Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 24 nr. 206
febbraio 1994


Rivista Anarchica Online

L'odio antico
di Pietro Adamo

Appena uscito, ha suscitato un acceso dibattito. E non poteva che essere così, dato il tema incandescente affrontato (l'antisemitismo di matrice cristiana) e le tesi sostenute (in sintesi la centralità di quello cristiano rispetto agli altri antisemitismi). Su questi temi Pietro Adamo intervista Cesare Mannucci, autore de «L'odio antico».

Cesare Mannucci è nato a Milano nel 1926. Nel dopoguerra, dopo aver portato a termine studi di giurisprudenza, entra nel movimento di Comunità, divenendo responsabile del Centro di Vercelli. A metà degli anni Cinquanta partecipa all'inchiesta sulla miseria, in qualità di segretario della commissione di «esperti» convocata dal governo. Legato agli ambienti della cultura laica radicaldemocratica, collabora al «Mondo» e a «Nord e Sud». I suoi interventi più incisivi sono tuttavia pubblicati in «Comunità», rivista di cui è prima redattore, e poi vicedirettore. La sua rubrica «Aria dell'epoca» affronta i temi e i problemi più disparati, approfondendone soprattutto le implicazioni sociologiche e politiche. Nel 1962 pubblica, presso Laterza, Lo spettatore senza libertà. Radiotelevisione e comunicazione di massa; nel 1966, presso Comunità, La società di massa. Analisi di moderne teorie sociopolitiche.
Alla fine degli anni Sessanta Mannucci comincia a occuparsi dei risvolti culturali e politici dell'antisemitismo. Inizialmente pubblica una serie di saggi su «Comunità» (n° 166, aprile 1972, n° 171, gennaio 1974, n° 175, dicembre 1975). Nel 1982 appare presso Unicopli Antisemitismo e ideologia cristiana sugli ebrei, una sintesi dei lavori precedenti; la terza sezione del libro riguarda però l'«Ideologia cristiana sugli ebrei: i nostri tempi», che si presenta come un violento atto d'accusa nei confronti delle gerarchie istituzionalizzate della cristianità (argomento ancora approfondito in un saggio apparso di recente in «Comunità», n° 193-194, marzo 1992). Le indagini di Mannucci si concludono (per ora) con L'odio antico. L'antisemitismo cristiano e le sue radici (Mondadori 1993), recensito in «A», n° 204, novembre 1993.
Quest'ultimo testo viene accolto da una serie di polemiche e commenti poco favorevoli, soprattutto in ambienti cattolici (ma non solo). La tesi del libro - il cristianesimo come principale vettore delle ideologie antisemite - dà evidentemente fastidio a molti, soprattutto perché Mannucci insiste sulla contestualizzazione dei rapporti tra giudaismo e cristianesimo; lo sviluppo dell'ideologia antiebraica si rivela funzionale alle esigenze politiche dei primi cristiani, configurandosi quindi non come un'aberrazione casuale prodotta dalle contingenze, ma come uno degli elementi fondanti dello stesso cristianesimo. E non di rado tra le pagine dell'Odio antico fa capolino una valutazione culturale più generale, che contrappone l'attivismo etico-politico giudaico, fondato sui principi della Torah, i quali danno «alle lotte, alle aspirazioni e alle speranze degli oppressi una forza morale eccezionale», alla «concezione profondamente immobilistica» del cristianesimo paolino, «che equivale a un invito alla rassegnazione sociale, economica e politica, a una rinuncia definitiva alla speranza nell'avvento di una realtà concreta diversa» (L'odio antico, pp. 109, 113). Le simpatie di Mannucci per gli aspetti più radicalmente «attivistici» della cultura ebraica sono evidenti anche nelle pagine che seguono.
La misura dell'impatto dell'Odio antico è data anche da un episodio recente, la presentazione del libro presso la libreria Claudiana di Milano il 14 ottobre 1993 (la libreria è organo delle chiese valdesi). Qui - o meglio, nel tempio valdese attiguo - il pastore incaricato di discutere le tesi del libro esordisce definendole «un paradosso» e prosegue ignorandole completamente; di fronte alle proteste (anche virulente) del pubblico, termina la sua disquisizione invitando i «laici» ad astenersi dalla discussione degli argomenti «sacri», evidentemente riservati solo a coloro che vantano una qualche decisiva illuminazione «divina».

