A nous la libertè diario a cura di Felice Accame
Il suono e l'immagine in un unico abbraccio
A Marin Marais, musicista della seconda metà del 1600, capita -
come può capitare a chiunque nutra in cuor
suo un buon etto di rimorsi -, di rammentare le pagine cruciali della propria parabola artistica e sentimentale.
La memoria va a Sainte Colombe, suo riluttante maestro (colui di cui si dice che arricchisse la viola da
gamba
di una settima corda), inimitabile virtuoso ed a sua figlia Madeleine, un giglio di campo che non avrebbe mai
dovuto cogliere in modo così sciatto - tanto sciatto che lei, innamorata davvero, si uccise. Ed ecco che
al
musicista già anziano, sordidamente imbellettato come vuole la gloria dei salotti dorati in cui la sua
fama si è immeritatamente affermata, nel riaffacciarsi degli eventi e prima che l'ombra lo inghiotta,
si apra di quel poco
il cuore. Di quel poco che basta perché ci si racconti di un Maestro il cui rigore artistico non può
che coronare
il rigore morale, di una personcina forte e delicata, di empiti straziati e passioni terse nelle rarefatte stagioni
della campagna francese. Grossomodo sono i temi di quel contegnoso ed irreprensibile narrare che, per la regia
di Alain Corneau, è stato intitolato Tutte le mattine delmondo - film di cui sarei tentato di cantar, così e
semplicemente, le lodi se non mi avesse, invece, suggerito un argomento di riflessione per me, zotico musicale
come pochi, piuttosto inconsueto. Pochi film come questo, infatti, sembran costruiti bell'apposta per indurre a
porsi domande circa il rapporto fra suono ed immagine - nel caso in questione fra il barocco così come
vien
fuori da una viola da gamba e la cultura visiva cui si allude implicitamente con la ricostruzione ambientale o
che si dichiara apertamente con citazioni pittoriche prese alla lettera (per tagli, per il gioco delle ombre e delle
luci, per composizione di elementi, per atteggiamenti della persona in relazione alle sue cose). Domande
inesauribili: se c'è, allora, un modo di sentire (e, prima, di "fare" la sequenza musicale), c'è un
altrettale,
corrispondente, modo di percepire il mondo? Quali segreti tasselli di un'epoca accomunano quelle note e quelle
immagini? Forse che la compostezza di colui che si esprime in suoni è la medesima compostezza di quel
pittore
(personaggio del film o persona dell'epoca che all'iconologia del film ha involontariamente contribuito), del suo
lavoro ultimato, delle stesse immagini che il regista sa "ricreare" per rappresentarci entrambi? Raramente al "noi
ascoltatori" nella storia del cinema, si è saputo accompagnare un "noi osservatori" che condividesse
scienza,
tecnica ed emozioni, tutto un sapere ed un sentire che nella vita non possono se non a caro prezzo di
mistificazione fare a meno l'uno dell'altro. Non so se Corneau ci riesca e dubito perfino che qualcuno possa mai
dirlo con certezza; di certo, a mio avviso, con l'aiuto ammirevole di attori che sembrano riemergere dall'altra
parte del Tempo, ci tenta. Se l'assunto teorico deve basarsi sull'incommensurabilità del dato e
sull'intraducibilità
della memoria (il passato è perso, ogni sua ricostruzione per quanto accurata voglia essere è
l'esercizio di una
consolazione ingannevole; so che la mia percezione è sempre e comunque sostenuta dalle teorie che
in un modo
o nell'altro governano il mio tempo e, dunque, so anche che non potrò mai più confrontarmi
con le percezioni
di chi mi ha preceduto), trovo ugualmente lodevole e molto dignitoso che, sul mero versante dell'arte
cinematografica, ci sia qualcuno che provi a restituirci qualcosa. Il restituito, è vero, potrebbe anche
venir
considerato del tutto "inventato", ma proprio perché si ha trascurato la spicciola cronaca dei cosiddetti
"fatti
riconosciuti come tali" e ci si è, invece, affaccendati intorno all'umano sentire, questo restituito ci
è prezioso.
A maggior ragione quando ci rende conto di un accoppiamento strutturale di rilevante significato per la nostra
storia evolutiva, come quello fra l'udito e la visione: ai loro prodotti il mercato ideologico riserva corsie
differenziate - una storia della musica e una storia della pittura -, ma resta opportunamente innegabile che il
tratteggio da cui provengono risale ad un solo ed unico punto di vista, la consapevolezza
dell'irripetibilità del
quale anima quella fiera ed inesausta compostezza che contrassegna stilisticamente il film.