Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 24 nr. 206
febbraio 1994


Rivista Anarchica Online

Appunti di viaggio
di Melita Richter

Nel maggio '92 abbiamo pubblicato il resoconto di un viaggio in Croazia della sociologa croata Melita Richter, che da quindici anni vive a Trieste. In queste pagine, il resoconto di un altro viaggio: questa volta in Serbia. Dopo anni di guerra, dopo mesi di sanzioni.

Non avrei mai detto che lasciare alle spalle la fertile, sconfinata e insignificante pianura magiara sarebbe stato così avventuroso e in un certo senso traumatico. Poco dopo Szeged, la piccola, florida cittadina provinciale, sulla strada per il confine jugoslavo (cioè serbo), il traffico diventa sempre più denso, più lento e poi si ferma del tutto. Chiedo all'autista del pullman se sia successo qualcosa, un incidente ... e lui risponde «Vorrei sperare che non sia già la fila». Siamo distanti 7-8 Km dal confine e la fila c'è: innumerevoli automobili cariche di viveri, persone, taniche di benzina, soprattutto benzina ... L'orizzonte s'imbrunisce lentamente e le pupille si dilatano per vedere meglio, per capire. L'atmosfera nel bus è cupa e io sento che qualcosa dentro di me si sta gelando. Tutti sanno di che cosa si tratta, solo per me lo spettacolo è nuovo: è l'incontro con la miseria, il segno eloquente di una società in disgregazione. Il serpente nero della fila è quasi fermo, ai bordi ci sono persone senza espressione, mute, che spingono le macchine così, una dopo l'altra, senza accendere il motore né i fari ... Direi che sono quasi ordinati, pazienti, ma il profondo disagio si legge anche di sfuggita nei loro volti chini. Dai vestiti dimessi, dai gesti lenti si nota che sono stanchi e rassegnati. Un po' più in là, ogni tanto, c'è del movimento: sono conoscenti, familiari? Discutono? Litigano? Il nostro pullman di linea (Budapest - Belgrado) cerca di passare questo fiume umano lentamente, quasi attento a non turbare lo scenario irreale in cui siamo piombati, o forse per concederci la possibilità di notare meglio il loro disagio ... Con la fronte fissa contro il vetro del finestrino tento di imprimere nella mia mente ciò che vedo. Se non ci fossero le macchine cariche di taniche di plastica e di sacchi di patate ben confezionati, l'immagine potrebbe essere simile a quella che da scolari costruivamo nelle menti quando ci spiegavano lo spostamento delle popolazioni, delle tribù, l'invasione delle orde dal Nord-Est... Questi invece sono i cittadini della Jugoslavia, della Serbia, fino a pochi anni fa miei concittadini, costretti oggi ad arrangiarsi alla meglio per sopravvivere.
La società civile è in ginocchio, la grande crisi economica è potenziata dalle sanzioni e dall'embargo imposto dall'ONU. Ma non è un giorno eccezionale: la scena si ripete quotidianamente. Quotidianamente la massa di persone oltrepassa il confine ungherese per comprare il cibo, il carburante, il vestiario, l'alcool, il tabacco, tutto, perché in Serbia non c'è niente. Il peso di una notte passata in attesa di varcare il confine non conta. Il calcolo è semplice: la gente è senza lavoro, vive nella penuria, ha fame. I fortunati che lavorano hanno paghe equivalenti a venti, dieci DM, ma anche meno. Un solo viaggio in Ungheria e il pieno di benzina rivenduto fanno guadagnare più di un intero salario che comunque non basta a far fronte alle spese di una settimana. Sui 40 litri comprati e rivenduti a 1 DM al litro si ricavano in una sola notte l'equivalente di un paio di salari medi. Se la benzina si vende a Belgrado, o in un'altra città ancora più distante dal confine ungherese, il profitto è triplo o quadruplo. Questo vale anche per tutti gli altri prodotti. Il vortice del mercato nero inghiotte tutti, nessuno si chiede della legalità o illegalità dei guadagni, nessuno può più parlare di etica del lavoro onesto. La vita ha ridicolizzato il lavoro e lo ha tramutato in concetto di puro lusso, irraggiungibile per chi ha da assicurare a sé e alla famiglia la sopravvivenza.
Passato il confine ci imbattiamo subito in un altro aspetto della crisi: il valore o meglio il non valore dei soldi. L'esempio è banalissimo: l'uso della toilette è 2 milioni di dinari, tramutabili in 20 fiorini ungheresi! Non ci vuole molto per capire che i dinari jugoslavi non hanno alcun valore e d'ora in poi mi saranno sempre richiesti dollari, marchi tedeschi, ma anche i fiorini vanno bene, «qualsiasi valuta forte». Il cambio in banca o al cambiavalute è sconsigliabile; quello che in condizioni normali sarebbe il comportamento logico e legale, diventa ora deviante, isolato. Per il cambio illegale non ci sono problemi: numerosissime persone da sole o in gruppi sostano agli angoli delle strade, nelle piazze, nella hall dell'albergo, sussurrano, chiedono, cercano le «devize», offrendo in cambio il valore del momento, cioè, in mattinata uno, a mezzogiorno un altro, la sera un altro ancora, perché la svalutazione ufficiale è giornaliera, ma tutti sanno che si manifesta diversamente nell'arco della giornata (1).