P. A.

Mannucci - L'Odio antico non era ancora nelle librerie che sull'«Avvenire», nella rubrica Polemiche, gli hanno dedicato quasi un'intera pagina, sulla base, suppongo, del solo titolo. L'intestazione dell'articolo era «L'antisemitismo? I cristiani non c'entrano». L'autrice del pezzo ha posto la questione a quattro persone, tutti cattolici, nessun protestante o gente di altra confessione non cristiana. Due sono totalmente ostili e sprezzanti, due mi danno almeno parzialmente ragione, ma con distinguo piuttosto gravi. In particolare Quinzio, che tira fuori la pretesa tendenza nel cattolicesimo italiano di oggi - uso le sue parole - a «mettere la sinagoga sull'altare». Immagine comica. E poi Agnoletto, che - ho saputo dopo - aveva detto cose un po' diverse, ma come sempre, è stato manipolato. Debbono essersi accorti che era controproducente. La cosa ha provocato molti interventi di persone che normalmente se ne sarebbero infischiate e che in questo caso sono stati messi sul chi vive.
Osservo che uno dei quattro interrogati è quel Cavalieri, che dirige, se non erro, «Studi cattolici», una rivista vicina all'Opus Dei. E' noto per aver attaccato Eco (sull'«Avvenire» e l'«Eco di Bergamo») a proposito della risposta di quest'ultimo alla domanda «cosa è intollerabile». Eco gli ha replicato sull'«Espresso» facendolo a pezzi, prendendolo in giro, dandogli del cretino e anche dell'eretico. Questo perché, avendo Eco difeso il corpo, la corporeità, i bisogni, rispetto a ciò che è intollerabile (torture, affamazione, ecc.), Cavalieri ha affermato che ha preso dagli gnostici, perché erano loro a sostenere la supremazia del corpo sullo spirito. Eco gli consiglia, prima di mettersi a scrivere di cose di cui non sa, di consultare almeno la Garzantina. È uno che si spaccia per colto; ha ricevuto questa lezione, ma non gli servirà, perché in questo i cattolici sono del tutto tetragoni.
Poi sono però diventati prudenti. Non mi pare che «Famiglia Cristiana» o il «Sabato» si siano occupati della cosa. Sulla «Stampa» è intervenuto piuttosto favorevolmente Enzo Bianchi, che, mi si dice, è vicino al cardinal Martini.

Adamo - Bianchi ha però scritto che si può accogliere tutto dell'Odio antico tranne le prime 97 pagine.

M. - Il che è assurdo. Non è questione di accogliere questa o quella tesi. Si può accettare di prenderne nota, di confrontarle con altre.

A. - A me pare che una conclusione di questo genere - non accetto le prime 97 pagine, ma accetto il resto - è logicamente incongruente, nell'ambito del libro. Rifiutarsi di fare i conti con Gesù significa svalutare la sostanza storica della tesi esposta nell'Odio antico. Se i Vangeli rispondono a particolari esigenze degli ebrei della diaspora, e tu dici di non accettare la parte del libro che espone la natura di queste esigenze ...

M. - Non si tratta poi di cose tanto strane. Parlando di Garzantine, in quella di Filosofia, sotto la voce cattolicesimo (redatta da Bendiscioli), si dice che il cristianesimo ha fuso alcuni elementi tratti dal giudaismo con altri tratti dalle religioni misteriche. E' una cosa che i cattolici non totalmente chiusi accettano.

A. - Il problema è ovviamente la figura storica di Gesù. Tu accetti sostanzialmente le tesi di Brandon.

M. - Avrai notato che gli avversari di Brandon lo attaccano dicendo che costruisce un quadro coerente, ma non ha prove. Lui risponde che questo non è un campo dove si possono fornire prove, ma solo ipotesi. Quindi la coerenza è importante. Se si vogliono adoperare quei documenti, bisogna ricavarne qualcosa che si può combinare in maniera convincente, come un puzzle. Per esempio, altri hanno sostenuto che Gesù fosse un fariseo, ma in questo modo è più difficile avere un quadro coerente. Invece nella tesi di Brandon i conti tornano con alcuni elementi fondamentali: l'incontro con Giovanni Battista (di cui Giuseppe Flavio parla), che si esprime come un apocalittico (così come farà poi Gesù), certe parti della predicazione nei Vangeli, le parti sociali, di ribellione e la stessa crocefissione romana. Che è senz'altro romana. La rivolta di Spartaco finisce con seimila croci lungo la via Appia. Una cosa più romana non si può immaginare.

A. - Non lo dici espressamente, ma l'esperienza di Gesù non può che nascere nell'ambiente dello zelotismo, in quel particolare contesto.

M. - A un certo punto ci sono indizi negativi, nel senso che secondo i Vangeli l'ultima volta di cui si parla di Gesù a partire dall'infanzia è a 12 anni, poco prima del Bar Mitzvah. Poi ricompare a 30. Non vi interessa cosa sia successo nel frattempo? E' fondamentale, chiunque direbbe che c'è un vuoto pauroso.

