Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 22 nr. 193
estate 1992


Rivista Anarchica Online

Uno stato nello stato
di Salvo Vaccaro

Salvo Vaccaro, militante anarchico palermitano, analizza gli ultimi attentati mafiosi, le alleanze e le guerre vere e presunte tra lo stato e la mafia. La frantumazione del regime e i giochi di alleanze, l'inconsistenza dell'equazione mafia uguale Antistato.

Cosa Nostra
Controllo del territorio, imposizione di un illegittimo prelievo fiscale o sugli scambi dell'economia locale, capacità di coscrizione permanente di uomini dediti all'offensiva militare. No, non si parla di mafia, bensì, come ci ricordano gli storici, di uno stato in formazione, di un potere che da mera affermazione arbitraria di dominio violento a mezzadria, si vuole emancipare e farsi stato, costruendosi poi nel tempo una patina di legittimità.
Proprio come hanno fatto gli stati moderni, che ai tempi delle prime vittorie erano costituiti, agli occhi dei cittadini dell'epoca, da orde di barbari.
Proprio come oggi la mafia.

Anti-Stato?
No, Cosa Nostra oggi è uno stato nello stato, militarmente indipendente per la scala di operazioni da compiere (non disponendo di flotte aeree o navali visibili, anche se nulla vieta di pensare che domani, dall'attacco al tritolo, possa passare all'attacco aereo o da artiglieria), culturalmente radicato, politicamente tutelato e dipendente in maniera simbolicamente e parassitariamente opportunistica da appalti e business finanziario di riciclaggio, economicamente grato alle leggi che favoriscono la speculazione e l'accumulazione illecita del commercio di droghe (eroina, cocaina).

Ei fu
All'inizio c'è il delitto di Salvo Lima, che scardina violentemente un equilibrio consolidato. L'assassinio dell'esponente politico democristiano andreottiano (a questo punto è relativamente ininfluente sapere se era o meno direttamente contiguo o colluso con la mafia, simbolicamente era il perno autorevole di un equilibrio politico di alleanza tra i settori del regime di stato e Cosa Nostra) segna l'apertura di una fase probabilmente emancipativa di Cosa Nostra dalle mediazioni politiche. Ma segna anche la saldatura delle strategie mafiose (vendicative, certamente, ma la vendetta non è una risorsa strategica) con quelle forze ugualmente occulte che mirano a spazzare via un regime di governo quarantennale per sostituirlo con un altro più autoritario, più "peronista", in grado di rimpiazzare un ceto politico screditato sulla via dell'estinzione anagrafica, di assicurarsi l'ingresso dell'Italia nel benessere del "nord" del mondo (al limite sacrificando pezzi di territorio, di popolazioni e di forme economiche relegate ai livelli del "sud" del pianeta) e di candidarsi infine alla guida di un nuovo regime altrettanto duraturo.

Millenovecentottantanove
Data cruciale, e non solo in Europa centrale. Segna la scomparsa di un'ideologia rarefatta - il comunismo - che delimitava il perimetro simbolico di un regime. Crollato il paletto che recingeva uno spazio mentale che fungeva da baluardo, si sfalda tutto un sistema immaginario sul quale si regge il regime concreto. Ma c'è un altro elemento che finisce in quei mesi: la resistenza partigiana come mito fondante della repubblica e dei partiti della repubblica.

Bella ciao
L'attacco al movimento partigiano non ha nulla a che vedere con il ristabilimento di verità locali scomode, che sono viziate di parzialità perché decontestualizzate dal tempo storico. L'obiettivo è il mito fondante che i nuovi potentati vogliono spazzare per frastornare i partiti ed eliminare i residui fisici di un'epoca sulla quale un ceto politico ha costruito il proprio potere clientelare. I nuovi potentati sono più giovani, o meglio, intendono cogliere il momento di un inevitabile ricambio generazionale per rifarsi il trucco ed apparire come nuovi, pur provenendo dalle stesse file. Esemplare il perfido Cossiga, che è capofila di una cordata massonica-militare-complottista che balza all'attacco allorquando Gladio viene minacciata.

Viva Di Pietro?
E' banale dire che ciò su cui investiga Di Pietro sono fatti penalmente rilevanti e gravi sui quali occorre premere l'acceleratore. E' altrettanto banale dire che questi fatti erano, come si suol dire, notori da tempo, e che le verità emerse ed emergenti, così come la possibilità di ottenere confessioni, derivano anche dalla presenza di un potere politico potenzialmente alternativo: le Leghe. Ma le coincidenze sospette sono anche altre: le prime mosse di Di Pietro sono possibili quando si rompe, anche lì, un equilibrio, contrassegnato dalla sentenza del Banco Ambrosiano. L'attacco al sistema di potere politico, economico e finanziario, caratterizzato da Craxi, Andreotti, la Fiat e Mediobanca (di cui è autorevole figlioccio Ligresti) è forse una risposta alla sentenza che condanna Gelli & complici

Strategia della tensione
E così, Di Pietro al nord e Cosa Nostra al sud possono essere involontari assi complementari di una strategia della tensione (assassina al sud) che destabilizza un regime già marcio, provocandone per reazione l'ingessamento nonostante le voglie di cambiamento sociali espresse, in referendum ed elezioni, dalla popolazione elettorale. L'interrogativo se a guidare, anche parzialmente, forse a innescare, un processo di tale portata sia una mente raffinata, un progetto stile-piduista, non è peregrino o fantasioso, e colora di tinte assai più fosche anche le sacrosante indagini di Di Pietro e le terribili stragi di Palermo. Che Cosa Nostra possa sospettare di essere braccio armato operativo di altri registi (il che costituisce una delle possibili chiavi di lettura dell'incredibile dichiarazione dell'avv. Fileccia, legale di fiducia del Padrino Totò Riina, che ci tiene a far sapere di essere ancora in sella, a "smentire" evidentemente dubbi e perplessità alimentate chissà come e da chi) assume allora una prospettiva più preoccupante anche per gli equilibri interni di Cosa Nostra che può portare a reazioni a catena ancora più inconsulte ed efferate e, soprattutto, a saldature definitive tra progetti criminali (peraltro già sperimentati nella strage del rapido 904 "Aurora" di qualche anno fa).

