Rivista Anarchica Online
Quale opposizione
di Antonio Cardella
Per quanto avvezzi alle maleodoranti correnti che spirano di norma dalle stanze
del potere, queste che
provengono dagli appartamenti berlusconiani mi sembrano abbiano, in fatto di lezzo, pochi precedenti nell'intera
storia dell'Italia moderna. Tal ché, più che di politica, sarebbe il caso di parlare d'igiene e di
decenza. Al di là della battuta, però, il problema di un così verticale collasso del
contesto politico e del prevalere di un
barbarico concetto della gestione del potere, sicché chi il potere detiene, ritiene di essere al di sopra di
ogni
norma, è un problema che va valutato con molta ponderazione, anche da noi anarchici, perché
investe non solo
la sfera politica, ma l'intera struttura sociale della società e, quindi, anche gli ambiti del nostro operare.
Già l'inglorioso disfacimento del sistema sovietico, con l'emergere di realtà assai
sconvolgenti, come l'assoluto
vuoto emerso alle spalle dell'apparentemente monolitico apparato dei Soviet, con il conseguente esplodere di
forze centrifughe, di etnie tra di loro in feroce conflittualità e, nelle aree metropolitane della Russia
europea,
di strutture economiche e sociali in rapida liquefazione, aveva creato come contraccolpo in tutti i presidi
occidentali di frontiera la necessità di individuare le ragioni di una diversa presenza, in un contesto che
non
reclamava più - e di colpo - il ruolo di sentinella dei sacri valori della civiltà occidentale, ruolo
che aveva finito
per prevalere su ogni altro problema interno dei singoli paesi.
Moderata eleganza Così, anche in Italia, il nuovo clima instauratosi
dopo il crollo del muro di Berlino, determinò il collasso del
sistema di potere gestito, in un certo senso, dal binomio DC-PCI, con il declino non sappiamo quanto definitivo,
dell'istituzione partito e l'emergere di aggregazioni diverse, assai eterogenee, qualche volta addirittura prive di
connotazioni politicamente decifrabili. La travolgente vittoria del così detto «polo della
libertà», se ha portato
sul proscenio del potere il MSI e AN, chiaramente ispirati a ideologie di destra, ha premiato anche
raggruppamenti, come Lega e Forza Italia, che sono il portato - ciascuno a modo suo - di un diverso approccio
politico al governo della cosa pubblica: la Lega, altalenando costantemente tra un'istanza di intransigente
separatismo del Nord - ritenuto produttivo ed efficiente - dal resto della Penisola - ritenuto parassita e traffichino
- e i richiami ad un federalismo privo di contorni netti e, soprattutto, di retroterra culturali riconoscibili,
è indotta
a comportamenti schizofrenici per salvaguardare in qualche modo la sua specificità rispetto ai compagni
di
diligenza; Forza Italia è certamente il fatto nuovo e anomalo della vita politica italiana. Nasce
dall'inedito
progetto di trasferire nel governo della cosa pubblica principi e comportamenti di un'autocrazia aziendale
ampiamente sperimentata - e con successo - nella sfera dell'affarismo privato... La faccia tipica del nuovo
governante è infatti accuratamente rasata, ma profondamente segnata dall'asprezza della lotta quotidiana
sostenuta per mantenere ed accrescere il successo, per non perdere terreno rispetto a chi è di un gradino
più in
alto nella scala che porta ai vertici degli organigrammi. Li vediamo ogni sera dagli schermi televisivi questi
uomini, vestiti con moderata eleganza, il sorriso stirato sul viso, che ci rassicurano sulle loro buone intenzioni:
niente stangate, niente attentati alla costituzione, niente stravolgimenti dello stato sociale; solo comportamenti
da buon padre sollecito del benessere della famiglia. E mentre così parlano, nelle sedi opportune, pur
tra le
ormai consuete bagarre, mettono a punto le piccole e grandi stangate, sempre a carico di chi lavora; tentano di
trasferire all'esecutivo il massimo dei poteri, anche di quelli sempre ritenuti incompatibili; smantellano lo stato
sociale, rendendo precari il lavoro e i diritti acquisiti dei lavoratori. Ma io ritengo che il peggiore dei mali
di questo pittoresco governo, sia quello di avere trasmesso ai cittadini,