A. - Non ci sono dei vangeli apocrifi che coprono il periodo?

M. - E poi c'è anche Renan, per il quale Gesù era un esseno, che aveva vissuto anche lui nel deserto. Però resta soprattutto il vuoto, che ti crea dei problemi. Insomma un personaggio con un tal vuoto, come riusciamo... I suoi ultimi anni ci indicano un tipo di orientamento che lo colloca tra gli apocalittici e tra i ribelli, oltre che tra gli indipendentisti. Tutto ciò che non quadra con questo orientamento si può rifiutare. Tornando a Brandon, che era un ministro del culto: lui afferma che per molti credenti è doloroso leggere queste cose, ma, secondo lui, se Gesù fosse morto come martire d'Israele non diventerebbe per questo una lesser figure, una figura minore rispetto a un personaggio tutto immerso in questioni metafisiche (come quello creato da Paolo). Insomma, detto più schiettamente di quanto potesse Brandon, anche in questo modo è un personaggio positivo. Uno che si batte per delle cose che noi capiamo, per una società più giusta e via discorrendo.

A. - La reazione dei cattolici si può capire facilmente, di fronte a un Gesù privato degli agganci con la metafisica. Da questo punto di vista, per i cattolici Gesù diventa effettivamente una lesser figure.

M. - Ma questi hanno in mano i giornali, sono dappertutto, trovi la «Stampa» e il «Corriere della Sera» con i cattolici che recensiscono libri... in organi teoricamente laici...

A. - Si sa che in Italia i cattolici si lamentano perché non sono abbastanza tollerati.

M. - Figurarsi. La Rai l'hanno praticamente in mano solo loro. E soprattutto i giornali... Sergio Zavoli a dirigere il «Mattino», e via discorrendo. Pensa a quanti quotidiani gestiscono direttamente. Ma questi cattolici che hanno la possibilità di esprimersi e di cui possiamo conoscere le opinioni sono singolarmente retrivi. Altri hanno certamente idee molto più avanzate, ma difficilmente si fanno sentire. All'estero i cattolici - basterebbe pensare a un Hans Küng - sono molto più disponibili, non si scandalizzano di nulla, sono pronti a considerare tutto, a dare un giudizio critico. Nella postfazione ho citato il caso dei cosiddetti Seven against Christ. Il più noto, di cui non ricordo ora il nome, anche lui un ministro del culto, sta scrivendo un libro in cui dice che non è neppure necessario credere. Prima i sette hanno detto che il dio incarnato era un mito, ora lui e altri anglicani sono andati oltre: non è neanche necessario credere, la cosa importante è comportarsi in maniera morale. In effetti ci si può anche richiamare a Gesù, purché non sia un Gesù paolino o parapaolino. Il Gesù apocalittico è certamente per un comportamento che si può definire etico.

A. - Significherebbe togliere dal cristianesimo tutte le incrostazioni metafisiche e lasciarne intatto il nocciolo etico.

M. - Purtroppo ci troviamo di fronte a una cultura cattolica molto scadente. Ci saranno le eccezioni, ma non sono in vista, non ci imbattiamo in esse. Nel caso della Claudiana, uno si aspetterebbe dai valdesi chissà cosa. Il pastore è un ex cattolico, mi hanno detto, appena convertito, che ha cominciato dicendo di essere d'accordo con Quinzio, cioè con posizioni che sono in realtà di allineamento con Woytila, il Vaticano e le gerarchie.

A. - Il pastore valdese ha detto anche altro: secondo lui di questo tipo di cose si deve occupare soltanto chi ha la fede, perché quelli che ne sono privi non riescono a comprenderne la sostanza.

M. - Come ha appunto scritto Quinzio. Il ché è assurdo, perché con la fede fai la storia sacra, ma non puoi fare la storia, chiamiamola pure profana, ma comunque la storia. La storia sacra, di qualunque sacralità si parli, di qualunque divinità, parlerà di avvenimenti soprannaturali. Ma la storia come noi la intendiamo - e insomma, è anche molto tempo che viene intesa così - è una storia di esseri umani. Quindi l'idea che non puoi fare la storia delle origini cristiane se non credi in Dio e in Gesù è assurda. Questo sbarramento è insostenibile. Non è solo segno di integralismo, secondo me c'è proprio un grave errore intellettuale e culturale di base.

A. - Tra l'altro con una tesi di questo genere si potrebbe sostenere che anche altri periodi della storia, in cui le azioni degli uomini risultano basate almeno in parte sulla fede religiosa, sono precluse agli storici. Come! Vuoi scrivere della Riforma protestante, della Controriforma! Non hai la fede, non puoi capire questo tipo di cose.

