Rivista Anarchica Online
Chi vota e chi governa
di Carlo Oliva
Le riviste anarchiche, notoriamente, non si prendono la briga di pubblicare analisi
elettorali. I loro
collaboratori (per non dire dei loro, sempre suscettibili, lettori) sanno che la logica delle elezioni è, in
sé,
esclusiva: che permette di analizzare i risultati soltanto in base ai propri parametri interni e non annette alcuna
importanza ai dati che, in un modo o nell'altro, vi ci si sottraggono. Tanto è vero che le cifre che
potrebbero
interessare a quanti, perché anarchici o per altri motivi, non partecipano al voto, come quelle
dell'astensione o
dei voti «non espressi o non validi» (le schede bianche o nulle) non vengono, da tempo immemorabile,
nemmeno comunicate. E non sarebbero state comunicate nemmeno quest'anno, suppongo, se la parte
soccombente nel recente turno
regionale e amministrativo di aprile/maggio non avesse avuto interesse a sostenere che la propria (relativa)
sconfitta dipendeva soprattutto dal numero, eccezionalmente alto, di schede nulle, avanzando l'ipotesi che
quelle nullità rispecchiassero altrettanti «errori» dei cittadini elettori. E visto che quel dato, reso
noto, per una volta, con encomiabile prontezza, risulta ammontare (al primo turno)
a 3.213.289 voti, pari al 9,7% degli elettori, forse varrebbe la pena anche per noi di interrogarsi un momento
sul suo valore e significato. L'ipotesi che un italiano su dieci si sia sbagliato a votare, per un motivo o per
l'altro, sembra veramente un po' troppo sbrigativa.
Curiose scoperte Perché è vero che
questa volta il voto, tecnicamente, era irto di tranelli. E' vero che i cervelloni preposti hanno
chiamato i cittadini a esprimersi con due diversi sistemi maggioritari, uno dei quali prevedeva il voto disgiunto
e la preferenza di lista e l'altro no, e per di più in molte regioni hanno fatto una straordinaria confusione
con
l'impostazione grafica delle schede, facendo comparire quattro colonne su quella che, stando alle informazioni
diffuse, doveva esibirne due. E' vero che ci hanno invitato a eleggere direttamente un presidente della
provincia che praticamente nessuno
sapeva chi fosse e a cosa servisse e un presidente della regione che, stando alla costituzione vigente, non
poteva essere eletto direttamente dai cittadini, ma solo in seconda istanza dai consigli. E' vero che tutta
l'informazione elettorale è stata resa particolarmente difficile dalle assurdità del decreto legge
sulla «parità»
delle condizioni. Ma insomma, non so quanto tutto questo autorizzi a considerare un decimo dei nostri
compatrioti una banda
di perfetti deficienti, incapaci di mettere una croce sulla scheda senza incappare in sbagli ed errori da
arteriosclerosi. Berlusconi e soci hanno sostenuto che tutti quei supposti errori (nonché tutte le astensioni,
che
al secondo turno, hanno superato il 40% ) rappresentavano consensi sottratti alle loro liste, e se evidentemente
costoro avevano i loro buoni motivi per considerare mezzo scemi quanti avevano deciso di votare per loro,
è
anche vero che i sinceri democratici non possono accettare a cuor leggero una simile clamorosa
sottovalutazione del popolo sovrano. E poi, riflettendo un po' sui dati, si fanno delle curiose scoperte. Per
esempio, che allo scorso turno regionale,
quello del '90, quando la tecnica del voto era facilissima e ben sperimentata, le bianche e le nulle erano state
ben 2.439.835 (7,1 %); che alle ultime politiche (marzo 1994) ammontavano addirittura a 3.000.818 alla
Camera maggioritario (7,2%), a 2.832.926 (6,8%) alla Camera proporzionale e al 7,8% al Senato
(stranamente, per la camera alta non è stata resa nota la cifra assoluta), il che significa che l'incremento
oggi
non supera il due per cento, che non è poco, ma neanche quella cosa straordinaria che hanno detto tutti.
E poi,
nel '90 e nel '94 la metà abbondante di questi voti «non validi» era composta da schede bianche e
quest'anno,
anche se nei dati diffusi nessuno si è preso la briga di scorporarle dalle nulle, sembra proprio che le
bianche
fossero un milione e mezzo abbondanti: un tipo di voto che solo con molta buona volontà si può
considerare
espresso (o non espresso) per sbaglio.
