Rivista Anarchica Online
Libertario Winstanley? Ma se ha detto che...
di Pietro Adamo
Durante la Rivoluzione Inglese (1640-1660) i radicali, i mistici, gli entusiasti,
i millenaristi - insomma, i
componenti di quella che gli storici definiscono lunatic fringe - diedero libero spazio
all'immaginazione,
presentando idee innovative e progetti alternativi in tutte le sfere dell'agire umano. Tra questi eccentrici
Gerrard Winstanley merita un'attenzione particolare, sia per le peculiarità delle sue proposte pratiche,
sia
per la sua successiva (e ambigua) fortuna presso gli studiosi. Winstanley, di professione mercante, si
stabilì a Londra negli anni Trenta; la Guerra Civile danneggiò la sua
impresa, costringendolo nel 1643 a trasferirsi in Surrey. Nella seconda metà degli anni Quaranta -
possiamo
supporre tra la fine del 1647 e gli inizi del 1648 - piombò in una trance illuminante: "il
mio cuore si riempì
di dolci pensieri e mi furono rivelate molte cose che mai lessi nei libri o udii da qualsiasi bocca terrena [...] e
io avevo una voce dentro di me che mi ordinava di dichiararle a tutti" (dall'abbozzo di autobiografia che
compare nella prefazione di A Watch-World to the City of London, 1649). Nel corso del 1648
Winstanley
pubblicò così quattro pamphlets che rientravano pienamente nel genere
"mistico-profetico". La sua
originalità stava soprattutto nell'abile combinazione tra la prospettiva millenarista e "illuminata" tipica
dei
radicali, i temi libertari associati all'antinomianesimo più spiritualista e una interpretazione degli usuali
argomenti storico-politici in chiave di rivoluzione sociale, il tutto articolato in un suggestivo linguaggio
dalle risonanze bibliche, dove si incrociavano tradizioni ermetiche e rivendicazioni "popolari". Nell'anno
successivo - mentre nei suoi libelli l'ipotesi millenarista acquistava dimensioni più determinate,
configurandosi come una grande rivoluzione etica e sociale dove l'abbattimento della proprietà privata
avrebbe prodotto un "uomo nuovo", finalmente liberato dalla "potenza delle tenebre", ovvero dalle
qualità
legate alla società di mercato (egoismo, avidità, desiderio di possesso, ecc.) - Winstanley,
insieme a William
Everard, fondò la colonia digger di St. George's Hill. Nel 1651 indirizzò a
Cromwell la sua opera maggiore,
The law of freedom (pubblicata l'anno successivo), descrizione di una società perfetta,
rigidamente
strutturata, fondata sul principio dell'"amore fraterno" (contrapposto a quello della compravendita) e sulla
supremazia del modello familiare, ma anche, per quel che riguardava l'organizzazione politica del sistema,
sulla rappresentanza e l'elettività delle cariche pubbliche (da notare: secondo l'autore, la cosiddetta
"legge
della libertà" avrebbe dovuto essere imposta con i fucili dell'esercito). In seguito, Winstanley riprese
la sua
attività di mercante; non è escluso che, sul finire del decennio, sia diventato un esattore della
più odiosa
tassa del periodo, la decima. Gli esperimenti intellettuali e pratici del leader degli Zappatori presentano
però non poche ambiguità: a me
pare francamente discutibile il suo inserimento nelle genealogie dell'anarchismo e del libertarismo
(operazione compiuta da studiosi del calibro di Max Nettlau, Maria Luisa Berneri, George Woodcock, Peter
Marshall, ecc.). Si tratta, innanzitutto, di un mito storiografico, prodotto dalla cultura inglese nei
"progressivi" anni Trenta. Winstanley fu riscoperto nel 1895 da Eduard Bernstein (il cui libro fu tradotto in
Inghilterra nel 1930), divenne oggetto di una prima monografia in terra inglese già nel 1906, ma fu
elevato
al rango di personaggio chiave della Rivoluzione nei tardi anni Trenta e nei primi anni Quaranta, quando
G.H. Sabine e G. Hamilton antologizzarono i suoi scritti per le generazioni future, D.W. Petegorskij gli
dedicò una monografia (pubblicata dal Left Book Club, praticamente affiliato al partito comunista) e
infine
Christopher Hill concesse al suo "ideale comunista" un'"eco contemporanea" e la capacità di inquadrare
significative "visioni del futuro": in altre parole, il merito principale di Winstanley era quello di anticipare
Marx. A partire dalla fine degli anni Sessanta, l'enfasi dei marxisti è gradualmente slittata verso gli
aspetti
più libertari della sua opera, percorso che si rintraccia anche negli studiosi anarchici (in origine
affascinati
soprattutto dalla concezione comunitaria ed egualitaria del capo degli Zappatori). Il nucleo del "problema
Winstanley" sta proprio nell'interpretazione del suo libertarismo. Tutti i suoi libelli
sono attraversati da un lessico della liberazione individuale basato su un'originale lettura delle tematiche
antinomiane: secondo Winstanley l'abolizione della proprietà privata avrebbe sciolto i singoli da ogni
obbedienza alle autorità tradizionali e alle norme gerarchiche, concedendogli nuova autonomia e nuova
indipendenza. Ma questo era vero solo nell'ambito sociale (con l'abbattimento della struttura economica
vigente) e in quello etico più generale (con la sconfitta dei valori associati alla sopracitata "potenza delle
tenebre"): il capo degli Zappatori nulla ci dice sulla morale tradizionale insegnata dai comandamenti
cristiani, sulle regole sessuali, sull'organizzazione della famiglia, sui diritti delle donne. E, di fatto, il tanto
celebrato comunitarismo digger si fondava su valori che da molti punti di vista sono tutt'altro che
libertari:
autoritarismo patriarcale, disciplinarismo sociale e familiare, rigida etica del lavoro e moralismo ascetico. In
altre parole, le comunità degli Zappatori dovevano assomigliare almeno un po' a uno stato di
polizia
premoderno (se si era tanto sfortunati da non essere un capofamiglia maschio). Un episodio particolare mi
pare chiarisca ulteriormente la natura dell'esperimento di Winstanley: il suo scontro con i ranters,
i
rappresentanti più radicali dell'individualismo libertino e libertario dell'epoca, loro sì reali
anticipatori
dell'ethos anarchico. Molto probabilmente i ranters fecero la loro comparsa a St.
George's Hill
propagandando i principi della parità sessuale, contestando l'autorità dei capofamiglia e
facendosi campioni
di un dionisiaco "principio del piacere". Le repliche di Winstanley (per l'intera polemica e per la traduzione
in italiano di una di queste repliche, concedetemi di rimandare al mio Il Dio dei blasfemi. Anarchici e
libertini nella Rivoluzione inglese, Unicopli 1993, pp. 289-295) sono significative: oltre ad invitare
ripetutamente le donne (evidentemente il bersaglio principale della "bestia" ranter) a non lasciarsi fuorviare
da questi seduttori, contrappose agli eccessi "carnali" la disciplina del lavoro, al libertinismo sessuale
l'ordine gerarchico della famiglia, all'idea del godimento materiale delle cose un'ascetica politica di
frugalità e all'apparente egocentrismo ranter il richiamo a uno spirito comunitario e
anti-individualista.
Probabilmente si trattava di una scelta obbligata: il già precario equilibrio economico dei villaggi
digger
non permetteva certamente un confronto con una proposta tanto distruttiva. E tuttavia, non si può non
prendere atto della tendenza generale delle opzioni presentate da Winstanley, fondate su una concezione
autoritaria e "verticistica" sia della vita sociale sia della liberazione individuale.
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