Politica centripeta e totalitarista
Sono a Subotica per il «Forum scientifico», la V Conferenza internazionale dei paesi danubiani con il titolo «Danubio, fiume della cooperazione» (2). La Conferenza, si svolge in condizioni difficilissime per l'embargo a Serbia e Montenegro, è riuscita a portare il discorso alla cooperazione economica, ma anche su quella culturale ed ecologica fra i paesi danubiani. Tra i partecipanti incontro molte persone che sperano e credono in un futuro dove la sfera politica impregnata di nazionalismo non sarà così determinante e totalizzante da dominare tutta la vita civile. Si parla di progetti concreti, del ruolo del Danubio nella vita economica della regione e dei singoli paesi, ma anche del futuro del Sud-Est europeo e dell'Europa in generale. Si analizzano gli effetti degli ipotetici canali tra i fiumi Reno-Meno-Danubio, progetti che vedono uniti Mar Baltico e Mar Nero e la possibile realizzazione delle dighe che tuttora rimangono il punto della discordia tra la Repubblica Ceca, la Slovacchia e l'Ungheria. Si parla delle zone franche e della potenzialità del turismo nautico fluviale, del recupero dei rapporti economici e di buon vicinato con Ungheria, Romania, Bulgaria ... Ma si parla anche di cultura, dell'importanza di «imparare a pensare con la mentalità di più nazioni, di imparare ad essere europei». Per l'Europa sono indispensabili i presupposti economici, ma anche quelli culturali perché l'Europa non nasce solo tramite il mercato comune o il coordinamento istituzionale sovranazionale e neanche si realizza con gli accordi economici bilaterali o multilaterali; essa nasce nella testa della gente. Ed in queste stesse teste essa può artificialmente essere soppressa. E' un incontro importante. Subotica è la bellissima cittadina della ricca Vojvodina, la regione situata al nord della Serbia che si suddivide in Banat, Backa, e Baranja. A sua volta era il granaio della Jugoslavia, la pianura più fertile e più coltivata del paese, con un'industria diversificata e tecnologicamente avanzata i cui prodotti varcano i confini nazionali. Vi si incrociavano importanti nodi ferroviari e vie di comunicazione. Con la sua vitalità multietnica e multiculturale (Subotica con i dintorni conta 150 mila abitanti, la maggioranza dei quali è ungherese, seguiti dai Croati, Bunjevci, Serbi, Slovacchi e altri) ha dato e dà tuttora l'esempio di come sia possibile mantenere e sviluppare una vita basata sulla convivenza e la collaborazione. La Vojvodina rifiuta la guerra ed in questo è compatta. Il sindaco e il vice sindaco di Subotica, ambedue appartenenti alla minoranza ungherese e al partito «Comunità democratica degli Ungheresi», sono uomini saggi, razionali e sanno che il benessere della popolazione sta nello sviluppo economico, nell'iniziativa dell'imprenditoria, della piccola industria e soprattutto nella pacifica convivenza multietnica. Perciò puntano sui rapporti commerciali e culturali con i paesi confinanti, prima di tutto con l'Ungheria ma anche con l'Austria, Germania, Slovacchia, Repubblica Ceca, Italia, Romania, ecc. Loro sanno molto bene che ogni nazionalismo esasperato, ogni scintilla avvelenata potrebbe portare la Vojvodina ad una tragedia sconfinata. Sanno che è giusto opporsi alla politica centripeta e totalitarista di Belgrado e cercano di farlo in modo più razionale possibile. Finora hanno avuto un grande appoggio dalla popolazione, anche se non sono mancate provocazioni sporadiche degli estremisti. In concomitanza con il Forum scientifico, a Subotica è stata aperta la I Fiera Internazionale della piccola imprenditoria, uno sforzo notevole per mettere in pratica ciò che la Vojvodina propone in teoria: economia e apertura dei confini e non la guerra, la chiusura, l'isolamento. Forse questo significa andare contro-corrente rispetto alla politica nazionalista di Belgrado, ma significa senza dubbio andare incontro agli interessi vitali della regione e della sua popolazione. Che Subotica con i dintorni di vaste zone agricole stesse meglio di altre zone della Serbia, specialmente meglio della capitale Belgrado, è visibile da tanti segnali anche a una come me, che solo in pochi giorni e superficialmente cerca di decifrarne il tessuto sociale in rapido sgretolamento.