Ipnosi televisiva e par condicio Se si aggiunge che
c'è una differenza ben precisa tra il voto non espresso al proporzionale e il voto non espresso
al maggioritario (si tratta, per la precisione, di ben 3.723.896 di schede, tutti voti di cittadini che, evidentemente,
se la sono sentita di votare per una coalizione o un presidente, ma non di scegliere un singolo partito, tanto
è vero
che tutti i partiti, compresi quelli che sono cresciuti in percentuale, hanno perso alcune centinaia di migliaia di
voti, come è successo al PDS, che è riuscito a incrementare la sua forza relativa del 3% perdendo
500.000 voti
abbondanti in cifra assoluta) è difficile sfuggire all'impressione che buona parte di quel 9,7% di supposti
deficienti, e non solo il 4,5% circa che si è preso il disturbo di andare alle urne per deporvi una scheda
bianca,
non si sia sbagliato per niente. Di errori ce ne saranno anche stati, per carità, e presumibilmente saranno
stati
ripartiti con equità tra le varie liste e coalizioni concorrenti, come vogliono le leggi della statistica e dei
grandi
numeri, ma non si capisce perché si debba negare a priori l'ipotesi che esistano uno o due milioni di
connazionali
che hanno serenamente concluso che di esprimere un voto proprio non ne avevano voglia. Anche tra quelli che
non sono andati a votare per nulla (non sono riuscito a ritrovare il dato preciso, ma devono superare il 20% al
primo turno, e non parliamo del secondo) sarà lecito supporre che non tutti fossero fisicamente impediti
o
impegnati in gite fuori porta o vacanze ai Caraibi. Magari qualcuno avrà deciso di non voler scegliere tra
chi
aveva cercato di sottoporlo a ipnosi televisiva e chi gli aveva imposto la par condicio, tra una destra le cui liste
si presentavano piene di riciclati e una sinistra che esibiva soltanto un ricco assortimento di rospi da baciare.
E forse ci si potrebbe persino azzardare a mettere in collegamento l'aumento del voto non valido con
l'avvenuto passaggio a tutti i livelli al sistema elettorale maggioritario. Sistema adottato, almeno a livello
locale, in una variante per cui l'elezione più o meno diretta del capo
dell'esecutivo determina automaticamente la maggioranza dell'assemblea legislativa corrispondente e toglie
alla minoranza qualsiasi potere di controllo.
Paradosso storico Non è un problema esclusivamente tecnico. Oggi,
la logica della rappresentanza, che è stata per almeno due
secoli la logica stessa della democrazia (anche i sistemi uninominali, ovviamente, rispondevano a una
funzione eminentemente rappresentativa, perché davano voce a quelle comunità territoriali in cui,
in fase
preindustriale, i cittadini erano soprattutto organizzati) interessa sempre meno: cede sempre più il passo
alla
cosiddetta logica della governabilità, alla ricerca di un esecutivo stabile e capace di adempire con meno
intoppi e meno fastidi possibili al suo mandato. Il che, in parole povere, significa governi più forti, anche
se
meno rappresentativi: forse proprio perché meno rappresentativi. Per una specie di paradosso storico,
proprio oggi, quando è così di moda definirsi «liberali» (lo fanno tutti, da
«Forza Italia» al PDS) è andato definitivamente in crisi uno dei punti forza della dottrina liberale del
governo:
la dialettica tra esecutivo e legislativo. Non siamo più chiamati ad eleggere dei rappresentanti in cui
riconoscerci e a cui poter eventualmente chiedere di render conto di quanto hanno fatto, ma siamo, come dire,
invitati a investire qualcuno della funzione di governarci, anche se magari quel qualcuno non ci piace per
niente, anche se, come succede spesso, grazie all'ingegnoso sistema del ballottaggio, si tratta di un evidente
imbecille il cui unico merito è quello di non essere quell'altro imbecille, ancora più imbecille di
lui, che gli si
contrappone. Forse tutto questo è inevitabile. Ma almeno si potrebbe evitare di far finta di stupirsi
se il numero degli
elettori disposti a stare al gioco diminuisce ogni volta di più.
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