Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 22 nr. 193
estate 1992


Rivista Anarchica Online

A nous la libertè
diario a cura di Felice Accame

La morale della faccia

La fisiognomica come scienza ha vissuto di alti e di bassi: a certi momenti di gran popolarità è stata costretta dall'ideologia corrente a momenti più oscuri. Presumibilmente ci si indaffarò perfino Aristotele, la ritroviamo in Quintiliano e in Plinio, rinvigorisce in pieno Rinascimento con il Della Porta, viene teorizzata in forma esplicita da Lavater e da Gall - che ne ricava la sua frenologia - nella seconda metà del Settecento, incappa quindi in Lombroso e sparisce per un bel po'.
Ai nostri giorni, una sua eredità alla lontana - sotto forma di moduli di cui si comporrebbe il sistema nervoso centrale - riappare nelle teorie di Fodor. Avendo ambito, questa fisiognomica, a dedurre i caratteri della persona dai tratti del suo viso, non è difficile capire come possa esser venuta comoda ai razzismi più incalliti e inestirpabili; e tuttavia non è neppure difficile capire come, magari non nella forma presuntuosa di scienza, la sua pratica accompagni più o meno quotidianamente l'uomo socializzato - simpatie o antipatie al primo incontro stanno a dimostrarlo.
Tutta la storia del cinema andrebbe rivisitata come fosse un'enciclopedia fisiognomica: ci sono o non ci sono tratti che accomunano i buoni, gli eroi, i traditori, la bella fedele e la bella infedele? Cercarli come universali di un improbabile spirito registico, sarebbe privo di senso, ma cercarli, invece, come funzioni di determinate opzioni ideologiche non sarebbe una perdita di tempo. La rappresentazione dei caratteri è, anch'essa, un processo mentale, singolare e collettivo, basato sull'implicita condivisione dei valori. L'esempio dei cattivi può servire facilmente alla mia argomentazione: c'è stato un tempo del cattivo scuro ed è poi venuto un tempo - diciamolo post-sessantottesco - dei cattivi chiari. Alan Ladd non farebbe più l'eroica giubba rossa, ma lo spacciatore di droga o il maniaco psicopatico. Nel Lynch di Cuore Selvaggio, in omaggio ai pruriti americani d'oggidì, il cattivo ha i denti guasti, nello stesso senso in cui, anni prima, lo "squalo" cattivissimo della prima edizione, in 007, portava una protesi d'acciaio: ma si tratta di un arricchimento dell'analisi. Dai neri e torvi, siamo passati ai biondicci, occhi chiari, in odor di calvizie e con fronti a bauletto - come il padre rigorosamente conservatore ne L'attimo fuggente. Con quella sindrome fisiologica, oggi, al massimo si fa lo scemo (o il cattivo-scemo, come si addice, appunto, a quel tipo di cinema in cui il cattivo, pur con tutti i vantaggi di questo mondo, perde e perde da scemo). Il cinema, in quanto forma di rappresentazione anche e soprattutto visiva, consapevolmente o meno - alimentando sottili vene di razzismo - si presta ad instaurare una tradizione di accoppiamenti strutturali fra etica e corporeità.
Ovvio, allora, che possa capitare qualcuno che, su questo processo di stereotipizzazione, possa speculare, o per riderci sopra o per ingannare intelligentemente lo spettatore. A questo secondo caso ascriverei Innocenza colposa di Simon Moore, giallo dignitosissimo in tutto tranne che nell'insensato titolo italiano (Under Suspicion, in verità). Con un briciolo di trama da raccontare e con una buona sceneggiatura che segmenta l'unitario e il trasparente nel molteplice e nell'opaco, il regista gioca con abilità la carta del rapporto fra volti e sentimenti ed ottiene quel sorprendente che si conviene necessario al genere. Così allo spettatore tocca il non facile compito di scrollarsi di dosso la simpatia o per il poveraccio segnato da una sorte avversa, o per il poliziotto intelligente, caparbio, umano, leale e integerrimo - il tipico detective che non si fida della superficiale evidenza -, nonché l'antipatia per il poliziotto cattivo ed ebete, forse corrotto e sicuramente corruttibile con poco - il tipico detective che si ferma stolidamente ai "fatti". Se le facce son un programma, Innocenza colposa ne rovescia con freddezza il corso. Già per questo il film non andrebbe perso. Se Lombroso fosse ancora fra noi e andasse al cinema, ne uscirebbe con un certo senso di malessere: per una volta, la Ragione e la probità - scherzi del destino o dei cromosomi - stanno tutte nei tratti sbagliati.

P.S.: Non senza preoccupazione ho captato la configurazione del cattivo moderno specificata gradualmente e confermata, film dopo film, in pelo biondiccio, calvizie dilagante, occhi chiari e fronte a bauletto. Soprattutto dopo essermi dato un'occhiata allo specchio.