Società devastata
Segni visibili sono le folle di persone che traboccano dai treni provenienti da Belgrado e dall'interno della Serbia, gli autobus stracolmi e quel esiguo traffico privato esistente che si versa sul mercato di Subotica, l'ormai notissimo Buvljak, il mercato delle pulci. Lì si trova tutto quello che manca in Serbia e in Montenegro. Cominciando dal cibo; richiestissimi olio, sale, zucchero, farina, riso, patate, legumi secchi, tabacco, carta velina per far le sigarette, alcool, bestiame, vestiario, scarpe, prodotti per l'igiene personale, soprattutto sapone, dentifricio, deodorante, carta da toilette, viti, vitine, chiodi, filo, lana, arnesi per coltivare la terra, qualche apparecchio sofisticato Hi-Fi ... C'è di tutto, nuovo ed usato. I prezzi sono in marchi e cambiano continuamente, quelli della mattina si triplicano la sera ... E il mercato nero che fiorisce e si alimenta !ininterrottamente: Buvljak lavora giorno e notte. E' di notte che l'abbiamo visitato e non ha perso niente della sua vitalità, anche se mi dicono che di giorno è molto più vasto e ricco. Comunque, mi basta quanto ho visto: sono scene degne delle migliori descrizioni di Zola sul sottoproletariato e sulla miseria dei sobborghi delle grandi città europee di fine secolo. Ma c'è anche l'arroganza di quelli che sfruttano la penuria e con la loro abilità di trafficanti e rivenditori riescono ad emergere economicamente, a ottenere guadagni facili sfruttando la povertà. Parlo con uno di loro. Vende un litro d'olio per un marco e mezzo. La stessa mattina l'olio costava mezzo marco, ma si trovava ancora nei negozi. Quando è sparito da lì (l'assalto della gente alle merci di prima necessità fa sparire in brevissimo tempo ogni prodotto dagli scaffali dei negozi), il mercato nero si adegua e raddoppia i prezzi. L'indomani questo stesso olio costerà due marchi e in serata quattro. La progressione nella crescita dei prezzi è geometrica, incontrollata. Ma a Subotica la merce c'è ed è comunque meno costosa che a Belgrado. Lo stesso fatto dell'infimo valore del denaro spinge tutti ad aggrapparsi alla merce poiché il suo valore aumenta da un'ora all'altra ed ha significato reale. L'indomani non c'è nessuna sicurezza che la merce potrà essere acquistata a causa dell'assenza dal mercato o per l'annientamento del potere d'acquisto. Un prodotto acquisisce il valore in sé, diventa merce di scambio e si torna al baratto. Anche la compravendita di soldi porta a guadagni folli. Se uno compra i DM o qualsiasi altra valuta forte a Subotica e li vende solo due ore dopo a Belgrado, ha triplicato il guadagno. E' difficile afferrare la realtà di questo drammatico momento sociale che sta devastando la società, e ne intacca la sua complessità. E' difficile capire il senso di quelle banconote da un miliardo (3) e la paga (buona) di 45 miliardi, se un libro costa 32 miliardi (!) e un litro di vino (comunissimo, da tavola) 17 miliardi! A casa di amici a Belgrado il vino fu comprato in mio onore, ma quando mi resi conto quanta privazione esso rappresentasse, mi passò del tutto la voglia di berlo. E il libro che volevo comprare non comprai, mi pareva quasi di oltraggiare le persone che mi avevano ospitato.