M. - Anche qui mi rifaccio a questi anglicani. Ogni tanto se ne è parlato, anche su riviste e giornali italiani. Alcuni di loro dicono che a questo punto non conta più ciò in cui si crede, o in cui si crede di credere, ma come ci si comporta. La persona, credente o non credente che sia, si giudica dal comportamento.
E oggi, come possono ignorare che da parecchio tempo moltissimi cristiani affrontano i Vangeli, le lettere paoline, gli Atti, con metodo filologico, magari non spingendosi sino in fondo, però non rifiutandosi (di procedere) in partenza. E quindi come si fa? L'idea che Dio abbia ispirato gli evangelisti impedirebbe di farne un'analisi filologica... E poi...anche le virgole avrebbero la loro importanza. L'idea che di traduzione in traduzione questa ispirazione divina si manterrebbe... quindi anche negli errori, anche nei più grossolani... il cammello, e via discorrendo. E' una cosa che esige delle acrobazie. Non dico che la teologia non sia specializzata in acrobazie, lo è sempre stata, ma ormai abbiamo una cultura che almeno in parte dovrebbe essere accettata dai credenti che si dicono non ignoranti.

A. - Come sei arrivato ad occuparti di queste cose?

M. - Loro mi danno addosso come se fossi un agente del KGB che si è infiltrato abusivamente in un campo loro riservato! Come ci sono arrivato? Dopo il '44 - abitavo a Roma - cominciarono ad arrivare le prime notizie (sui campi di concentramento). Alla fine della guerra ho appreso queste cose inimmaginabili, al di là dell'immaginazione, e sono entrato, come tantissimi altri, nell'ottica per cui l'odio per gli ebrei era una faccenda di nazisti e fascisti. In realtà devo ammettere che non mi sono mai chiesto seriamente il perché. Ma perché tanto odio? Sì, ho sentito certe accuse, però non era cosa di cui si parlasse molto in Italia, né io avevo avuto notizie dirette da conoscenti...D'altra parte erano accuse di un certo tipo... come quella contenuta nei Protocolli dei Savi di Sion (gli ebrei o almeno una loro élite stanno approntando piani per dominare il mondo e distruggere il cristianesimo): un'affermazione che lascia indifferenti e che sembra talmente assurda da non valer la pena prenderla in considerazione.

A. - Però negli ultimi anni questa è un'idea che in certi ambienti viene accettata ... per esempio, la prima guerra mondiale preparata dagli ebrei ...

M. - Ma questo può crederlo una Irene Pivetti, non so quanti altri possano ... a parte certi neofascisti...

A. - E quel tizio che l'altr'anno è andato in televisione da Gad Lerner a sostenere la tesi della cospirazione ebraica internazionale ...

M. - Però Fini e soci cose del genere non le dicono. Noi però continuiamo, quando le sentiamo, a pensare che questi siano fuori di testa e basta. All'epoca, se uno sentiva affermazioni di questo tipo se ne disinteressava, ritenendole delle insensatezze e basta. Le metteva sullo stesso piano di Babbo Natale o Cappuccetto Rosso. Quindi non eravamo portati ad approfondire questi temi. Tieni presente che i libri sul nazismo e sullo sterminio degli ebrei sono arrivati in Italia molto tempo dopo. Per esempio, Lo sterminio degli ebrei di Poliakov, uscito - mi pare - in Francia nel '51, qui è arrivato molto più tardi. Per alcuni anni non abbiamo avuto a disposizione le narrazioni e le ricostruzioni scritte all'estero; si è arrivati molto dopo ad avere certe informazioni. Alla fine tutto si riduceva a questo: l'odio per gli ebrei è roba di nazisti e fascisti, che erano solo dei criminali, e avevano odiato tanti altri, i comunisti, i democratici...E lì finiva la cosa. Quando Roncalli ha indetto il Concilio Vaticano II ... alla fine i documenti approvati sono del 1965 ... Un mio amico conosce una signora che è stata l'intermediaria tra Jules Isaac e Roncalli, sin da quando quest'ultimo era patriarca a Venezia, e poi nunzio a Parigi. Ho saputo che Roncalli avrebbe voluto un documento dedicato esclusivamente agli ebrei. Invece, nonostante gli sforzi del suo incaricato, il cardinale Agostino Bea, le opposizioni furono tali che stava per non esser fatto alcun accenno agli ebrei e al giudaismo. Semplicisticamente (all'epoca) avevo pensato che il deicidio (e altro) fossero balle dei preti. Adesso dicono che non era vero, o meglio che la Chiesa non aveva mai sanzionato la dottrina. Ma, se anche al concilio di Trento non dissero che erano stati gli ebrei ad ammazzare Gesù, si è trattato di un insegnamento di fatto, sebbene non fosse sanzionato ufficialmente né elevato a dogma.
Quindi (all'epoca) mi era sembrato cadere un modo di esprimersi insensato, ma non gli ho dato molto peso. Gli ambienti ebraici lo hanno invece ritenuto molto importante, avrei forse dovuto tenerne più conto. Fatto sta che poi sono dovuto arrivare a imbattermi in Jules Isaac, personaggio che non era certo stato di grandissima rilevanza prima di quello che ha fatto in questo campo. Un professore della Sorbona, un ispettore di ministero, ma tutt'altro che un grande intellettuale. Isaac era partito dalla domanda: ma come è possibile che avvenga questo sterminio in Europa, nell'Europa cristiana? Ma allora il cristianesimo che cosa ha insegnato per duemila anni o giù di lì sugli ebrei, se si è arrivati a questo? E di lì è partita la ricerca, che lo ha portato a libri come Jesus et Israel. Bada, lui era un laico, e io ho spiegato di essermi ritrovato nelle sue stesse condizioni: ricominciare da zero a leggere le scritture giudaiche e il cosidetto Nuovo Testamento. Con la differenza che lui ha letto tutto mentre io - l'ho anche scritto - ho letto solo quelle di cui parlano continuamente i cristiani, le altre... Insomma si tratta di un corpo di letteratura enorme; se poi avessi letto addirittura i commenti, non avrei ancora scritto una riga.

