E' una suora vicentina a scagliare l'accusa. Singolare combinazione: proprio a
Vicenza, vent'anni fa, un giovane
sudanese, seminarista comboniano, denunciò con forza le persecuzioni subite dalla sua gente da parte
del
governo sudanese. Si trattava di Paolino Lukudu, destinato a diventare vescovo di Juba (Sudan
meridionale).
Mentre in quella circostanza le sue dichiarazioni suscitarono indignazione e provocarono slanci di
solidarietà
(ben al di fuori del ristretto ambito vicentino), stavolta le denunce sembrano destinate a svanire nella totale
indifferenza.
Del resto, anche se persecuzioni e massacri subiti dalla minoranza nera del Sudan meridionale sono ricorrenti
da quasi trent'anni, da un pezzo la stampa occidentale sembra volerli ignorare o quasi.
Un appello quindi che rischia di rimanere inascoltato. A lanciarlo è stata suor Lina Costalunga, sorella
del
fondatore dei "Costruttori di Pace", don Mario Costalunga. Definisce l'attuale
situazione del martoriato
paese africano un "Inferno" e aggiunge: "La sola speranza che ci sostiene è che un giorno anche questa
indescrivibile, diabolica situazione terminerà". Come è noto almeno dal 1963
periodicamente riesplode il conflitto (solo in parte di natura etnica e religiosa)
tra la maggioranza araba musulmana del centro-Nord e i Neri (cristiani e animisti) del Sud.
Le speranze di pacificazione, saltuariamente alimentate da accordi (come nel 1972) tra il governo centrale e i
movimenti di Liberazione nel Sudan meridionale, si sono poi rivelate illusorie.
In quell'anno si era avviato un progetto di autonomia (pur nell'ambito dell'unità nazionale) per la
Regione
meridionale (costituita dalle province dell'Alto Nilo, del Bahr el Ghazal e di Equatoria), un'area di 648.854 kmq,
allora abitata da circa quattro milioni di abitanti.
Suor Costalunga racconta di aver preso parte verso la fine di febbraio ad una "marcia silenziosa per la Pace, per
la fine dei massacri". Per tutta risposta il Governo ha ordinato la distruzione di una decina di villaggi della zona
e la deportazione di qualche centinaio di persone.
"La gente, con i suoi pochi stracci, è stata portata lontano decine di km da qualsiasi centro abitato, in
mezzo al
deserto, ospiti solo della sabbia e del sole".
Qui sono rimasti, circondati e sorvegliati dalle forze armate. I soldati hanno impedito non solo ogni tentativo
di fuga ma anche che qualcuno si azzardasse a portare loro aiuto. Secondo le ultime notizie i sopravvissuti
erano ancora là, senza più cibo né acqua, privi di ogni assistenza
medica, in attesa della morte. La suora vicentina racconta come uno dei loro seminaristi fosse riuscito ad entrare
di nascosto nell'immenso campo di concentramento, dopo aver percorso a piedi decine e decine di chilometri.
Vi aveva incontrato solo "cadaveri ambulanti". Ritornato fortunosamente alla missione, ancora a distanza di
giorni quando ne parlava non faceva altro che piangere.
Ha visto bambini, ormai incapaci di reggersi in piedi, con la pelle bianca per la
denutrizione.
Non riusciva a riconoscere nessuno; dovunque solo gente disperata e affamata.
Ha raccontato che la maggior parte dei sopravvissuti se ne stava accovacciata dentro le buche che avevano
scavato per difendersi dal freddo notturno, senza nemmeno una coperta per ricoprirsi.
Molti anziani erano già deceduti, altri erano "lì che guardano il cielo pregando il Signore di
accorciare loro
questi giorni".
E' facile immaginare come quell'immensa "valle di lacrime" si sarà ormai trasformata in un grande
cimitero,
una landa ricoperta di cadaveri, nemmeno considerati degni di sepoltura.
Del resto è di questi giorni la notizia che il Governo sudanese avrebbe già eliminato in questo
modo, con la
deportazione nel deserto, circa 400.000 (quattrocentomila) "squatters" (baraccati abusivi). Era tutta gente
fuggita dal Sud, dalla guerra e rifugiatasi nelle baraccopoli intorno a Khartoum e alle maggiori
città del Sudan.
La denuncia è esplicita: "il Governo sudanese sembra voler distruggere tutti i cristiani del Sudan e lo
sta facendo
con tutte le sue forze. Inutili sono appelli e preghiere da parte delle nostre autorità religiose. Vengono
ricambiati
con insulti e maledizioni'". Al momento dei rastrellamenti molte alunne della missione erano lontane da casa
per la scuola. In questo modo si sono, per ora, salvate ma hanno perso la famiglia.
"Per adesso - continua la suora missionaria - le stiamo aiutando noi ma a scuola terminata non so cosa
sarà di
loro". E conclude: "Noi ci sentiamo schiacciare nell'impossibilità di fare di più di quello che
stiamo facendo
perché siamo tutti sorvegliati dalla Sicurezza e per ogni banalità siamo portati davanti ai giudici,
vescovo
compreso, con sentenze già belle e pronte".