Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 23 nr. 198
marzo 1993


Rivista Anarchica Online

Eretici ma anarchici
di Maria Matteo

Enrico Baj, pittore noto per le proprie simpatie libertarie e caro agli anarchici per opere coraggiose come "I funerali dell'anarchico Pinelli", è entrato a far parte della giunta comunale di Varese, monocolore leghista con appoggio pidiessino. Sebbene l'ampia fama del personaggio abbia fatto sì che i maggiori organi d'informazione dessero gran rilievo alla notizia, questo non pare un buon motivo perché anche la stampa anarchica se ne occupi.
Tutti possono cambiare idea e che ciò capiti ad un grande pittore anziché ad un modesto imbianchino non ha poi molta importanza. I compagni di strada di oggi non lo saranno necessariamente anche domani, mentre altri, attualmente lontani dalle convinzioni e dalle tradizioni anarchiche, forse si avvicineranno. Non è una novità e non è nemmeno un problema.
Il fatto è che Baj, almeno a giudicare dalle dichiarazioni rese ai giornali, non ha affatto cambiato idea, poiché motiva la propria decisione sulla base di un'immutata sensibilità libertaria. E questa se non è una novità assoluta è certo un problema. Si potrebbe forse lavarsene le mani, limitandosi a sottolineare l'incoerenza di tale scelta, la responsabilità della quale spetta in ogni caso solo a chi l'ha fatta.
L'anarchismo non è una fede dogmatica ed il movimento anarchico non è né una chiesa né un partito, per cui, da anarchica, mi guarderò bene dal lanciare anatemi o pronunciare scomuniche. Nondimeno quest'episodio non può essere ignorato, poiché assume un valore in qualche modo paradigmatico. Non è certo la prima volta che anarchici e libertari decidono di aderire o comunque sostenere questi e quelli, magari diversissimi tra di loro ma di volta in volta giudicati, per un verso o per un altro vicini all'area libertaria per contenuti e metodologie d'intervento.
Si badi bene: quel che sto qui ponendo in discussione non è la legittima e non di rado necessaria attitudine ad ampliare ed approfondire le proprie possibilità d'azione politica e sociale in virtù di alleanze più o meno durature. L'immagine dell'anarchico solo contro tutto e contro tutti per un mondo migliore mi pare non solo poco realistica ma anche un po' sgradevole.
L'aspirazione ad una radicale trasformazione dei valori e dei rapporti sociali che permea tutta la tradizione anarchica ha conosciuto i propri momenti più fecondi solo quando ha saputo entrare in sintonia con analoghe ma più ampie tensioni presenti nell'ambito sociale.

Aristocrazia della sfiga
È doloroso constatare che non di rado l'immagine grossolana ma efficace dell'anarchico tratteggiata dal potere sia stata fatta propria dagli anarchici stessi. Una figura a mezzo tra l'eroe nero di certi feuilleton ed il sognatore illuso e senza prospettive che non sa ma neppure vuole uscire da una condizione di marginalità vissuta un po' come destino, un po' come scelta. L'orgoglio per la propria diversità assume valenza positiva se si inserisce in un progetto politico ed esistenziale capace di forgiare identità forti, tanto più aperte al dialogo quanto più consce della valenza universale della propria proposta. Al contrario la rivendicazione della marginalità, l'esaltazione del ghetto precludono ogni possibilità di comunicazione, creando un'aristocrazia della sfiga eticamente non irreprensibile e politicamente disastrosa.
Il rifiuto di atteggiamenti stolidamente elitistici, la disponibilità al confronto, nonché la ricerca di possibili convergenze non può tuttavia tradursi nell'acritica accettazione di ogni concezione, che mostri d'avere dei punti di contatto con l'anarchismo. Se lo schizzinoso che giudica a priori immangiabile e schifosa una vivanda appare un po' ottuso, parimenti chi dopo un primo assaggio si intestardisce a mangiare una pessima pietanza è certo destinato all'indigestione.
Ciò vale non solo per chi come Baj ha subìto il fascino della retorica anticentralista della Lega Nord, ma anche per quanti, ben più numerosi, oggi come in passato hanno da anarchici aderito o sostenuto formazioni marxiste in nome della lotta di classe. Per non parlare di quelli che scorgono un compagno di strada in chiunque adotti il loro metodo: è la mistica dell'azione diretta, per cui la condivisione di una qualunque pratica - occupare le case o tirare i pomodori ai sindacalisti ufficiali - diviene più importante di qualsiasi sintonia politica più generale. Tutti costoro, pur con approcci radicalmente divergenti, palesano tuttavia un atteggiamento comune: il porre in primo piano la negazione dell'assetto vigente anziché l'elaborazione ed il perseguimento di una progettualità politica autonoma. In tale prospettiva anticapitalismo, rifiuto di autorità centrale, lotta contro la proprietà privata, opposizione alla politica dei sindacati e quant'altro, divengono condizioni sufficienti per incontri ed alleanze altrimenti impensabili. E' come se un gruppo di appassionati di calcio decidesse di costituire un club non per sostenere la propria squadra ma per combattere gli amanti di un altro sport, finendo così col dimenticare o comunque porre in secondo piano il proprio interesse primario. Si può negare l'esistente per svariati motivi e per diverse finalità non necessariamente vicine o in qualche modo compatibili con l'anarchismo. Insistere sul momento distruttivo della propria politica non solo induce a viaggiare in dubbia compagnia, ma soprattutto rimanda ad un futuro dai contorni sfumati la concretizzazione di momenti magari limitati ma immediati di autogestione. Di fronte ad un'umanità sempre più laica e disincantata è vieppiù indispensabile un intenso lavoro di sperimentazione e confronto i cui risultati siano valutabili nel qui ed ora.