A. - Ma quando hai veramente iniziato a riflettere sull'argomento?

M. - La prima volta è stato probabilmente attorno al '68/69... proprio quest'idea ... è una faccenda grossa, vale la pena di occuparsene... anche perché nelle nuove condizioni di difficoltà... muoversi o che... per un lavoro che non richiedesse l'esame di manoscritti e cose simili, ma piuttosto la conoscenza dei testi e la possibilità di riflettere su di essi, ero in condizioni assolutamente ideali.

A. - Quando hai avuto la sensazione di star toccando un argomento nevralgico, che poteva suscitare grandi dibattiti e forti dissensi?

M. - Quando mi sono imbattuto in Brandon. Occupandomi della rivista «Comunità», e leggendo molte riviste straniere, inglesi, americane, francesi, vedendo articoli, recensioni, saggi, ma anche pubblicità di libri, ho scoperto il libro di Brandon, Jesus and the Zealots, che ha come sottotitolo «il fattore politico alle origini del cristianesimo». È scattato un interesse decisivo, perché mi ero sempre occupato di cultura politica e di ideologie, ma sino ad allora a questo non avevo mai pensato, perché la religione mi pareva una cosa lontana dalla cultura politica. Nel senso che la DC e le organizzazioni cattoliche con cui uno aveva a che fare mi parevano legate alle istituzioni ecclesiastiche, ma non certo a specifiche idee o concetti religiosi. E allora il fattore politico proprio alle origini del cristianesimo mi ha molto incuriosito; di lì è partito il secondo stadio della ricerca, tutto quello che mi ha consentito di vedere l'aspetto politico, sociale ed economico nella storia dei cristiani. In un mio libro ho usato il titolo Antisemitismo e ideologia cristiana sugli ebrei; l'espressione «ideologia» in questo contesto ha colpito varie persone, perché è suonata nuova, ma pochi hanno in realtà capito che questa ideologia cristiana sugli ebrei per me è gran parte del cristianesimo. Voglio dire che gran parte del cristianesimo è un'ideologia sugli ebrei. Non si tratta affatto di una sua degenerazione...

A. - Credo che, date le particolari origini storiche del cristianesimo, questo sia in qualche modo un elemento necessario. D'altro canto non è impossibile immaginare una spaccatura netta tra giudaismo e cristianesimo: per esempio Marcione, che distingue due dei e dice che le scritture per i cristiani sono solo Luca e dieci lettere paoline ...

M. - Era un posizione se vogliamo anche rozza, ma aveva un suo senso, conteneva più nettamente l'ostilità verso il giudaismo, era in fondo più comprensibile di quello che han fatto dopo con i vari concilii e i vari dogmi, la trinità, ecc...

A. - In un qualche modo le origini del cristianesimo impongono una resa dei conti con il giudaismo. E' quasi un passo obbligato. A maggior ragione questo è vero se scopri che l'ideologia cristiana tout court si basa sulla colpevolizzazione degli ebrei, su una precisa concettualizzazione del loro ruolo nella vicenda di Cristo.