Ovunque sporcizia
Belgrado. Poche volte una città mi aveva lasciato un'impressione così profonda. Poche volte ho visto una città umiliata. Immagino che le città europee distrutte durante la II Guerra mondiale, con tutta la crudele tragicità del loro aspetto, emanassero più fiducia, più speranza e voglia di vita nuova di quello che oggi si nota a Belgrado.
Belgrado è una città splendida, la metropoli costruita con grande respiro urbanistico, con vasti boulevards alberati. Le sue gentili colline sono piene di lussuose case di rappresentanza, ambasciate, parchi, musei, ma ci sono anche quelle colline dolci, piene di case piccole e modeste con cortili dove tuttora si svolge tanta vita intima di un mondo ancora patriarcale; la vita di comunità, la «Belgrado con l'animo». Mi ricordo dei tempi, ormai remoti, quando da studenti facevamo le gite di «fratellanza» o dopo, da professionisti, le «carovane dell'amicizia» e noi di Zagabria ci sentivamo dei provinciali osservando quanto «avanti» fosse andata Belgrado, quale architettura d'avanguardia, quali strade, circonvallazioni, traffico, potenzialità commerciali avesse la Capitale ... Tutto sembrava irraggiungibile e forse celava le prime invidie di noi «mezzi asburgici» che tenevamo tanto a essere più grandi, più europei, più moderni e soprattutto più ricchi, perché «avevamo la cultura» ... Eppure, Belgrado era «la prima», era veramente bella. Che cosa è rimasto oggi di quella immagine? Lo spettro. Una città plumbea in visibile degrado fisico e sociale. I grandi boulevards sono vuoti, la gente non usa l'automobile perché manca la benzina, le macchine sporche e abbandonate sono parcheggiate ovunque. Sui bordi delle strade ci sono le bancarelle improvvisate dove si vende di tutto (ed è quattro volte più caro che a Subotica!). Non so se i venditori sono Serbi, Rumeni, Rom ... Il loro aspetto è trasandato, poco raccomandabile. Parlo con uno di loro: i suoi prodotti provengono dalla Polonia ed i soldi che ricava dalla vendita coprono il viaggio, il dazio, il disagio e portano un buon profitto. Ma ci sono anche vecchietti che vendono la propria sciarpa, oppure profumi da donna dai nomi più fantasiosi ... Ovunque sporcizia. Forse la si nota di più nei complessi della Belgrado Nuova, quei grandi agglomerati dall'impronta Courbusieriana. Per le loro strutture smisurate immerse nel verde, queste costruzioni possono ancora dare un'immagine di vitalità del tessuto urbano,
ma quando uno si avvicina rimane turbato dal degrado ambientale. I vetri delle entrate sono rotti, le porte scardinate, la sporcizia accumulata (per mesi o per anni?) in tutti gli spazi comuni, sui muri, nei sottoscala, negli ascensori. Il cattivo odore si diffonde e si mescola con gli odori del cibo provenienti dai numerosissimi appartamenti ... Mancano le lampadine sulle scale e negli ascensori, ma si sa che anche quelle che ci sono, al termine della loro «vita» non saranno sostituite perché non si trovano sul mercato e anche se ci fossero, nessuno ha più i soldi per comprarle, per prendersi la briga di curare gli spazi comuni. Eppure la zecca emette in continuazione banconote nuove, senza copertura, aggiungendo o togliendo gli zeri e creando i famosi miliardi e milioni ma sempre con lo stesso risultato: sono soldi fuori da ogni contesto economico reale. Si produce carta straccia che nessuno ha voglia di tenere in tasca per più ore. L'inflazione è giornaliera, del 30%, cioè dello 0,5% all'ora! (4). Per questo non mi meraviglio più quando scorgo i bambini che dai piani alti di un grattacielo buttano giù le banconote di quei milioni che non valgono più niente. Si divertono a seguire le virate lente che la carta colorata traccia nell'aria come noi ci divertivamo con gli aeroplanini di carta ... Prendo alcune banconote dal fango per mio figlio che ha cominciato ad interessarsi di numismatica. Come potrò spiegargli che con questi soldi i bambini di Belgrado non potrebbero comprarsi neanche la gomma da masticare? Non sono cose da spiegare: non c'è niente di razionale.

L'antimilitarismo di Zoran
Ci sono le persone che rifiutano la logica del traffico di soldi, del mercato nero, del guadagno illecito, o perché hanno per tutta la vita agito secondo l'etica del lavoro onesto e semplicemente non riescono ad adattarsi alla nuova morale della jungla, oppure perché vecchi, deboli e non hanno la vitalità, la capacità di farlo. Loro sono i grandi perdenti, gli sconfitti. A loro questa società sta togliendo ogni dignità, sta annullando la loro stessa vita. E non è casuale che tra la popolazione anziana, specialmente tra quelli soli, senza il supporto della famiglia, il numero dei suicidi sta aumentando vertiginosamente. Il governo non pubblica le cifre ufficiali come non pubblica i dati delle diserzioni e di nessun fenomeno che direttamente o indirettamente indichi il dissenso e lo sgretolamento della società.
Molti di loro che hanno dedicato la vita a lavori umili o alle «missioni grandi», conservano ancora una grande umanità e integrità morale, cercano di essere lucidi e si muovono con contegno su questo rude scenario sociale dove la vergogna viene loro imposta. Ma non è la vergogna loro, è la vergogna di altri, soprattutto dei leaders politici e dei «grandi» ideologi nazionalisti che sono riusciti a trascinare il paese in una guerra sanguinosa e fratricida e nello stesso tempo hanno portato la società civile alla totale disgregazione, al baratro della miseria. Durante la mia breve permanenza a Belgrado ho conosciuto poche persone ma anche quel breve lasso di tempo che ho passato con loro mi ha fatto capire che si tratta di persone eccezionali. Vorrei parlare di Zoran, scultore, pittore, drammaturgo, di Olga, scultrice, pianista, di Petar, chirurgo ... E' gente che appartiene alla classe 1921, 1922. Sono persone sensibili e coinvolte nel fermento intellettuale mai placato, nella permanente ricerca di nuove forme di espressione. Hanno dedicato tutto all'arte, alla creazione, alla professione. Anche oggi si trovano nella torretta del padiglione della vecchia Fiera di Belgrado dove sono situati i loro «ateliers». Durante la II Guerra mondiale questi padiglioni erano stati adibiti a prigione-lager per gli Ebrei e dopo la guerra tutti i padiglioni in disuso furono dati agli artisti e trasformati in «studios», in «ateliers». Così si creò una vera colonia artistica. Sono ormai decenni che Zoran e Olga lavorano in «ateliers» attigui, scambiando quotidianamente opinioni, critiche, sensazioni ... Zoran ha un fisico asciutto, il viso scavato e i capelli d'argento coperti dal classico basco nero sotto il quale brillano gli occhi di un uomo curioso, gentile, pieno di energie, di progetti ... E' felice di aver visite, poi da Zagabria, da Trieste! Ha sete d'informazioni, scopriamo che conosce mio zio, notissimo architetto, grafico e scultore di Zagabria ... Mi parla dei tempi in cui gli artisti, indipendentemente dalla loro provenienza etnica, polarizzavano i propri interessi e le proprie ricerche espressive intorno all'arte astratta. Ricorda i tempi in cui il nuovo linguaggio era portato avanti dal gruppo zagabrese «Egzat» (5) che cercò una sintesi tra scultura, architettura, pittura e urbanistica e fu aspramente attaccato dai critici di regime schierati sulle posizioni del realismo socialista. Furono gli anni del fervore intellettuale per affermare la sintesi dell'arte e del pensiero astratto. Allora c'erano convegni, incontri, progetti ai quali lavoravano insieme croati, serbi, macedoni ... e si affilavano le armi di contrapposizioni spietate tra le diverse correnti. Ora non c'è più niente di simile. Non esiste neanche la possibilità di contatto personale, non esiste nessuno scambio di esperienze, opinioni ... Ognuno vive nella propria palude cercando di non vederla, di continuare a lavorare ... ma ci riesce a malapena. Zoran ha dedicato «da sempre» la sua opera e il suo impegno sociale all'antimilitarismo per trovarsi oggi in una società militarizzata fino all'estremo. La sua scultura metallica, discontinua e pungente non è estetica: è la testimonianza dell'assurdità della guerra, dell'assurdità della morte violenta e tragica. Si potrebbe dire che essa esprime l'ironia verso la virilità dei cavalieri moderni e medioevali che l'autore unisce alle forme animalesche antidiluviane. Il suo grido acuto contro la stupidità di tutte le società militarizzate.