Scenario in rapida evoluzione
Nessuno dubita che quelli che viviamo siano tempi grami, segnati da una crisi profonda della sinistra da cui l'anarchismo non può certo dirsi immune. La fine delle dittature bolsceviche all'est, che pure gli anarchici hanno salutato con gioia, non ha aperto spazi di libertà ma ha visto il risorgere spaventoso di nazionalismi e particolarismi, che tutti pensavano superati da tempo. Il bisogno di recuperare un'identità forte ha generato intolleranza fanatismo, rifiuto dell'altro. Come in un gioco di specchi che moltiplicano, dilatano e contorcono una stessa immagine, rivendicazioni etniche e nazionalistiche spesso di chiaro stampo razzista e fascista assumono un ruolo sempre maggiore anche sulla scena politica dell'occidente capitalistico.
Persino l'abbattimento delle frontiere tra i 72 paesi aderenti alla CEE è avvenuto quasi in sordina subissato dal clamore della crisi monetaria. Lungi dall'inaugurare un'epoca di solidarietà transnazionale, il primo passo verso l'unione europea è stato accompagnato dall'inasprirsi quasi generalizzato delle norme contro l'immigrazione. Il progetto di unione internazionale degli oppressi degli sfruttati, utopia comune di tutta la sinistra, lungi dall'affermarsi trova sempre meno spazi. E' duro ma necessario constatare che la fine del socialismo di stato, del comunismo dei gulag anziché aprire nuove possibilità al socialismo libertario ha finito col trascinare nella propria rovina la speranza stessa in una società di liberi e uguali.
Le opulente società del nord industrializzato e capitalista, sia per chi ne fa parte sia per gli esclusi del sud, forse non incarnano il migliore dei mondi possibili, ma sicuramente il meno peggiore in cui sia dato vivere. Nel bene e nel male si è chiusa un'epoca.
Abbiamo oggi di fronte uno scenario in rapida evoluzione, impensabile sino a pochissimi anni fa, che impone uno sforzo interpretativo non indifferente. E' iniziata una partita nuova in cui capacità e possibilità dei giocatori in campo non sono ancora chiare ma che certo concede uno scarso margine di bluff a chi non avrà il coraggio di rischiare. Senza indulgere ad un ottimismo di maniera mi pare che i libertari abbiano delle chances, purché sappiano scegliere le proprie carte con integrità e spregiudicatezza. Non paia l'accostamento assurdo o paradossale, poiché se l'anarchismo non può prescindere dal nucleo assiologico, dalla costellazione di valori che lo fonda e lo costituisce, non può parimenti esimersi dal ripensare alla luce dell'oggi le proprie strategie.
D'altro canto, sebbene non sia purtroppo rara nel movimento anarchico la tendenza a cristallizzare alcune teorie e pratiche al punto di considerarle intangibili ed indiscutibili, il radicale antidogmatismo, questo sì ineliminabile dall'anarchismo, rende facile mantenere un vigile ed agile spirito critico. Con buona pace di coloro che pretendono di mummificare Bakunin e Malatesta, i quali non ne dubito, di tanto in tanto si rivoltano nella tomba.
Proprio Malatesta a chi l'accusò di aver modificato le proprie idee rispose: "sono sempre stato revisionista, specie con me stesso". La vitalità della proposta libertaria si evidenzia nell'attitudine a porre costantemente in discussione i propri assiomi, nell'apertura al dialogo, nella disponibilità alla ricerca di modelli interpretativi nuovi. E' un percorso che non può che essere segnato da dubbi e incertezze e magari anche da errori, ma è un percorso obbligato se non si vuole scivolare in un conservatorismo sterile.