M. - Quello che è curioso e che colpisce sempre ogni volta che ci si pensa è la casualità della faccenda. Nulla è stato premeditato. Quali sono gli elementi in gioco? Abbiamo questi apostoli, i seguaci diretti di Gesù, sono giudei, grandi ammiratori di questo maestro al punto di ritenerlo il messia. Però quando viene crocefisso innovano perché per il giudaismo un messia sconfitto e ammazzato non può essere il messia. Allora dicono, sempre basandosi sull'interpretazione di passi scritturati, è ritornato; è morto, ma è stato rimandato da Dio sulla Terra per inaugurare il Regno. Non è che innovino totalmente, applicano al presente una cosa che era stata detta in maniera vaga in altri punti della Bibbia. Fatto sta che in Paolo l'inimicizia per questi seguaci di Gesù è chiarissima, ed è evidentissima anche negli Atti. Paolo fa poi diventare Cristo un messia, ma non dello stesso genere di quello di Israele, che era una figura regale, di condottiero, oppure una figura di grande riformatore di tutta la società. In sostanza cosa arriva a dire? Attraverso la fede nel Cristo si avrà la vita eterna. E peraltro lui non esclude la seconda venuta; per quanto possiamo capire, Paolo pensava che il mondo stesse per finire. Aveva una visione apocalittica a modo suo, con la fine del mondo e il giudizio universale; tuttavia, se già credevi in Cristo, ti eri garantito la salvezza. Insomma lui inventa queste cose combinando insieme vari elementi. Gli elementi giudaici sono già travisati: questo Cristo è unto del Signore, ma in che senso? In seguito questa sua elaborazione consentirà di arrivare al Dio incarnato, ma lui ancora non lo dice, non si esprime ancora in questo modo. Si tratta di una figura divina, ma non equivalente a Dio stesso.
E tuttavia sulla base della sue posizioni gli evangelisti cominceranno a usare il termine Figlio di Dio, anche lì trasformandone il significato, intendolo proprio come figlio unigenito di Dio e poi in seguito come sua seconda persona...da figura divina a tutto il resto, ci hanno lavorato in tanti e per secoli e secoli prima di arrivare alla dottrina complessiva (della trinità). Brandon ha notato, mi pare giustamente, che le lettere di Paolo non erano affatto considerate cosa sacra: molte sono andate perse, ne sono rimaste poche e di queste solo alcune autentiche. Quindi non sono state tesaurizzate, almeno sino a quando non si è creata l'occasione per rispolverarle.

A. - E questo quando è successo?

M. - Dopo il '70. Creandosi la necessità di staccare Gesù dal giudaismo e dalla Palestina, si rivalutò questa fantasticheria paolina, che probabilmente era stata in precedenza condivisa da pochi, mentre gli altri si rifacevano a un racconto più vicino a quello dei seguaci originali, in cui resistevano tutti i dati più tipicamente ebraici, meno lontani dalla vicenda. Sempre ammesso che sia avvenuta, ma non ci mettiamo a discutere anche di questo; se no dovremmo dire che Giuseppe Flavio non ne parla per nulla, c'è solo un passo di poche righe, chiaramente interpolato. Ma noi dobbiamo cominciare da questo; non potremmo neanche parlare del cristianesimo se non partissimo da che cosa ben presto è stato detto di questa vicenda. Seguiamo via via quello che è successo. E quello che è successo è che per Paolo non c'è solo il distanziamento dal giudaismo e dagli ebrei, ma anche dai seguaci di Gesù, e quindi da Gesù stesso. Probabilmente è anche vero che per Paolo gli ebrei restano il popolo dell'Alleanza; la nuova alleanza non annulla la vecchia, ma vi si aggiunge. Ma sono tutti passi non premeditati.

A. - Dovuti alle esigenze storiche del momento...

M. - I seguaci immaginano una certa cosa...La resurrezione, per esempio: che cosa sia avvenuto non lo possiamo capire. Certo, i seguaci di Gesù non volevano perdere la faccia. Probabilmente ci hanno provato, ci credessero o no davvero. Hanno tentato: un momento, è morto, ma ritornerà, anzi lo abbiamo visto. Loro lo hanno detto per un loro problema. Paolo cambia le cose - perché Paolo prende tre o quattro cosette dalla vicenda, quasi nulla su Gesù - e modifica parecchio. Ma con Paolo il cristianesimo potrebbe restare una faccenda minore, una piccola setta. In realtà è decisiva la guerra giudaica, dopo il '70. L'evento va a tutto vantaggio di questa setta, se gioca bene le sue carte: si distanzia dagli ebrei, dà la colpa a loro e non ai romani, accetta da Paolo la posizione di totale subordinazione al potere. Si tratta di una vicenda molto lunga, molto complicata, molto casuale ... ogni avvenimento è imprevedibile...