Come i topi
Olga freme di impazienza; mi vuole portare nel suo studio, parlare di arte e di vita. E' una donna minuta, magra con i capelli tagliati alla Juliette Greco, gli occhi caldi, marrone ed i lineamenti di una bellezza classica. Ha i denti malandati e ne è consapevole. Una volta la sua famiglia era molto benestante. Lei, già pianista affermata, si dedicò completamente alla scultura, diventò quasi filosofa della forma. Inventò la materia speciale con la quale dà vita alla sua immaginazione. Porta la testimonianza di una particolare concezione dello spazio nelle mostre in tutto il mondo. Alla Biennale di Venezia, alla Triennale di Torino, a Parigi, Bruxelles, Londra, Atene, Alessandria, Budapest, Pittsburg e così via ... Oggi medita nel freddo dello studio, tra le opere incompiute. Non riesce a lavorare, non ha il materiale. Non ha i soldi per comprarlo. Non può comprare nemmeno cinque kg di gesso per terminare il lavoro avviato. Non riesce a comprare le candele che le servono per «patinare» una superficie bianca. Ha la pensione mensile di due marchi e mezzo. Lei, che è membro onorario dell'Accademia Serba delle Scienze e delle Arti, mi dice:«comprerò le candele dopo le sanzioni», ma non mi dice che non riesce più a procurarsi il cibo, ad andare dal dentista, ad avere il minimo indispensabile per una vita serena e decorosa. Lei non si lamenta per sé, tutti i suoi colleghi pensionati, membri dell'Accademia, sono nella stessa situazione. Tutti, nella stessa barca. Ma proprio tutti? E quelli che da questa stessa Accademia Serba delle Scienze e delle Arti formularono il «Memorandum» (1986) e partirono alla crociata con la mitologia della Grande Serbia? Per loro, il nazionalismo paga? Quanto? Quante poltrone, ministeri, assessorati? Dobrica Cosic è arrivato alla Presidenza della Repubblica, gli altri dove sono? Scommetterei che non vivono come Olga e Zoran e neanche come tanti cittadini comuni che pagano sulla propria pelle il conto della grande «avventura». Come per esempio Petar, notissimo chirurgo che ha resistito ai lusinghieri inviti americani di proseguire la carriera negli Stati Uniti, perché troppo innamorato di Belgrado, della sua minuscola casetta galleggiante sulla Sava Ciganlija. E' rimasto. Oggi, come tutti i fine settimana quando il lavoro glielo permette, è lì vicino al fiume dove con gli amici divide le ore spensierate delle ultime tiepide giornate di ottobre. Si cerca di parlare d'altro ma il discorso cade inevitabilmente sulla penuria. «Hai comprato le patate per l'inverno?» gli chiedono. «No. E non le comprerò. Non ho i soldi» risponde con il viso sereno, offrendoci il bicchierino di grappa, quella vera, "domaca", che a stomaco vuoto ti brucia dentro e fa scorrere il sangue più velocemente. «E come farai?» «Sopravviverò. Come i topi».

