Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 22 nr. 189
marzo 1992


Rivista Anarchica Online

Trasversali?
di Andrea Papi

E' uno dei dati "nuovi" dello stantio panorama politico-elettorale nostrano. Dal patto di Segni al partito degli onesti di a Malfa, fino alla nuova lega proposta da Scalfari. Eppure, nonostante tanto clamore, di nuovo e veramente interessante c'è davvero poco. Quasi niente

La trasversalità in politica è davvero ormai una moda. Ma prima di diventare una moda era già un dato di fatto. Da tempo i partiti tradizionali hanno cessato di essere punti forti di identificazione ideologica, mentre ora si qualificano piuttosto per scelte relative al periodo delle segreterie di turno. In altre parole non sono più da tempo poli aggregativi con la funzione organizzata di realizzare idee forza, che ne facevano la vera ragion d'essere. Quando sorsero, i loro aderenti abbracciavano innanzitutto l'idea, o l'ideale che dir si voglia. Così, prima di ogni altra cosa, i repubblicani credevano nella giustezza dell'ideale repubblicano, i socialisti nel socialismo, i cristiani in un cristianesimo realmente democratico, i comunisti nell'avvento millenaristico del comunismo; l'adesione abbracciava l'utopia ammantata da forti tensioni etiche. Solo dopo si entrava a far parte dell'organizzazione di parte, cioè il partito, il quale, per le sue scelte operative e ideali, tendeva a portare avanti proposizioni coerenti con l'idea di cui era il portavoce legittimo. Storicamente è questa, non altra,la genesi dei partiti.
Oggi la loro struttura fisiologica non è più quella genetica. In questa sede non ci interessa analizzare come se ne è determinato il mutamento, ma ci basta constatare il dato di fatto che non si tratta più di organizzazioni di parte, portatrici legittime di ipotesi e visioni ampie, atte a realizzare alternative politiche.
Ci limitiamo a dire che, nel tempo, ha preso piede ciò che era latente al loro sorgere, talmente connesso e intrinseco al loro modo di essere, che ne ha determinato un cambiamento irreversibile, snaturandone per sempre il senso originario. Si tratta del distacco istituzionalizzato tra i ruoli dirigenti e la base che dovrebbero rappresentare. Un distacco talmente forte, che nella pratica quotidiana a lungo andare è divenuto una vera e propria lacerazione, non solo con la base stessa, ma soprattutto con l'ideale di riferimento. Così hanno avuto la meglio le scelte trasformiste delle varie segreterie e dei vari comitati centrali che, in assenza totale di un controllo e di un rapporto reali con le rispettive basi, hanno finito per fare letteralmente i fatti loro, fino a non essere più portavoce delle idee per cui i partiti erano sorti.
Venuta meno l'identificazione legata all'idea di partenza, di conseguenza ha preso piede la cosiddetta trasversalità. Oggi, forti del consenso quantitativo espresso sia dagli iscritti che dall'elettorato, gli ex-partiti sono più che altro degli apparati di potere, ben radicati all'interno del sistema di dominio vigente, ma le cui scelte non hanno più niente a che vedere, se non casualmente, con ciò che ancora simbolicamente rappresenta il loro nome. Non essendo più differenziati dal senso ideale, che era una vera e propria identificazione specifica, facilmente possono convergere su alcuni punti delle loro scelte momentanee, come con la stessa facilità possono divergere, senza che ciò abbia più nulla a che fare con le scelte di fondo che li distinguevano. Ecco allora sorgere e definirsi la cosiddetta trasversalità, consistente nelle convergenze specifiche che appartengono indifferentemente a uomini di diversi apparati partitici, mentre per altre cose, senza contraddirsi, possono benissimo trovarsi su fronti contrapposti.

