Quando mi arruolai nella milizia popolare rivoluzionaria ero entusiasta, visto che
si trattava di lottare per la propria libertà e per la possibilità di vivere meglio: avevo desiderio
di trovare armonia tra le cose e schietti rapporti con gli altri, sentivo inarrestabile la voglia di appropriarmi del
mio destino, di scegliere cosa fare e dove andare, con interno vigore e speranza. Ero reduce da una lunga e
avventurosa fuga davanti ai cani e ai fucili delle guardie dell'esercito nazionale. Da oltre un anno ero stato
arruolato coattivamente ed invano avevo cercato di farmi passare per malato e perfino di infortunarmi, pur di
non essere costretto a far fuoco ed a sbudellarmi con altre persone che potevano essere miei amici, o comunque
persone uniche e sconosciute. Tutto ciò fu vano perché un maledetto giorno mi ritrovai costretto
a opporre resistenza all'ufficiale che mi dava l'ordine di sparare contro il nemico. Poiché al mio rifiuto
questi mi puntò addosso la sua pistola, ingiungendomi minacciosamente di eseguire l'ordine, dovetti
divincolarmi e sottrargli l'arma. A quel punto tutto divenne come automatico e neppure mi accorsi di aver preso
la decisione di farmi scudo dell'ufficiale per superare gli sbarramenti e darmi alla fuga: "a morte i tiranni,
gli impostori e i violenti" urlai mentre retrocedevo fra le linee dei soldati, quasi con l'intenzione di dare
ad altri l'esempio. Non appena mi disfai dell'ostaggio si aprì la caccia grossa. Dovetti avere
un'immensa fortuna e una notevole resistenza per farla franca. A un disertore si spara come al piccione. Non
bisogna lasciarlo scappare per un'opposta questione d'esempio. Perché la gente tolleri di vivere nella
feroce idiozia della guerra bisogna opporre l'immediato e cruento castigo del disertore, finché le menti
si prostrino all'ineluttabilità del destino. Giunto nelle zone liberate dalle milizie mi arruolai in esse
volontario. Tornare ad imbracciare un fucile, ma per difendere la propria terra e la propria vita, per cercare di
incontrarsi diversi ma senza barriere, diversi cervelli e non diversi abiti, o peggio diverse uniformi senza nulla
dentro. Ora non avevamo una divisa, si era colorati e differenti, il che rendeva ancor più
consapevole la gente che il combattere era una necessità civile di difesa e di cambiamento sociale: si
era rivoluzionari, non soldati! In quei giorni, in quei momenti pareva che la gente avesse trovato la forza
per solidarizzare, per occuparsi anche dei problemi degli altri, o per scoprirli simili ai propri, per ritrovarsi
finalmente senza maschere addosso e privi dei fili che a lungo avevano ancorato i movimenti più arditi,
le mosse, gli urli, i respiri. Eravamo pronti a dar la vita per tutto questo, per quanto ciò possa
apparire retorico. L'utopia è una strana cosa, essa vaga in mezzo alla storia come un cavallo
selvaggio che molto spesso finisce con l'essere domato, salvo poi imbizzarrirsi di nuovo. II momento
richiamava ogni forza: si stava costruendo con le proprie mani la casa di domani , e al contempo, si viveva
ciò che è più importante di tutto, il presente, i tentativi, gli errori, i successi, l'aria per
i pensieri ed i gesti. Ma qualcosa cambiò pian piano, qualcuno riprese a fare proclami salendo nei
vecchi palazzi e un giorno si sparse la voce che ci avrebbero costretti ad infilarci un'uniforme e ad ubbidire ad
uno coi gradi superiori. Ben pochi vollero crederci, io meno che altri. Ma poco tempo dopo venne la notizia
ufficiale: saremmo stati irregimentati. Era necessario che qualcuno esercitasse un controllo. Ognuno di noi
avrebbe avuto una splendida uniforme coi gradi sulle spalline magari ed avremmo dovuto ubbidire senza
più discutere, proprio come in un nuovo esercito, rivoluzionario ma esercito, che si scontra con un altro
nemico. Dovetti scappare nuovamente, ma questa volta lo feci subito: disertai gridandolo forte insieme
ad altri. Vogliamo lottare - gridammo - per un mondo di pace e solidarietà, non ubbidire agli ordini di
un ufficiale che ti intima di sparare contro il tuo amico sfortunato che non ce l'ha fatta ed è rimasto
sull'altra sponda, dietro l'altro stendardo. Vogliamo probabilmente più difendere la libertà
che combattere un nemico che proprio adesso vedi da più parti. Il tuo compagno rivoluzionario che ha
accettato la nuova divisa ora ti dà la caccia. Nuovi uomini si trasformano in vecchi colonnelli; la
libertà torna ad essere un fantasma. Ma non si estingue il suo seme selvatico. Non c'è
nobile ideale, non c'è sogno che, passando nell'imbuto militare, non si dissipi trasformandosi in enfatico
dogma. Il disertore ama la vita, nonostante tutto, e non vuole accettare di far parte di quella marcia ossessiva
di truppe che simboleggia ed incarna una comune violenza, una muta sottomissione, irrisoria di milioni di
vittime lontane...Forse non le hai mai conosciute, potresti far finta che non esistano. Che te ne frega allora?
Continua ad ubbidire!