almeno in quelli poco o niente politicizzati - che sono la stragrande maggioranza - l'ottimismo becero e fasullo
degli spot televisivi, sottostante ad una filosofia della vita incentrata sull'esaltazione della competizione e del
successo, tentando, altresì, di recuperare lo scenario veterocapitalistico di un contesto che, proprio in
virtù della
competizione, oltre che del processo tecnologico, vede stimolata la produzione, moltiplicati i redditi e
incentivati i consumi. Evidentemente questo staff di bellimbusti finge di dimenticare che vi è un limite
a questa
ottimistica visione delle cose dell'economia ed è il limite oltre al quale l'automazione espelle dai luoghi
della
produzione manodopera che non può essere impiegata altrove, con la conseguente rarefazione dei
redditi e la
contrazione dei consumi. Se a ciò si aggiunge il peso della recessione internazionale, che è
fenomeno ciclico
dell'economia di mercato, si ottiene il quadro esplosivo della disoccupazione di massa e della desertificazione
di vaste piaghe meno attrezzate a resistere. Che è poi il quadro attuale, non solo italiano, che preoccupa
i santoni
dell'economia capitalistica. Quindi, un panorama politico, quello italiano, dominato da nuovi protagonisti
privi assolutamente di esperienza
politica, di immaginazione e già incalzati dai residui del vecchio regime, che trovano nelle abissali
lacune degli
emergenti, spazi sempre più vasti per ritessere le tele di sempre. Un panorama caratterizzato da larghi
strati di
opinione pubblica sempre più inclini al disimpegno, che partecipa alle competizioni elettorali come ad
un
giuoco, senza riconoscibili motivazioni politiche o istanze morali dichiarate. Sicché, tutti sul carro del
vincitore
per vedere dove porta e, soprattutto, sperando di guadagnare posizioni meno precarie.
Le due borghesie È evidente che, in siffatte condizioni, sperare in
un recupero, in tempi brevi, di una coscienza nazionale che
riacquisti il senso della realtà e, soprattutto, sia in grado di decidere motivatamente la direzione verso
la quale
intende marciare, in uno scenario che richiede scelte sempre più radicali e che sopporterà
sempre meno il
parassitismo intellettuale, è puramente velleitario. In aggiunta, i dati da valutare per compiere scelte
razionali,
sono sempre più complessi e richiedono grandi capacità di analisi. E la borghesia italiana non
ha certamente
gli strumenti per compiere queste analisi, abituata, come è stata per decenni, a vivere alla giornata, a
perseguire
soltanto il proprio tornaconto quasi sempre meschino, non importa se ottenuto a discapito del bene comune.
Adesso, orfana delle strutture che le consentivano di condurre il suo giuoco - in primo luogo i partiti di
ispirazione cattolica-liberali, ridotti a coltivare il clientelismo e il malaffare, collusi con la delinquenza
più o
meno organizzata - adesso, trovandosi spiazzata e senza i consueti punti di riferimento, non trova di meglio che
scimmiottare Berlusconi e le sue (poche) idee di imprenditore da operetta. L'altra borghesia, quella che ha
anch'essa per decenni guardato ai partiti della sinistra storica, sembra annichilita
dal peso di un peccato originale di cui non sa come liberarsi. Per costoro, il comunismo, professato magari senza
orgoglio, sino all'era berlingueriana, è un segno indelebile che bisogna nascondere ed esorcizzare con
la pratica
del pentitismo e del cambiar platealmente pelle, come ha esemplarmente dimostrato il migliore di loro,
l'Occhetto nazionale, che ha fatto il viaggio verso la City per rassicurare il gotha capitalistico che lui e i suoi
sono per il libero mercato e la libera impresa; che mai e poi mai avrebbero consolidato il debito di stato e che,
nero su bianco, nel loro partito mai avrebbero trovato asilo i rossi di capelli... Immagino che gli uomini
più
cinici della terra, quelli che tirano le fila degli affari più spregiudicati in ogni angolo della terra, abbiano
riso
per settimane al pensiero di quell'omuncolo che goffamente era andato da loro a mostrare i segni della propria
conversione, chiedendo in cambio un buon viatico per la sua candidatura al governo del Bel Paese.