Sull'arca di Bossi
Oggi ciò pare più che mai vero, specie in Italia. Assistiamo infatti ad un rapido quanto imprevisto putrefarsi del quadro politico creatosi e consolidatosi in quasi cinquant'anni di repubblica, ed il sistema, pesantemente delegittimato, non sembra in grado di potersi rifondare. I progetti di riforma istituzionale, che si riducono in definitiva ad una trasformazione del sistema elettorale da proporzionale a maggioritario, non possono che contribuire ad aumentare il già enorme divario tra la società civile e chi pretende di rappresentarla e governarla. D'altra parte la sinistra tradizionale sia nella sua versione post-comunista pidiessina che in quella neo-comunista rifondata, incapace di autentico rinnovamento e priva di progettualità si barcamena come può, trincerandosi in patetici appelli alla riforma morale. Le schegge impazzite di questa sinistra senza prospettive, i Savelli, gli Scalzone, i De Marchi, pur di continuare a sognare diluvi rivoluzionari, si imbarcano sull'arca di Bossi.
Un Bossi che, fatti i primi conti, mostra di essere meno stupido di quel che si pensava. Relegati, infatti, i discorsi eversivi alla retorica populista dei comizi, il senatore si è rimboccato le maniche e dalla sua roccaforte romana si è messo al lavoro per dar vita ai primi governi locali leghisti. Evidentemente Bossi è ben consapevole che il nucleo forte del proprio elettorato - artigiani, commercianti, piccoli imprenditori - è un'area conservatrice ma moderata, interessata al portafoglio e poco incline ad avventurismi di sorta. Alla faccia di quegli orfanelli della sinistra che han pensato bene di sostituire la falce e martello con le spadone di Alberto da Giussano.
Per non parlare della scarsa lungimiranza di chi crede nelle potenzialità libertarie d'una banda di bottegai che agitano la bandiera del federalismo per salvaguardare e consolidare i propri privilegi.
L'adozione di regole formali che pongano alla ribalta le comunità locali, svincolandole sostanzialmente dal controllo di un'autorità centrale, è un'ipotesi affascinante spesso presente nella riflessione anarchica. Regole libertarie consentono ai cittadini un più immediato accesso alle decisioni collettive, senza firmare assurde deleghe in bianco.
Ma decentramento e federalismo non sono in alcun modo garanzia di un ordine sociale che, oltre ovviamente la libertà, privilegi la giustizia e lo spirito di solidarietà. L'aspirazione leghista al federalismo, il voler recidere i legami con Roma, lungi dall'essere animata da una sensibilità libertaria, esprime la volontà di sganciare dal proprio treno di benestanti le carrozze dei parenti poveri. D'altra parte solo in una concezione ingenuamente manicheistica della vita associata, si può ritenere che sul versante opposto d'un assetto istituzionale illibertario si collochi, linda e innocente, la società civile. Al contrario Bossi ci insegna che la prefigurazione di un sistema acentrico, federalista può benissimo andare di pari passo con atteggiamenti di intolleranza, di egoistico rifiuto del dialogo, della collaborazione, della solidarietà.
Il quadro qui grossolanamente tratteggiato impone ben altre sfide ai libertari che, pur consapevoli dei propri limiti e difficoltà, vogliano continuare a conficcare spine ben acuminate al fianco del sistema. A tal fine è necessario che lo spirito critico, la continua attitudine revisionista, il costante ripensamento di teorie e metodi si accompagni alla salda consapevolezza dell'intangibilità del nocciolo duro dell'anarchismo, del suo nucleo ideale. Oggi più che mai occorre essere eretici, oggi più che mai occorre essere anarchici.