Rivista Anarchica Online
A nous la libertè diario a cura di Felice Accame
La morale della faccia
La fisiognomica come scienza ha vissuto di alti e di bassi: a certi momenti di gran popolarità
è stata costretta
dall'ideologia corrente a momenti più oscuri. Presumibilmente ci si indaffarò perfino Aristotele,
la ritroviamo
in Quintiliano e in Plinio, rinvigorisce in pieno Rinascimento con il Della Porta, viene teorizzata in forma
esplicita da Lavater e da Gall - che ne ricava la sua frenologia - nella seconda metà del Settecento,
incappa
quindi in Lombroso e sparisce per un bel po'. Ai nostri giorni, una sua eredità alla lontana - sotto
forma di moduli di cui si comporrebbe il sistema nervoso
centrale - riappare nelle teorie di Fodor. Avendo ambito, questa fisiognomica, a dedurre i caratteri della persona
dai tratti del suo viso, non è difficile capire come possa esser venuta comoda ai razzismi più
incalliti e
inestirpabili; e tuttavia non è neppure difficile capire come, magari non nella forma presuntuosa di
scienza, la
sua pratica accompagni più o meno quotidianamente l'uomo socializzato - simpatie o antipatie al primo
incontro
stanno a dimostrarlo. Tutta la storia del cinema andrebbe rivisitata come fosse un'enciclopedia fisiognomica:
ci sono o non ci sono
tratti che accomunano i buoni, gli eroi, i traditori, la bella fedele e la bella infedele? Cercarli come universali
di un improbabile spirito registico, sarebbe privo di senso, ma cercarli, invece, come funzioni di determinate
opzioni ideologiche non sarebbe una perdita di tempo. La rappresentazione dei caratteri è, anch'essa,
un
processo mentale, singolare e collettivo, basato sull'implicita condivisione dei valori. L'esempio dei cattivi
può
servire facilmente alla mia argomentazione: c'è stato un tempo del cattivo scuro ed è poi venuto
un tempo -
diciamolo post-sessantottesco - dei cattivi chiari. Alan Ladd non farebbe più l'eroica giubba rossa, ma
lo
spacciatore di droga o il maniaco psicopatico. Nel Lynch di Cuore Selvaggio, in
omaggio ai pruriti americani
d'oggidì, il cattivo ha i denti guasti, nello stesso senso in cui, anni prima, lo "squalo" cattivissimo della
prima
edizione, in 007, portava una protesi d'acciaio: ma si tratta di un arricchimento dell'analisi. Dai neri e torvi,
siamo passati ai biondicci, occhi chiari, in odor di calvizie e con fronti a bauletto - come il padre rigorosamente
conservatore ne L'attimo fuggente. Con quella sindrome fisiologica, oggi, al massimo si fa lo
scemo (o il cattivo-scemo, come si addice, appunto, a quel tipo di cinema in cui il cattivo, pur con tutti i
vantaggi di questo mondo,
perde e perde da scemo). Il cinema, in quanto forma di rappresentazione anche e soprattutto visiva,
consapevolmente o meno - alimentando sottili vene di razzismo - si presta ad instaurare una tradizione di
accoppiamenti strutturali fra etica e corporeità. Ovvio, allora, che possa capitare qualcuno che, su
questo processo di stereotipizzazione, possa speculare, o per
riderci sopra o per ingannare intelligentemente lo spettatore. A questo secondo caso ascriverei Innocenza
colposa di Simon Moore, giallo dignitosissimo in tutto tranne che nell'insensato titolo italiano
(Under Suspicion,
in verità). Con un briciolo di trama da raccontare e con una buona sceneggiatura che segmenta l'unitario
e il
trasparente nel molteplice e nell'opaco, il regista gioca con abilità la carta del rapporto fra volti e
sentimenti ed
ottiene quel sorprendente che si conviene necessario al genere. Così allo spettatore tocca il non facile
compito
di scrollarsi di dosso la simpatia o per il poveraccio segnato da una sorte avversa, o per il poliziotto intelligente,
caparbio, umano, leale e integerrimo - il tipico detective che non si fida della superficiale evidenza -,
nonché
l'antipatia per il poliziotto cattivo ed ebete, forse corrotto e sicuramente corruttibile con poco - il tipico detective
che si ferma stolidamente ai "fatti". Se le facce son un programma, Innocenza colposa ne rovescia
con freddezza
il corso. Già per questo il film non andrebbe perso. Se Lombroso fosse ancora fra noi e andasse al
cinema, ne
uscirebbe con un certo senso di malessere: per una volta, la Ragione e la probità - scherzi del destino
o dei
cromosomi - stanno tutte nei tratti sbagliati.
P.S.: Non senza preoccupazione ho captato la configurazione del cattivo moderno specificata gradualmente
e
confermata, film dopo film, in pelo biondiccio, calvizie dilagante, occhi chiari e fronte a bauletto. Soprattutto
dopo essermi dato un'occhiata allo specchio.
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