Purtroppo, la sua defenestrazione dal partito non appare motivata dalle molte fallimentari «trovate» come
quella
appena ricordata, anzi sembra che lo si accusi di non essere stato abbastanza esplicito nel mostrare i segni
raccolti sulla via di Damasco. Per costoro, tutti costoro, non c'è avvenire. Cosa intendono fare
è un mistero. Se qualcuno glielo chiede
rispondono allo stesso modo dei pp: faranno opposizione sì ma non pregiudiziale, e costruttiva,
lasciando così
intendere che, nel disegno complessivo perseguito dal governo, di realizzare una società spregiudicata
e priva
assolutamente del senso della solidarietà e della giustizia sociale, quelli epigoni del comunismo reale
si
riservano nientemeno di votare in Parlamento senza pregiudizi, una leggina si ed una no. E quasi non
bastassero i disastri provocati da questi morti ostinatamente decisi a fingersi vivi, i disastri di un
sindacato in pieno riflusso, impegnato a difendere l'esistente, quanto dire tentare di arginare un fiume in piena
con un leggiadro cestino di vimini adorno di roselline di stoffa. Ci sono - è vero - alcuni spiriti
inquieti che conservano coscienza critica e che tentano di mettere in piedi, di
inventare strutture alternative che consentano l'aggregazione delle forze disperse, prima, e una opposizione
credibile, poi. Ma anche se il tentativo riuscisse, saremmo sempre ai tempi lunghi, anzi, lunghissimi. Cosa
c'è da fare, allora?
Ritornare nei quartieri Non ho alcuna ricetta da proporvi. Anch'io mi giro
e rigiro nel letto senza che mi venga alcuna idea capace di
coniugare il senso di pena profonda, di impotenza, con i contorni di un progetto sia pure minimo. Alcune
cose, però, credo di averle maturate. Non sono granché, ma ve le voglio comunicare lo stesso.
In primo luogo - secondo me - bisogna togliersi definitivamente dalla testa che vi sia, occulto o manifesto,
un
protagonista bell'e pronto, proletario o aristocratico, che possa raccogliere improbabili eredità di natura
storica
e costituire veicoli di trasformazione reale della società. Questa considerazione, che può anche
apparire ovvia,
porta come diretta conseguenza la necessità di rinunciare a rincorrere categorie vetero-storiche, che pure
hanno
giuocato ruoli importanti nell'elaborazione politica di molti decenni. Finalmente l'assunto anarchico che ai valori
della società libertaria si cresce individualmente o non si cresce, ha un riscontro obiettivo. La seconda
considerazione è che vi sono più luoghi deputati all'esercizio della politica. Ciò porta
come conseguenza, che,
per la prima volta in assoluto, la sfera del quotidiano «rischia» di divenire il luogo di progettazione e di
esercizio
della politica. Se queste mie considerazioni sono vere, allora è facile definire il senso che
dovrà avere il nostro operare. Dobbiamo ritornare nei quartieri delle nostre città per
ritrovare i segni del bisogno di nuovi presenti nella
società. Del nuovo autentico, ispirato da una visione della convivenza compatibile con i valori della
libertà e
del rispetto nei riguardi del proprio simile. Dobbiamo, sempre secondo me - recuperare spazi nelle scuole:
se qualcosa si potrà ricostruire in fretta, se si
potranno ristabilire le condizioni perché il fare politico coincida con il quotidiano perseguire una
società più
giusta, tutto ciò è affidato ai giovani. Dobbiamo, infine, prevedere, a breve scadenza, la
creazione di scuole nostre: ci sono tra noi molti e ottimi
insegnanti che sarebbero in grado di condurle egregiamente. Ma tutto ciò non può essere frutto
di iniziative
personali. Deve esserci, ed avvertirsi, la presenza di un Movimento capace di coordinare e costituire l'anima
di queste iniziative.
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