Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 22 nr. 188
febbraio 1992


Rivista Anarchica Online

Quale democrazia
di Andrea Papi

Alcune contraddizioni intrinseche al sistema democratico, nell'analisi del nostro collaboratore Andrea Papi. Il dibattito prosegue.

Il tempo, nell'alveo a volte spietato del suo inevitabile scorrere, fra le altre cose, conduce a creare e riesce a imporre stereotipi culturali che, per un periodo più o meno lungo, entrano a far parte del patrimonio culturale collettivo. In questa fase storica è il caso della democrazia, ormai assunta da tutti gli opinion-maker quale unità di misura per analizzare, criticare e giudicare gli avvenimenti in corso.
Come sempre succede quando prende piede e forma uno stereotipo culturale, la parola o la frase che lo compongono, di volta in volta, soggettivamente, vengono caricate di significati e di tentativi di senso che, a lungo andare, rischiano di stravolgere il senso originario alla base del concetto che ha dato vita e forma alla parola o alla frase stessa. Così abbiamo che "democrazia", oggi metro di valutazione quasi oggettivo per giudicare la validità o meno di un assetto politico e societario, stia sempre più diventando il contenitore definitorio dei valori attorno ai quali non tanto si definisce, ma soprattutto si auto-esalta, l'occidentalismo, che si pretende portavoce e portatore di legittimità etiche, culturali, politiche ed economiche. In effetti, dopo il crollo dei regimi totalitari bolscevichi, l'occidente sembra apparire quale unica formula di partecipazione democratica possibile e in tale forma stereotipata viene propinata quotidianamente dall'imbonimento dei mass-media.
Non ne siamo soddisfatti, ma ci piace approfondire un poco di più la questione, cercando di andare oltre gli effetti massificatori dell'imbonimento culturale, alla ricerca di una genuinità che, forse, gli effetti massmediologici stanno compromettendo. Per capire qualcosa di più, mi sembra utile risalire veramente alle origini. Non tanto, anzi non solo, per una curiosità etimologica che, per di sé, lascerebbe il tempo che trova. E' infatti importante comprendere l'origine del concetto che fa da sostrato alla parola, accompagnandola poi nel suo evolversi durante i corsi storici, perché ci permetta di affinare la comprensione del senso con cui fu concepita e si è impostata.