Primi, i radicali
Intendiamoci bene, a mio avviso questo fatto non è di per sé né un bene né un male; più semplicemente è, e ne prendo atto. Ciò che veramente mi importa è capire cosa succede sullo scacchiere politico, possibilmente senza apriorismi o pregiudizi. Il mio giudicare del resto, sia come persona sia come individuo che ha abbracciato l'ideale anarchico, è genericamente antitetico alle forme del partito, che da sempre considero ingabbianti e fuorvianti rispetto al tipo di realizzazioni sociali cui auspico. Giudicare come se fosse un male quella che può essere considerata una degenerazione dei partiti, vorrebbe dire che a suo tempo mi ero illuso su ciò che avrebbero potuto fare, magari cose utili e confacenti alle prospettive sociali del mio immaginario. Mentre da essi non mi sono mai aspettato nulla che mi coinvolgesse. Le loro evoluzioni, o involuzioni che dir si voglia, mi lasciano indifferente dal punto di vista del coinvolgimento, quindi nel giudizio di bene e di male che ne potrei dare.
I primi che in Italia hanno teorizzato e tentato di realizzare la trasversalità, dimostrando un notevole intuito, sono stati i radicali; ma non sono riusciti a scalfire la partitocrazia, né sono ormai più una forza che conta. Anche i verdi da subito si sono sentiti trasversali, più come fatto definitorio che come vera strategia politica però; affermano di non appartenere né alla destra né alla sinistra e pensano di non essere un vero partito. Di fatto, anch'essi sono rimasti ai margini, forse perché non hanno né voluto né saputo proporre un'idea forza che li identificasse quali propugnatori di una strutturazione sociale alternativa, come nemmeno sono riusciti a raccogliere uomini e tendenze che si sentono verdi all'interno dei partiti. In questo senso la partitocrazia è stata astuta, perché, senza teorizzarlo, si è servita delle pratiche trasversali ai propri fini spartitori e clientelari, mettendo in atto, di volta in volta bellamente, alleanze, accordi e patteggiamenti funzionali al mantenimento del potere già posseduto.
All'interno di questo processo che ha inesorabilmente investito le forze politiche tradizionali, generatore sembra, almeno secondo la visione proposta quotidianamente dai mass-media, di un diffuso malcontento al livello delle masse che dovrebbero continuare ad assicurarne il consenso, si colloca l'ultimo tentativo di forza trasversale che Samarcanda, con notevole acume propagandistico, ha tradotto con lo slogan "il partito che non c'è". Al di là delle sue dichiarazioni, personalmente l'ho visto come una quasi proposta, anzi una finta proposta, abbastanza scopertamente pretenziosa, sorretta dall'intento, non detto chiaramente, di formare un'aggregazione nuova per un'eventuale futura alternativa di governo.
Si tratta del patto proposto dal democristiano Mario Segni ai candidati alle prossime elezioni politiche, finalizzato alle riforme elettorali e del parlamento e per limitare l'invadenza dei partiti nelle istituzioni. Una sorta di giuramento politico che, nelle intenzioni, dovrebbe condizionare i candidati prima di essere eletti, non importa a quale partito appartengano, impegnandoli appunto ad essere coerenti con gli impegni assunti, anche contro eventuali e future scelte del partito di cui sono parte. Questo patto fa seguito alla proposta del segretario repubblicano La Malfa per il partito degli onesti ed a quella, lanciata attraverso il quotidiano La Repubblica, del suo direttore Eugenio Scalfari per una lega nazionale atta a realizzare le riforme e a moralizzare la vita politica nazionale. Sia La Malfa che Scalfari si sono poi detti consenzienti col patto di Segni. Tutte e tre le proposte, di cui la più articolata è senz'altro quella del democristiano, più che a fondare un nuovo partito tendono ad aggregare trasversalmente le forze "buone", gli onesti appunto, di ogni partito senza esclusione di sorta, al fine di superare lo stallo dell'attuale classe politica, di chiaro stampo forlaniano-craxiano-andreottiano.

Come un'azienda
Le caratteristiche di questa nuova tendenza trasversale sembrano sostanzialmente due. La prima è la non messa in discussione delle identità partitiche esistenti, forse perché ormai sono soprattutto clientelari e affaristiche, non più ideologiche. La seconda è la costituzione di una specie di lobby che attraversi letteralmente le forze politiche, con l'illusione di ridare dignità etica e spessore politico all'azione delle stesse, attraverso una poco definita opera riformatrice. Una nuova tendenza che si definisce e tenta di costituirsi non attraverso nuovi assunti ideologici, bensì sul terreno della rifondazione dell'etica nella politica.
Personalmente non azzardo previsioni sulla sua sorte futura, ma soprattutto non mi interessa giudicarla sulla base di eventuali successi o insuccessi.
Sono comunque convinto che non farà molta strada, almeno se rimane nei termini in cui si è definita, perché la ritengo molto debole alla radice. Infatti non si pone né programmaticamente né strategicamente in una logica innovativa, capace di dare spazio a un nuovo modo di essere nella politica fattiva. Inoltre non ha una visione di ampio respiro, in grado di proiettarsi oltre i ristretti confini del presente. Bensì volontariamente vi si colloca all'interno e assume come dato di fatto irrinunciabile l'attuale stato di cose. Più semplicemente e, aggiungerei, semplicisticamente, si pone l'obiettivo di renderlo migliore e più efficiente. E' una logica di aggiustamento del transatlantico, non messo in discussione, perché parte dal presupposto che ha solo bisogno di essere rammodernato, attraverso modalità diverse di voto, con un parlamento fornito di procedure più snelle e possibilmente monocamerale, con una gestione pubblica più tecnica e manageriale, non più partitica. In sostanza mi sembra una ristrutturazione, come nel caso di un'azienda non più competitiva, che viene resa più efficiente nella produzione e nella distribuzione del prodotto finito, mentre rimane intatto tutto il contesto sociopolitico che fa sì che continui ad essere luogo di sfruttamento, di divisione sociale, di produzione di privilegi e di ingiustizie.
Uno sguardo più ampio rivelerebbe che il problema da risolvere non è quello della competizione sul mercato, legato al profitto, ma quello della giustizia sociale, di un'equa distribuzione della ricchezza e, non ultimo, quello della libertà.