Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 25 nr. 217
aprile 1995


Rivista Anarchica Online

A nous la libertè
diario a cura di Felice Accame

I vasi comunicanti della storia

Curiosamente - per la caratteristica più consona al titolo -, Strane storie, di Sandro Baldoni, è un film costruito all'insegna della doppia circolarità. La prima è quella, tipica di certi film a episodi del passato, della struttura narrativa: un padre, fra il riottoso e la voglia d'èpater les bourgeois, passa il tempo in treno raccontando storie alla figlia. Storie di una società ridotta agli estremi: ad un tale, pagatore moroso, l'azienda municipale toglie l'aria; a due famiglie dirimpettaie, per sanare le disparità di classe di cui si sentono portatrici sane, non rimane che la guerra (non metaforica, bensì la guerra fatta di mitra, bazooka e carri armati). I protagonisti chiamati in causa sono gli stessi viaggiatori che vengono a condividere lo scompartimento, cui, il narratore, attribuisce caratteri e comportamenti nei frutti della propria fantasia. L'ultima storia - e qui sta la prima circolarità - è quella in cui si trovano coinvolti tutti quanti nel medesimo treno. Si finisce, in una stazioncina abbandonata, fra le sterpaglie e fra i vagoni della strage dell'ltalicus - lì da anni, in attesa che anche a questa «strana storia» venga assegnato un finale adeguato.
Allo spettatore che abbia scelto il film in ragione del suo manifesto pubblicitario, quest'ultima sequenza è nota. Con la differenza che, nel manifesto, nello squarcio più profondo originato dalla bomba assassina, ci si è infilato, perpendicolarmente, un grosso
cetaceo. Come fosse caduto dal cielo. Immagine che, nel film, non c'è. È il caso di un paradosso, dunque, che, coerente alla logica con cui si sviluppa il film, prosegue oltre il film stesso. Alimenta il film e, dal film, viene alimentato. Ed ecco la seconda circolarità, che porta direttamente ad una riflessione sul rapporto fra testo e paratesto. Il film è il testo, mentre, come dice Genette, tutto ciò che ne costituisce la sua confezione - nel senso più ampio possibile - è il paratesto.
Lo studioso francese fa il caso dei romanzi: c'è sì il romanzo, ma c'è anche una copertina, una forma di oggetto, le notizie sull'autore, magari un commento critico, un prezzo, le pubblicità sui giornali ... ovvero c'è anche un paratesto. E non è mica detto che, nella nostra scelta di consumatori, a guidarci sia solo e soltanto il testo. Anzi ...
Il cinema ben conosce l'arte sopraffina del paratesto. Le stesse notizie «scandalistiche» sulla vita privata degli attori, spesso, sono da considerarsi un abile paratesto di qualche autore che ci rimarrà ignoto. Il mercato delle foto di scena, poi, e i manifesti giocano un ruolo decisivo: offrono allo spettatore una vicenda supercondensata in un'immagine o nel sovrapporsi di qualche brandello di scena, garantiscono un'emozione e promettono la soddisfazione di un bisogno già creato ad arte altrove e con altri mezzi - di solito, cioè, altamente socializzato.
Tuttavia, nella gran maggior parte dei casi, proprio a causa della funzione che svolge, il paratesto non contraddice mai il testo. Cosa che, invece, non esita a fare Strane storie, riuscendo nell'intento di suscitare un'inquietudine in più, magari una riflessioncella ulteriore sul breve viaggio che, a volte, si può compiere nel passare dalla consolante fantasia alla cruda realtà. Due vasi comunicanti, come, per l'appunto, un testo e il suo paratesto.

P.S.: Strane storie è un'opera prima. Non è gran cosa, ma segnala buona disponibilità narrativa, scrupolo e attenzione.
Nella gestione dei momenti interazionali sul treno, tuttavia, Baldoni fa, a mio avviso, una scelta strana. Avete presente lo scompartimento di un treno? Qui ci sono sei posti e due, quelli presso il finestrino, sono già occupati.. Domanda: se entra un viaggiatore, dove si siede? Secondo la mia esperienza di studioso delle micro-relazioni sociali, si siede in uno dei due posti vicini al corridoio; secondo Baldoni si siede in mezzo, cioè accanto ad uno dei due viaggiatori già seduti. E così il contrasto di opinioni, fra me e Baldoni, proseguirebbe fino alla quarta passeggera che, guarda caso, sceglie anche lei il posto di centro. Non solo il posto di centro significa un gomito appoggiato in meno e le gambe accavallate in un verso solo, ma un contatto che, nei giochi dell'ipocrisia sociale, è usualmente evitato. Immaginatevi al cinema: se c'è la fila vuota e il nuovo venuto - a parità di situazioni nella fila davanti - si viene a sedere proprio accanto a voi, che cosa siete indotti a pensare?