Popolo e potere
Come la maggior parte dei concetti che stanno alla base delle possibilità e delle visioni politiche, anche la democrazia ha genesi nella culla della cultura occidentale, la Grecia antica; è composta da due parole: "dèmos". cioè popolo e "okràtòs", cioè potere. Il suo significato originario dunque, attraverso l'analisi etimologica, è letteralmente "potere del popolo". Dal che subito si induce che c'è democrazia ogni qualvolta il popolo esercita il potere.
Questo e non altro è il senso reale, originario allo stesso tempo, che evoca l'uso della parola in questione. Ma per avere potere, il popolo deve esercitarlo e a farlo non può che essere lui stesso, altrimenti non si tratta più del suo potere, bensì, di quello di un altro. Ne discende che, per essere realmente potere popolare, questo non può che derivare dal popolo stesso, perché lo esercita da sé per sé. In altre parole c'è democrazia se c'è al contempo autogoverno, perché altrimenti c'è per forza etero-governo, cioè governo di altro da sé. Nel qual caso vorrebbe dire che il popolo si trova diretto da qualcosa di esterno a sé, che ha potere su di lui, cioè una forma di potere non popolare, quindi non democratico.
Dal momento che il popolo è l'insieme di tutti i membri che lo compongo, chiunque essi siano, il principio fondante della democrazia non può che essere la distribuzione egualitaria ed equa del potere politico. Secondo il significato originario dunque, la democrazia si esplicita attraverso forme di uguaglianza decisionale, proprio perché altrimenti, il potere diventerebbe eteronomo, cioè di altri sul popolo che, come abbiamo visto, per decidere dev'essere autonomo.
Questo il senso che fa da sostrato al concetto di democrazia. Più problematico diviene senz'altro il come esplicitarlo, renderlo cioè coerente nell'atto in cui lo rende operativo. Anche perché non è affatto semplice istituzionalizzare una pratica capace di rendere effettivo un modo di distribuire equamente il potere politico. In proposito, l'attuale concezione pretende di aver superato definitivamente la democrazia diretta dell'"ekklesia", l'assemblea popolare che si svolgeva nell'"agorà" la piazza d'Atene dedita alla vita politica della città. La critica che ne fece a suo tempo Aristotele ha fatto scuola. Vide nell'assemblea ateniese un luogo di fermento dell'autoritarismo, perché dava facilmente spazio al leaderismo demagogico, impedendo quindi una reale decisionalità democratica. Guardando infatti i livelli sofisticati di manipolazione emotiva e del pensiero, in atto durante 1o svolgimento di assemblee oceaniche, è difficile non convenire con la critica aristotelica.
Si pretende di aver risolto il problema con l'assunzione del concetto di rappresentanza, strettamente legato a quello di sovranità, che furono elaborati nel medio evo, in particolare da Marsilio da Padova. In sintesi, la sovranità democratica è del popolo, ma viene esercitata attraverso il principio di rappresentanza legittima. Per farla breve, attualmente si è consolidata l'idea che la rappresentanza legittima si esplica nella pratica elettorale, secondo cui i cittadini, come vengono definiti i membri del popolo dalla rivoluzione francese in poi, attraverso l'esercizio del diritto di voto, eleggono i loro rappresentanti e li delegano a decidere per loro, non permanentemente, ma per un periodo limitato di tempo stabilito dalla carta costituente. Con un simile artificio logico, tradotto in vari modi attraverso le diverse codificazioni giuridiche, le democrazie occidentali contemporanee sono convinte di aver definitivamente risolto il nesso intricato tra il principio del potere popolare e la sua realizzazione in una pratica coerente, capace di rispettarne il senso, l'etica e la lettera.

Democrazia monca
Ma a scavare bene all'interno di questa costruzione logico-formale, mi sembra di poter rilevare delle mancanze di nesso, altrimenti dette contraddizioni, le quali sono senz'altro alla base delle continue, se non permanenti, disfunzioni di cui soffrono le democrazie occidentali vigenti. Per comprenderci meglio riprendo alcune rilevazioni fatte più sopra.
Primo, una decisionalità democratica reale è praticamente impossibile attraverso la sola forma assembleare. Secondo, per risolvere questo problema e rimanere ugualmente all'interno del principio democratico, nel tempo è stato elaborato il principio della rappresentatività per mezzo dell'esercizio del diritto di voto, finalizzato a delegare il potere politico nell'ambito di un arco limitato di tempo. Diamo per scontato che non ha senso riproporre l'assemblearismo puro e semplice, sempre e comunque.
Ciò non vuole però dire che il principio della rappresentanza delegata vada comunque bene e, soprattutto, sia coerente col principio democratico.
Se è vero infatti che nel momento in cui si esercita il diritto di voto ogni membro della società si esprime liberamente ed esercita un potere reale, anche se estremamente limitato, non è affatto vero che la delega di potere, seppur per un periodo di tempo definito, sia altrettanto un momento di espressione democratica. Lo dimostra il fatto che, durante l'arco di tempo in cui i delegati esercitano il potere, gli altri membri della società che li hanno votati non hanno facoltà di intervenire nell'ambito delle decisioni che essi prendono. Si determina così un'enorme distanza istituzionalizzata tra gli eletti e gli elettori, proprio nel momento fondante della democrazia, quello decisionale. Di fatto oggi nell'occidente il popolo non ha potere, perché non può decidere.
Può solo eleggere, cioè legittimare chi deve decidere. Mi si permetta dunque di affermare che questa democrazia è estremamente monca, perché in realtà non si realizza l'assunto per cui il potere dev'essere esercitato dal popolo.