Collasso del commercio
Il fiume è plumbeo e liscio, si muove poderoso, lentamente, come se gli pesassero le acque accumulate. Dall'altra parte, sulla costa si vedono le chiatte ferme e arrugginite. Ma più in là, sul Danubio sono ammassate quaranta tra chiatte e navi ... Manca la nafta, la benzina, ci sono le sanzioni, l'embargo. Non si muove niente. Petar ed i suoi amici medici parlano delle difficoltà che sono costretti a superare negli ospedali. Mancano i guanti da chirurgo, il filo di sutura, gli antibiotici, il materiale sanitario, tutto ... Al paziente si chiede di procurarsi da solo tutto il materiale indispensabile e portarselo in ospedale ... Anche gli ambulatori, le farmacie sono sprovvisti delle cose più elementari: dalle pastiglie per il mal di testa allo sciroppo per la tosse ... Con l'incalzante impoverimento di tutti gli strati sociali, le richieste di aiuto medico sono in spaventoso aumento, ma il servizio medico-sanitario non riesce a soddisfare neanche la metà delle richieste. E chi ne risente di più sono i vecchi, i malati cronici, il settore pediatrico, i malati di mente. In generale, le esigenze dei malati e dei più deboli non riescono ad essere soddisfatte. Ne è sintomatica la proposta diffusa proprio durante la mia permanenza a Belgrado, con la quale lo Stato avrebbe garantito ai bambini dell'età prescolastica e scolastica un bicchiere di latte in polvere (!) al giorno. Il latte normale è introvabile. Quelli che non appartengono a questa fascia d'età, ma ne avrebbero comunque bisogno, dovranno recarsi dal medico che prescriverà loro la ricetta con la quale andare in cerca di latte (sempre in polvere)! Ma si sa che avere una ricetta in mano non garantisce niente. E lo stesso vale per le ricette mediche. Forse si può trovare qualcosa nelle farmacie private ma lì la ricetta non serve più che tanto. Si paga tutto ed i prezzi sono proibitivi per la stragrande maggioranza della popolazione. Esistono anche i buoni per olio, farina, zucchero, per garantire alle famiglie i viveri di prima necessità, ma sono validi per un certo numero di negozi dove sono introvabili già da settimane. Non rimane che rivolgersi al mercato nero e alla quotidiana, continua e stressante ricerca di cibo. Ormai è una prassi convalidata mettersi in fila ordinatamente e pazientemente perché la fila è il segno che comunque qualcosa si vende e questo è di per sé sufficiente. La fila per il pane inizia alle cinque del mattino. Penso che, al contrario di quanto scrivono i nostri giornali, sia poco probabile che la massa degli affamati assalga i negozi: i negozi sono vuoti. Ho visto gli scaffali miseramente riempiti con delle mele, dei cappucci, qualche pacco di pasta e vasetti di senape. Se c'è qualcosa che non manca a Belgrado è la senape! I vasetti in bella vista, distanziati con cura uno dall'altro, riempiono il vuoto delle scansie quasi volendo rincorrere un gioco estetico. Ma tutti sanno che non si tratta di un gioco. E' il collasso del commercio, del mercato sociale e statale. Solo quello privato e il mercato nero riescono a offrire la merce, a realizzare il profitto, a ingrossare il budget delle mafie locali.