A. - Un cristiano direbbe che c'è la mano della Provvidenza ...

M. - Poi, probabilmente ad Alessandria, viene composto il Vangelo di Matteo, che dal pacifismo arriva al limite del masochismo: non devi amare solo il tuo prossimo, ma anche il tuo nemico. Probabilmente temevano che gli zeloti in circolazione esercitassero ancora una certa influenza.

A. - Restiamo su questo argomento, ma allarghiamo la prospettiva. Se il cristianesimo è solo questa ideologia di aperta subordinazione al potere, come è possibile che in Occidente, soprattutto a partire dalla Riforma, il cristianesimo veicoli buona parte delle istanze rivoluzionarie, fossero sociali o politiche?

M. - Se tu prendi l'insieme di quello che viene chiamato il Nuovo Testamento, che comprende anche la Lettera di Giacomo, un documento chiaramente di origine ebraica, trovi diversi elementi che possono esser utilizzati da sette, da gruppi ribelli, da insubordinati, da gente che vuole cambiare le cose. A un certo punto è evidente che questi gruppi non possono accettare la posizione di Paolo.

A. - Ma allora nel cristianesimo ci sono anche potenzialità sovversive.

M. - Credo che queste potenzialità siano però tratte dal giudaismo, da quello apocalittico, certo non da quello sacerdotale.

A. - A me sembra che non sia tanto la Lettera di Giacomo a potenziare certe visioni rivoluzionarie o di cambiamento radicale. Per esempio la tolleranza, la priorità del giudizio privato, la giustificazione di certe trasgressioni della morale cristiana, nascono in ambienti di mistici e spiritualisti, di gente che sembrerebbe più vicina a Paolo che non ai giudei. Tu stai parlando soprattutto di rivoluzione sociale, di eguaglianza...

M. - Ma il vero mistico è quello che ritiene di avere un rapporto diretto con la divinità, senza mediazioni clericali. E allora si possono ignorare completamente le istituzioni, il clero, ecc ..

A. - Ellul vede qui le potenzialità anarchiche del cristianesimo. In Paolo c'è «Date a Cesare quel che è di Cesare», ecc., però c'è anche un'altra posizione, che è di contestazione dell'autorità, di supremazia dello spirito sulle istituzioni terrene, posizioni che si prestano ...

M. - Ma qui siamo appunto al misticismo. Per cui, se c'è un rapporto personale, morale, che tocca il comportamento, secondo il quale l'individuo si ritiene sotto lo sguardo di Dio, allora si comincia a credere nella coscienza, nella responsabilità, nelle opere, nei doveri verso gli altri e da questo si può arrivare alla tolleranza.

A. - Però non necessariamente un atteggiamento mistico di questo genere spinge verso l'uguaglianza o verso la responsabilità sociale ...

M. - Potremmo osservare che, mentre Ernst Bloch vede un filo rosso, quindi un filo sovversivo, sociale, che attraversa le scritture giudaiche, poi quelle cristiane e infine la storia del cristianesimo, c'è anche un filo, e qui dobbiamo rifarci a Michael Walzer, un filo libertario, più che rosso. Nero, diciamo, un filo nero.
Se vuoi, un filone di ribellione all'autorità, di contestazione, fondato non tanto sul desiderio di creare un altro potere, ma di eliminare ogni forma di potere. Questa è un filo di cui Ernst Bloch non parla, ma possiamo parlarne noi. Direi che è lecito. Questo filo - chiamiamolo nero, anarchico insomma - è difficile farlo partire da singole frasi dei Vangeli o delle Scritture.

A. - È che la Bibbia è un testo talmente vago da prestarsi a ogni tipo di interpretazione ...

M. - Si presta a tutto, in realtà si presta a tutto. Ma di fatto questo filo c'è. Nella storia dei cristiani c'è anche questo filone di ribellione, non solo sociale ed economica, ma anche di ribellione all'autorità politica e civile...

A. - Credo che questo filone nasca nella modernità con il protestantesimo. E' difficile che possa esser seguito da un cattolico, perché è essenzialmente una critica del principio d'autorità.

M. -. Vediamo però che anche parecchie ortodossie protestanti non possono accettarlo. Dimmi un po', forse che i luterani sono pronti a buttare a mare le istituzioni?

A. - lo dico però che questo filo nero può essere percorso solo in ambito protestante.

M. - Questo è vero. Però, oddio, se vuoi, la teologia della liberazione, in gran parte avendo adoperato certi concetti marxisti, è più rossa che nera, però la liberazione...

A. - È un concetto comune a protestanti e cattolici. Questo sì.

M. - Quindi direi che in personaggi come Guterriez o Leonardo Boff c'è anche il filo nero. Boff, per esempio, che a un certo punto smette di fare il prete e si mette a scrivere libri, non è stato neanche a far grandi gesti...


