Cari compagni, sono rimasto abbastanza deluso
dall'insistenza con cui nella rivista si continua a parlare di
caduta del comunismo, di crisi e tracollo del socialismo reale,
di morte del marxismo. Non che tutto questo non sia vero, anzi.
Non vorrei in qualche modo essere confuso per un vetero comunista,
quando il mio antibolscevismo è sempre stato chiaro e
costante; né in qualche modo rimpiango le dittature sorte nel
nome di Marx e di Engels, o i partiti/chiese che si sono ispirati a
Lenin o Mao Tze Tung. Non è sui contenuti, dunque, che vi
muovo delle obiezioni, bensì sul MODO con cui si affrontano
le questioni. A che serve continuare a ribadire in negativo che noi
non siamo per il comunismo di stato, o che non siamo mai stati
marxisti? Forse può essere utile per i giovani che leggono la
rivista da poco, o per tutti quelli che in genere credono che
l'anarchismo sia una variante del comunismo. Ma mi sembra che
le analisi fatte ultimamente sulla rivista siano semplicistiche,
all'insegna di slogan e del motto "Noi l'avevamo
detto". Questo modo estremamente ideologico di affrontare
questioni complesse come i ribaltamenti avvenuti nell'Est europeo o
il pensiero marxista non hanno secondo me più ragione di
essere visto che il comunismo è morto. Poteva essere utile e
proficuo nonché estremamente coraggioso farlo all'inizio
degli anni '70, gli anni in cui è sorta la rivista, quando la
maggior parte della sinistra era attestata su posizioni
marxleniniste dogmatiche ed intransigenti; ora questa operazione mi
sembra un vivere di riflesso, un continuare a volersi costruire una
identità "in negativo" e su una cosa che non c'è
più. La sinistra (uso questo termine nel senso di
progressista, altrimenti non so più cosa possa indicare) e in
crisi di valori, non ha più punti di riferimento. Certo, c'è
un nucleo ancora forte di persone che continuano a credere nel verbo
marxista (vedi il Manifesto o Rifondazione) ma non mi sembrano certo
un pericolo; sono una razza in via di estinzione tanto e più
di noi. Sono come quelli che dopo la scoperta che la terra girava
intorno al sole continuavano a credere nel "Fermati o sole"
della Bibbia. Destano in me un senso di pena più che di
rabbia... Invece il dialogo andrebbe ricercato con quella parte
della sinistra che ha abbandonato ogni riferimento ideologico, ma
che pure vorrebbe un cambiamento radicale. In questo senso
mi sembrerebbe più proficua una contrapposizione col
comunismo spiegando soprattutto cosa vogliamo noi, come vorremmo
venisse gestita l'economia, presentando i progetti
autogestionari del passato ma soprattutto quelli del
presente... Ma c'è un altro punto, decisamente più
importante, su cui non concordo in generale con la
vostra impostazione: mi sembra che non capiate che la morte del
comunismo è anche, in parte, la nostra morte, anche se non
lo vogliamo. In realtà non è morto solo il
comunismo realizzato, la società/gulag o il
partito/esercito/chiesa/stato bolscevico. Né è morto
solo il comunismo ideale, identificato per decenni con l'Utopia
tout/court, anche se il marxismo con le sue pretese scientifiche e
positiviste tendeva a presentarsi come teoria antiutopistica. Mi
pare morta, e se non proprio morta quantomeno agonizzante, l'Utopia
in generale, la capacità, la voglia, il desiderio di pensare
un radicalmente altro, un mondo veramente diverso. Certo la
confusione è grande, le previsioni sono difficili, però
mi sembra che siamo giunti davvero al termine di quel processo di
secolarizzazione iniziato con l'età moderna e con
l'instaurarsi progressivo della civiltà mercantile,
processo di cui, in un certo senso, il movimento socialista, e anche
l'anarchismo, son stati al contempo una reazione e una risposta: una
risposta nel senso che hanno elaborato e continuato delle idee e
delle istanze illuministiche, moderne, razionalistiche; una reazione
nel senso che dopo la morte di dio nei cieli lo hanno immanentizzato
trasferendo il paradiso in terra (l'anarchia, il comunismo, il
socialismo) riprendendo per molti versi quella istanza
millenaristica e rivoluzionaria del primo cristianesimo, istanza poi
abbandonata dalla chiesa romana una volta che questa si era
istituzionalizzata, ma riemerse nel corso dei secoli attraverso
movimenti eretici e rivoltosi.. In sintesi la morte dell'Utopia,
ho usato il termine Utopia quale sinonimo di socialismo. In realtà
il socialismo è stata solo l'ultima determinazione
empirica, in ordine di tempo, l'ultima variante delle tensioni
utopiche sempre presenti nel corso dell'umanità e
accomunabili quasi tutte dal rifiuto della mondanità e
della società mercantile: le utopie reazionarie con lo scopo
di ricreare una società fondata su valori spirituali;
quella socialista (in tutte le sue varianti) con l'intenzione di
creare ex-novo una nuova e radicalmente diversa mondanità.
Naturalmente oltre alla crisi dell'Utopia dobbiamo constatare
anche la crisi delle idee di Rivoluzione, strumento attraverso
il quale parte del movimento socialista intendeva conseguire la
nuova società. In sintesi la morte dell'utopia mi sembra
molto grave, mi sembra il "Problema" dal quale ora non si
può trascendere. Come può inserirsi qualunque progetto
anarchico (anche quello più elaborato e in un certo senso
più realistico della ecologia sociale) in una società
giunta all'estremo grado di secolarizzazione? Che senso può
avere un anarchismo spogliato di ogni istanza millenaristica e
"religiosa" (propria secondo me di ogni pensiero utopico
in quanto preconizzatore di un radicalmente altro) e fondato
unicamente su basi razionali illuministiche se non quello di ridursi
ad un puro eticismo? Come può svilupparsi, nella teoria e
nei fatti, la nostra contrapposizione alla liberal-democrazia e
al pensiero realistico, vincitori planetari? Quali sono gli spazi
libertariamente sfruttabili nelle democrazie? Queste domande
esigono in me delle risposte che non riesco a trovare... non
sfuggiamo alla nostra responsabilità storica, quella di
capire veramente la società in cui viviamo per poterla
criticare... La dottrina uccide la vita, diceva giustamente Bakunin,
e mentre la società avanza senza di noi facendosi beffe di
ogni teoria che crede di averla capita e interpretata una volta
per tutte, noi rimaniamo rivolti al passato, sicuri che in fondo
tutto cambia per rimanere eternamente uguale (siamo forse
reazionari?). Non vorrei essere sembrato troppo critico; la
Rivista rimane pur sempre il mio punto di riferimento anarchico più
importante, e la sua utilità non può essere messa in
discussione... Saluti "anarcopolemici" e
"anarcofuturisti"