Totale sfiducia
È difficile sentirsi a proprio agio in una città ridotta alla sua stessa ombra, devastata socialmente e strutturalmente (sono numerosi i cantieri dove i lavori sono bloccati e le gru ferme con la loro immobile imponenza contribuiscono alla visione spettrale delle periferie ma anche delle zone centrali: vedi per es. i lavori iniziati per il museo della Rivoluzione ... ). Dai grandi boulevards non è solo svanito nel nulla il frenetico scorrere del traffico; è sparita la spensieratezza, la gioventù, la musica, la canzone, è sparita quella certa Belgrado autentica che seguiva i ritmi lenti e goliardici dei vecchi caffè, le «Kafane». I ristorantini con giardino o quelli tipici lungo il Danubio, a Zemun, sono vuoti ... Non vi è più nessuno che li frequenti. Non ci sono i soldi ma non c'è neanche la gran voglia di socializzare. Tutto si ferma a livello del privato perché bisogna assicurarsi la sopravvivenza. Gli incontri avvengono in strada e si riducono a: «Come te la cavi?» «Come tutti gli altri...» La gioventù è quasi assente, migliaia di loro se ne sono andati in tempo e oggi si trovano in tutto il mondo. Sono andati per costruirsi una vita lontana dalla miseria. Mi parlano delle grandi comunità di belgradesi nel Sud Africa, nello Sri Lanka, in Australia, in Francia, nel Canada ... Chissà in quali comunità si integreranno. O si arroccheranno attorno alla loro identità nazionale? Serberanno rancore verso la loro Patria? Sapranno distinguere? Proveranno odio per quelli che a loro sono stati presentati come nemici e che magari incontreranno nelle sconosciute contrade del mondo a faticare a rifarsi la vita, anche loro in una fuga senza ritorno? Saranno vincitori nella vita o saranno sempre e comunque perdenti in quelle terre così lontane dell'acre e melmoso odore del Danubio e della Sava, del Ratnicko ostrvo, del Terazije (6) ... Nessuno parla di questi ragazzi che se ne sono andati, ma il silenzio pesa come la vergogna e come la pena che portano tutti quelli che sono rimasti. Eppure, essi sanno che era giusto, era razionale, era necessario andarsene. Almeno i più vitali, i migliori di loro hanno dimostrato il rifiuto di partecipare alla carneficina loro imposta, il rifiuto di sottostare alla dominazione totalitaria e totalizzante della politica di uno Stato aggressivo e nazionalista. Se ne sono andati non in quanto vigliacchi, ma perché ricchi di una dimensione di umanità che oggi è così poco richiesta nei Balcani (O forse perché ricchi e lo potevano fare?). Per molti altri ragazzi rimasti, l'incertezza del domani non era mai tanto presente e palpabile come lo è ora. Non era mai stato tanto difficile proporre modelli di vita onesta, valorizzare la fatica del lavoro e dello studio, la legalità, la prospettiva di un domani migliore. C'è ribellione a questa devastante situazione sociale e politica? Forse non ho frequentato le persone «giuste», ma quello che ho notato ovunque è apatia, depressione, accettazione della tragedia come di un flagello naturale. Il settimanale belgradese «NIN» che con la rubrica «Forum del NIN» ha da tempo collaudato il sondaggio dell'opinione pubblica, riporta dati interessanti risultanti dall'ultima inchiesta (8 ottobre 1993):
- la maggioranza degli intervistati esprime la totale sfiducia verso tutti i politici. «Non ho fiducia in nessun uomo politico» - 63% delle risposte. Ma il resto degli intervistati dà la massima fiducia a Milosevic (7), segue Vojislav Seselj (che scende addirittura dal 15 al 8%) ed altri tre leaders della cosiddetta opposizione democratica (8), di cui Vuk Draskovic occupa l'ultima ma solida posizione (6%). Quindi, dietro la grande sfiducia, l'opinione pubblica praticamente riproduce il quadro politico del potere. Non ci sono nuovi sbocchi: la luce della stella di Milosevic si sta offuscando perché le promesse non sono state mantenute, perché il fronte in Bosnia non si è chiuso vittoriosamente, perché i confini con la Croazia non sono definiti, perché gli accordi di pace non sono stati firmati ... ma basta apparire accanto a Owen e Stoltenberg sulle portaerei, basta partecipare a Ginevra o altrove alle trattative per la pace in Bosnia, basta ricevere in visita i membri del parlamento giapponese o basta inventare un nuovo nemico (questa volta Seselj) per far risplendere la propria immagine di una luce nuova. L'opposizione radicale (che è la destra estrema di Seselj) batte sempre sulla stessa carta dell'intransigente nazionalismo, della necessità di continuare la guerra. Essa non è e non può rappresentare una prospettiva per il popolo serbo, per i cittadini ridotti alla fame e alla miseria (9). Anzi questa prospettiva si annuncia come «il peggio» dopo «il male» e sono in molti che non distinguono i due concetti, non vedono la loro sostanziale differenza. Per cui l'ultimo contrasto verificatosi ai vertici dei due partiti, SPS - il Partito Socialista Serbo di Milosevic e SRS - il Partito Radicale Serbo di Seselj, da molti non viene percepito come un vero scontro o una vera e propria scissione politica. Piuttosto, ciò viene identificato come una manovra politica per la lotta di potere. La reazione tipica espressa da molti anche nell'inchiesta di «NIN» è: «Ora non hanno più bisogno di lui (Seselj) e per questo se ne lavano le mani (Milosevic ed il partito SPS) e lo vogliono estradare come criminale di guerra». C'è un altro dato importante che risulta dal sondaggio di «NIN»: un terzo della popolazione è molto sensibile alla fascistizzazione della scena politica nazionale e vi vede un gran pericolo per la Serbia, l'altro terzo lo è in modo moderato e infine l'ultimo terzo è insensibile o addirittura respinge una tale ipotesi. Proprio quest'ultimo terzo della popolazione rappresenta quella fascia da dove si reclutano facilmente i giovani volontari fascistoidi pronti a continuare la guerra.
Il noto sociologo Nebojsa Popov, commentando quello che accadeva recentemente nella Skupstina (il Parlamento serbo [10]), lo aveva paragonato al rodeo. Rodeo, dove chi cavalca usa di tutto per mantenersi in sella, quindi i colpi bassi per mantenersi al potere e far cadere il rivale sono all'ordine del giorno. Ciononostante, Popov crede che qualcosa di positivo possa emergere sullo scenario politico serbo, ma «questo naturalmente non dipende da Milosevic. Dipende dall'opposizione che dovrebbe coordinarsi di più». Anche se in questo momento non è possibile aspettarsi l'unità dell'opposizione democratica, il più stretto coordinamento delle azioni politiche è realizzabile ed auspicabile. «Non ha nessuna importanza il nome ed il cognome del presidente», afferma Popov, «non ha importanza che la nostra gente entri nel governo, ha importanza che si torni alla vita normale, civile, al progresso, che la gente viva del proprio lavoro, che finisca la guerra. Ha importanza che si possa comunicare, collaborare, decidere. E per questo bisogna mediare e continuare con l'impegno politico.»

