culla di una
speranza: dare al vivente la priorità sull'economia mortifera. È l'esatto
contrario di quello che si sta tentando di fare: metterla interamente sotto il segno dell'economia e il criterio della
quantità. Lo ricorda lo stesso Vaneigem, citando un memorandum della Commissione europea
sull'educazione:
«si raccomandava alle università di comportarsi come imprese sottoposte alle regole della concorrenza
e del
mercato. Lo stesso documento esprimeva l'augurio che gli studenti fossero trattati come clienti, stimolati non ad
apprendere, ma a consumare».(53) Così il cerchio si chiude: la scuola accoglie nelle sue braccia
mortifere i bambini piccoli ancora pieni di passioni, al gioco, alla conoscenza, all'amore, e li restituisce al
mercato del lavoro dotati di un unica spinta: la passione
acquisitiva del consumatore. Il libro di Vaneigem è dedicato agli studenti, così almeno recita
il sottotitolo, ma coinvolge pienamente tutti
coloro che si occupano della scuola, dai politici ai genitori, agli insegnanti. È durissimo ma pieno di
speranza e di poesia. Mostra che esiste una strada diversa, che non è lontana da quelle
che abitualmente percorriamo. Comincia dalle cose semplici , superflue ed essenziali. «Occupate gli edifici
scolastici invece di lasciarvi contagiare dalla loro rovina programmata. Abbelliteli a vostro piacimento, la bellezza
infatti incita alla creazione e all'amore, mentre la bruttezza attira l'odio e l'annientamento». (82) Passa poi alle
cose più difficili: «Trasformatele in laboratori creativi, in centri d'incontro, in parchi
d'intelligenza attrattiva. Che le scuole siano i frutteti di un gaio sapere, alla maniera degli orti che i
disoccupati e i più bisognosi non hanno ancora avuto l'immaginazione d'impiantare nelle grandi
città, sfondando l'asfalto e il cemento». (83) Svela che il re è nudo, che tutti i discorsi fumosi
dei politici sulla scuola hanno eluso il più ragionevole dei
provvedimenti: «Se gli uomini politici nutrissero per l'educazione le buone intenzioni che proclamano
incessantemente, non farebbero di tutto per garantirne la qualità? Tarderebbero forse a deliberare le due
misure
che determinano la condizione sine qua non di un apprendimento umano: aumentare il numero degli insegnanti
e diminuire il numero di allievi per classe, in modo che ognuno possa essere trattato secondo la sua
specificità
e non confuso nell'anonimato della folla?».(66) Non è vero che queste siano proposte impraticabili.
Non ci lasciamo irretire da chi dice che è tutta questione di
fondi, di contabilità commerciale di denaro pubblico e privato, « del denaro rubato alla vita e messo al
servizio
del denaro». C'è una strada, praticabilissima e rivoluzionaria, non dico l'unica, di cui sono da tempo
persuaso:
la tecnologia oggi, nel lavoro come a scuola è in grado di liberarci dalle occupazioni più ripetitive
in modo
leggero, lasciando più spazio e tempo ai rapporti umani, al gioco e alla creatività. Non c'è
ragione per non
servirsene, se non che si teme stupidamente di venir sostituiti dalle macchine. Chi teme questo ha già
ammesso implicitamente di essere sostituibile, e ancor di più, che nel suo lavoro non c'è
spazio e tempo per l'umano. Rifletta infatti ognuno: se si liberassero davvero le ore scolastiche dei tempi
morti (la maggior parte), che si
farebbe poi con gli studenti dei tempi vivi liberati? Il ritorno della vita a scuola fa paura, fa ritornare a scorrere
il sangue nelle vene, la passione sui corpi. «Al di fuori di una scuola aperta dove ci sia e si cerchi
incessantemente la vita-dall'arte di amare alle matematiche speculative- c'è soltanto la noia e il peso
morto di un passato totalitario».
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