Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 22 nr. 188
febbraio 1992


Rivista Anarchica Online

Testamento di un disertore
di Carlo Bellisai

Quando mi arruolai nella milizia popolare rivoluzionaria ero entusiasta, visto che si trattava di lottare per la propria libertà e per la possibilità di vivere meglio: avevo desiderio di trovare armonia tra le cose e schietti rapporti con gli altri, sentivo inarrestabile la voglia di appropriarmi del mio destino, di scegliere cosa fare e dove andare, con interno vigore e speranza. Ero reduce da una lunga e avventurosa fuga davanti ai cani e ai fucili delle guardie dell'esercito nazionale. Da oltre un anno ero stato arruolato coattivamente ed invano avevo cercato di farmi passare per malato e perfino di infortunarmi, pur di non essere costretto a far fuoco ed a sbudellarmi con altre persone che potevano essere miei amici, o comunque persone uniche e sconosciute. Tutto ciò fu vano perché un maledetto giorno mi ritrovai costretto a opporre resistenza all'ufficiale che mi dava l'ordine di sparare contro il nemico. Poiché al mio rifiuto questi mi puntò addosso la sua pistola, ingiungendomi minacciosamente di eseguire l'ordine, dovetti divincolarmi e sottrargli l'arma. A quel punto tutto divenne come automatico e neppure mi accorsi di aver preso la decisione di farmi scudo dell'ufficiale per superare gli sbarramenti e darmi alla fuga: "a morte i tiranni, gli impostori e i violenti" urlai mentre retrocedevo fra le linee dei soldati, quasi con l'intenzione di dare ad altri l'esempio.
Non appena mi disfai dell'ostaggio si aprì la caccia grossa. Dovetti avere un'immensa fortuna e una notevole resistenza per farla franca. A un disertore si spara come al piccione. Non bisogna lasciarlo scappare per un'opposta questione d'esempio. Perché la gente tolleri di vivere nella feroce idiozia della guerra bisogna opporre l'immediato e cruento castigo del disertore, finché le menti si prostrino all'ineluttabilità del destino.
Giunto nelle zone liberate dalle milizie mi arruolai in esse volontario. Tornare ad imbracciare un fucile, ma per difendere la propria terra e la propria vita, per cercare di incontrarsi diversi ma senza barriere, diversi cervelli e non diversi abiti, o peggio diverse uniformi senza nulla dentro.
Ora non avevamo una divisa, si era colorati e differenti, il che rendeva ancor più consapevole la gente che il combattere era una necessità civile di difesa e di cambiamento sociale: si era rivoluzionari, non soldati!
In quei giorni, in quei momenti pareva che la gente avesse trovato la forza per solidarizzare, per occuparsi anche dei problemi degli altri, o per scoprirli simili ai propri, per ritrovarsi finalmente senza maschere addosso e privi dei fili che a lungo avevano ancorato i movimenti più arditi, le mosse, gli urli, i respiri.
Eravamo pronti a dar la vita per tutto questo, per quanto ciò possa apparire retorico.
L'utopia è una strana cosa, essa vaga in mezzo alla storia come un cavallo selvaggio che molto spesso finisce con l'essere domato, salvo poi imbizzarrirsi di nuovo.
II momento richiamava ogni forza: si stava costruendo con le proprie mani la casa di domani , e al contempo, si viveva ciò che è più importante di tutto, il presente, i tentativi, gli errori, i successi, l'aria per i pensieri ed i gesti.
Ma qualcosa cambiò pian piano, qualcuno riprese a fare proclami salendo nei vecchi palazzi e un giorno si sparse la voce che ci avrebbero costretti ad infilarci un'uniforme e ad ubbidire ad uno coi gradi superiori. Ben pochi vollero crederci, io meno che altri. Ma poco tempo dopo venne la notizia ufficiale: saremmo stati irregimentati. Era necessario che qualcuno esercitasse un controllo. Ognuno di noi avrebbe avuto una splendida uniforme coi gradi sulle spalline magari ed avremmo dovuto ubbidire senza più discutere, proprio come in un nuovo esercito, rivoluzionario ma esercito, che si scontra con un altro nemico.
Dovetti scappare nuovamente, ma questa volta lo feci subito: disertai gridandolo forte insieme ad altri. Vogliamo lottare - gridammo - per un mondo di pace e solidarietà, non ubbidire agli ordini di un ufficiale che ti intima di sparare contro il tuo amico sfortunato che non ce l'ha fatta ed è rimasto sull'altra sponda, dietro l'altro stendardo.
Vogliamo probabilmente più difendere la libertà che combattere un nemico che proprio adesso vedi da più parti. Il tuo compagno rivoluzionario che ha accettato la nuova divisa ora ti dà la caccia. Nuovi uomini si trasformano in vecchi colonnelli; la libertà torna ad essere un fantasma. Ma non si estingue il suo seme selvatico.
Non c'è nobile ideale, non c'è sogno che, passando nell'imbuto militare, non si dissipi trasformandosi in enfatico dogma. Il disertore ama la vita, nonostante tutto, e non vuole accettare di far parte di quella marcia ossessiva di truppe che simboleggia ed incarna una comune violenza, una muta sottomissione, irrisoria di milioni di vittime lontane...Forse non le hai mai conosciute, potresti far finta che non esistano.
Che te ne frega allora? Continua ad ubbidire!