l) La iperinflazione in Jugoslavia è un fenomeno che supera di gran lunga le forme dell'inflazione presenti negli stati sud-americani, ma anche quella storicamente famosa della Repubblica di Weimar. La Jugoslavia di Milosevic ha battuto ogni record di distruzione monetaria. In uno dei suoi recenti «reportages» dalla Serbia, Paolo Rumiz scrive: «Gli zeri sono il segno della smaterializzazione del dinaro, ridotto a una finzione monetaria. Qualche esempio. La sera del 14 dicembre il marco tedesco vale un miliardo e duecento milioni. La mattina dopo due miliardi e cento. Alle tre del pomeriggio tre miliardi. La sera dello stesso giorno quattro miliardi. Due giorni dopo, la sera del 17, dieci miliardi. La sera del 18, vigilia elettorale, quindici miliardi. Grosso modo, il mille per cento in soli quattro giorni». Il Piccolo, 19 dicembre.

2) La Conferenza internazionale «Danubio, fiume della cooperazione», ormai al Vanno di vita è organizzata dal Forum scientifico di Belgrado, un'organizzazione indipendente, non governativa che raggruppa scienziati e uomini di cultura di diverso profilo e di diversi paesi, cercando di sviluppare la cooperazione trai paesi danubiani e quelli limitrofi.

3) Dalla mia permanenza in Serbia (ottobre '93) fino a oggi, diversi zeri sono stati tolti dalle banconote e così si è passati dai miliardi ai milioni senza però incidere sulla reale vita socio-economica del paese. La recente apparizione della banconota da 500 miliardi ne è la conferma. R. Cianfanelli, parlando della svalutazione (Corriere della Sera, 29 dicembre, 1993), porta l'esempio del costo di una pizza che in pochi giorni passa da 12 miliardi a 160, ma dal momento della pubblicazione del suo articolo a oggi, la strepitosa polverizzazione del denaro è andata avanti. Per cui, tutte le cifre riportate da me in questo articolo sono solo indicative, cioè erano valide per quell'ora di quel giorno.

4) Come già detto nella nota precedente, ogni quantificazione dell'inflazione corrisponde solo al momento in cui il dato viene individuato, per cui i dati sopra corrispondono alla situazione di ottobre. Secondo gli ultimi dati, l'inflazione complessiva nel paese è del 250.000% in dicembre e per tutto il 1993 corrisponde a 250 miliardi!

5) Il gruppo «Egzat» fu fondato a Zagabria da Picelj, Richter e Srnec negli anni '50, e rappresentò l'avanguardia del pensiero astratto nella concezione dell'arte. Ebbe un ruolo importante nella formazione delle nuove generazioni di pittori, scultori, architetti ed urbanisti.

6) I luoghi frequentatissimi e cari ai giovani belgradesi.

7) Le recenti elezioni del 19 dicembre in Jugoslavia hanno confermato in pieno il quadro riportato dal sondaggio di «NIN», cioè, l'appoggio incondizionato al presidente Milosevic. Il Partito Socialista di Milosevic stravince e passa da 101 seggi a 122, garantendogli così ancora maggior spazio per manovre politiche e decisionali.

8) L'espressione «opposizione democratica» si riferisce di solito ai partiti che non sono al governo e si oppongono alla leadership di Milosevic e del Partito Socialista Serbo. Ma questi partiti non si differenziano troppo tra loro e sono tutti, chi più, chi meno, legati al programma basato sul nazionalismo serbo. Per cui riteniamo che non si può parlare di una vera e propria opposizione democratica, termine che sarebbe più appropriato ai gruppi indipendenti di tutti coloro che non formano i partiti, ma tramite l'impegno politico e sociale, cercano di mantenere vivo il pluralismo politico e culturale in Serbia. Come esempio qui possiamo citare «Beogradski krug» (Il circolo belgradese) e l'associazione «Donne in nero».

9) Con le ultime votazioni del 19 dicembre, l'elettorato serbo ha dimostrato di capire la strategia suicida del Partito Radicale serbo di Seselj, praticamente il partito neofascista serbo. Forse anche dallo scontro recente tra Milosevic e Seselj (quest'ultimo viene ritenuto da molti nient'altro che il braccio operativo del Partito socialista che ha praticamente consentito a Milosevic di apparire con le mani pulite), l'elettore medio ha voluto distanziarsi apertamente dal marciume politico che è venuto fuori dalla campagna elettorale: dalle stragi su commissione, dalle razzie mascherate da pulizia etnica, dalle speculazioni sugli aiuti umanitari etc. etc. V. Seselj è il grande perdente di queste elezioni, ma il distacco totale dai criminali di guerra si è verificato nel caso del «capitano» Arcan, alias Zeljko Raznjatovic, il noto criminale e profittatore di guerra, ricercato in 6 paesi. Il suo tentativo di proporsi politicamente è fallito miseramente alle ultime elezioni.

10) dopo lo scontro aperto con Seselj ed il Partito Radicale e la minaccia della spaccatura sulla scena politica in Serbia, il presidente Milosevic, il 20 ottobre 1993, scioglie il Parlamento (Skupstina) e indice le nuove elezioni per il 19 dicembre.