PER LA STORIA DELL'ANTISEMITISMO
Strumento indispensabile è la Storia dell'antisemitismo di L. Poliakov, tradotta in quattro volumi presso la Nuova Italia (1974-1990): I. Da Cristo agli ebrei di corte - II. Da Maometto ai marrani - III. Da Voltaire a Wagner - IV. L'Europa suicida.
Su particolari aspetti della mentalità "antiebraica" si concentrano T. Adorno e M. Horkheimer (Dialettica dell'Illuminismo, tr. it. Einaudi, Torino 1966), H. Arendt (la prima parte de Le origini del totalitarismo, intitolata L'antisemitismo, tr. it. Edizioni di Comunità, Milano 1967, oppure, in volumetto separato, Bompiani, Milano 1978), i diversi autori di La personalità autoritaria (tr. it. Edizioni di Comunità, Milano 1973) e Y. Chevalier (il recente L'antisemitismo. L'ebreo come capro espiatorio, tr. it. IPL, Milano 1991). Sull'olocausto si veda ancora L. Poliakov, Il nazismo e lo sterminio degli ebrei, Einaudi, Torino 1955; sull'antisemitismo in Italia si veda invece R. de Felice, Storia degli ebrei italiani sotto il fascismo, Einaudi, Torino 1972. Utile anche il recentissimo Ebraismo. Passato, presente e futuro di Hans Küng (tr. it. Rizzoli, Milano 1993). Una recente storia generale dell'anarchismo attenta alla dimensione "antisemita" del pensiero di alcuni "classici" è P. Marshall, Demanding the impossible. A history of anarchism, Fontana, London 1993 (praticamente una 2a ed.).

GIUDAISMO E CRISTIANESIMO
Una buona introduzione ai problemi culturali più generali è M. Simon e A. Benoit, Giudaismo e cristianesimo, tr. it. Laterza, Roma-Bari 1988. Per quel che riguarda la contestualizzazione storico-politica della vicenda di Gesù sono fondamentali i lavori di S.G.F. Brandon, di cui è tradotto in italiano Il processo a Gesù, Edizioni di Comunità, Milano 1974; molto importante è ritenuto il suo Jesus and the Zealots. A study of the political factor in primitive christianity, Manchester University Press, Manchester 1967. Pagine illuminanti sull'argomento sono di recente state scritte da P. Fredricksen, Da Gesù ai Cristi. Le origini della rappresentazione di Gesù nel Nuovo Testamento (di prossima pubblicazione presso la Morcelliana, Brescia).
I libri di Jules Isaac, purtroppo non tradotti in italiano, sono alle origini del dibattito sulle origini cristiane dell'antisemitismo (segnalo il suo Genèse de l'antisémitisme, Calmann-Levy, Paris 1956). La bibliografia italiana sull'argomento, come nota anche Mannucci, è carente: tra i testi più noti all'estero cito J. Parkes, The conflict of the Church and the Synagogue. A study in the origins of antisemitism, Soncino Press, New York 1969.

ANARCHISMO E CRISTIANESIMO
Il recente Anarchia e cristianesimo di Jacques Ellul (tr. it. Elèuthera, Milano 1993) spiega come sia possibile trarre "lezioni anarchiche" dalle Scritture. Gli storici dell'anarchismo, pur non trascurando l'apporto del cristianesimo alla tradizione, lo hanno spesso giudicato un elemento secondario nella costruzione dell'immaginario libertario. Le eccezioni le troviamo in genere dall'altro lato dell'Atlantico, dove l'esperienza del puritanesimo e del protestantesimo estremista ha forgiato un radicalismo indigeno di matrice individualista che ha posto le premesse per ogni esperimento anarchico (non d'importazione) negli Stati Uniti: si vedano, per esempio, E. Schuster, Native american anarchism, Loompanics, Washington 1983 (1a ed. 1932) oppure il più articolato D. DeLeon, The American as anarchist, John Hopkins University Press, Baltimore and London 1978, o anche il più specifico L. Perry, Radical abolitionism. Anarchy and the Government of God in antislavery thought, Cornell University Press, Ithaca and London 1973. Sulla stessa linea interpretativa si è mosso anche Murray Bookchin, che ha però allargato la prospettiva, prendendo in considerazione l'intero arco della creazione dei sistemi di dominio in Occidente in L'ecologia della libertà, tr. it. Elèuthera, Milano 1988. Mi sia concesso infine citare il mio Il Dio dei blasfemi. Anarchici e libertini nella Rivoluzione Inglese (Unicopli, Milano 1993), in cui ho cercato di provare che la tradizione anarchica deve molto all'interpretazione libertaria del cristianesimo fornita dal protestantesimo radicale ed eterodosso del Cinquecento e del Seicento.