Guerra alla mafia
Lo stato dichiarerà guerra alla mafia? da nemico interno la mafia diverrà nemico esterno alla stregua di un Saddam Hussein tale da giustificare operazioni belliche "à la guerre comme à la guerre"? ma con quale credibilità visto che non riesce nemmeno a tutelare i propri servitori migliori? La mafia è questione sociale, politica, economica, culturale prima che militare. Le misure repressive, penali e militari, sono insoddisfacenti - quando non inutili - come dicono gli stessi magistrati inquirenti sacrificati sull'altare di una contrapposizione feroce stato-mafia truccata e ambivalente. Al posto di pigiare l'acceleratore su misure sociali che levino la manovalanza disperata alla mafia, che offrano sussidi alternativi, lavori legali a chi per disperazione accetta un posto nella holding Cosa Nostra S.p.A., al posto di depenalizzare il traffico minuto di droghe, al posto di rinnovati controlli bancari, fiscali, al posto di innovare la normativa degli appalti, ebbene la risposta dello stato è cortina fumogena per gli occhi della platea: polizia, carabinieri, addirittura militari di leva. Il punto nodale è l'alleanza mafia-stato, di interi settori dello stato (dei suoi servizi segreti), che ai tempi della Raf, in Germania, fece una guerra sporca (ricordate Stammhein?), come del resto tutte le guerre, anche con ostaggi incarcerati in attesa di giudizio. Pensare che questo stato faccia guerra ad una parte di se stesso è pura fantasia.

Difesa di stato? Difesa da stato!
Ma poi, perché dovremmo delegare allo stato la nostra difesa di inermi cittadini, della società cosiddetta civile ? La frantumazione di un regime di governo ha messo a nudo i guai della delega politica, della delega burocratico-amministrativa; le stragi di Palermo mettono a nudo i guai di una sicurezza sociale affidata a un apparato alleato con chi porta un attacco alla democrazia. Vogliamo continuare a delegare al governo la nostra sicurezza?

Lenzuoli, ma non solo
Eppoi, Cosa Nostra sguazza nel proprio territorio, ci vive letteralmente, fa affari, fa figli, è conosciuta. La guerra è forma di opposizione sociale perdente, come lo è sul piano militare vero e proprio quando uno stato muove guerre su un territorio nemico e socialmente ostile (prima del Vietnam, lo intuì von Clausewitz, al quale si rifece Giap). Riappropriarci in quanto cittadini del territorio in mano al nemico mafioso vuol dire fare guerriglia sociale. Non sarà facile come occupare Palazzo delle Aquile (ma quel Palazzo tutto politico ci appartiene veramente? val la pena rivendicarlo oppure abbandonarlo al suo destino?) ma è sicuramente più incisivo. Far West diranno alcuni, preoccupati sicuramente che una insurrezione sociale contro la mafia travolga anche lo stato legittimo, ormai estraneo alla gente perché identificato con mafia, corruzione, clientelismo, parassitismo, sprechi, ecc. Eppure, come gli spagnoli negli anni trenta, l'autodifesa militante dei cittadini è l'unica strada da costruire per prosciugare il bacino di melma in cui sguazzano a proprio agio i mafiosi (boss e soldati) ed i loro complici (più che infiltrati) nelle istituzioni e nell'apparato dello stato (enti locali, pubblica amministrazione, organi di difesa, "servizi"). Sono tanti, ci illudiamo ancora di una auto-pulizia guidata da un Gorbacev italiano impersonato da un Orlando, un Segni (che sono pur sempre cattolici illuminati figli "degeneri" ma non "alieni" da questo sistema di dominio)? Non solo fiaccolate e cortei, dunque, ma nuclei di difesa territoriale che facciano sentire "estranei" i mafiosi in un ambiente realmente loro "ostile".

Una nuova vera resistenza
La rivolta borghese contro la mafia va estesa a tutto il tessuto sociale delle regioni meridionali, sino a diventare una vera e propria resistenza popolare armata contro Cosa Nostra. Solo una simile direttrice (che non è percorribile da anime pie schizzinose al rischio di "eccessi": ma quando apriranno gli occhi?) può acquistare una forza tale da contrapporsi a un potentato quale la mafia e quei settori dello stato suoi alleati. Se si parla di nuova resistenza, di nuovo risorgimento, si deve essere conseguenti e costruire un processo dal basso che vada dalla metafora simbolica alla pratica diffusa. In caso contrario, gli ipocriti sarebbero responsabili delle nuove, inevitabili vittime predestinate che credono di lottare un conflitto acerrimo da una posizione contro un'altra, mentre cadono stritolati e traditi tra i due fronti fittiziamente contrapposti.