A nous la libertè diario a cura di Felice Accame
Destino del comico
L'umorismo televisivo, nella sua storia evolutiva, ha
gradualmente assunto il carattere dell'autoreferenzialità. Mi
spiego: come gli sketch degli anni cinquanta si riferivano alla vita
quotidiana ed ivi attingevano per produrre sghignazzi e cachinni,
così, già dagli anni ottanta, si è finito
con il rivolgersi alla televisione stessa ed al suo monotono
universo. Il modello è quello di Drive In e dei suoi
numerosi tentativi di imitazione: la battuta ha come referente
privilegiato il già televisivizzato, presentatori, cantanti,
giornalisti di bel busto, critici-spazzatura, eroi della telenovela
sportiva - foss'anche un "uomo politico", ci si riferisce
a lui solo in quanto "filtrato" di una
miscela essenzialmente televisiva. Un sistema di valori, insomma,
che - anche nel rovesciamento tipico del comico - si auto-ricicla.
Anche al cinema è toccato simile destino. Me ne sono reso
conto andando a vedere Una pallottola spuntata due e mezzo
(una frazione, diciamo, minore, dopo Fellini otto e mezzo
e dopo Nove settimane e mezza), che viene al seguito,
ovviamente, di Una pallottola spuntata. Stessi attori
(Leslie Nielsen nei panni del poliziotto sbadato e fortunato Frank
Drebin), stessi impresari (la compagnia Zucker, Abrahams &
ancora Zucker, produttori, sceneggiatori e registi, come in L'aereo
più pazzo del mondo e cose del genere). Non è
che si rida poi molto, ma, se uno non è mai stato al cinema,
riderà ancor meno. La morale potrebbe star tutta qua. Il
meccanismo con cui si cerca il nostro riso più o meno
compiacente è tutto affidato all'arte della citazione, sia
essa individuale - la scena del tal film -, o collettiva - la scena
tipica del tal genere: dalla contraddizione improvvisa della
citazione, dallo scarto sorprendente rispetto all'usualità
del paradigma narrativo, si innesca la nostra partecipazione
ridanciana di spettatori (spettatori, comunque, colti, perché
se privi del modello di riferimento non possiamo neppure apprezzare
la trasgressione). In questi usi ed abusi tutti interni al
cinema, poi, è anche interessante notare come vengano
metabolizzati non solo i luoghi narrativi, ma anche le modalità
stesse canonizzate per la narrazione. Per cui si ride sia per la
soluzione diversa conferita ad una situazione nota, e sia per gli
impliciti percettivi impostici dalla tradizione cinematografica e
sistematicamente disattesi. Beninteso: se si ride. Perché, a
dire il vero, il marchingegno è di quelli di poca durata:
funziona fino a che la gag spadroneggia sulla storia, ma quando - come
nel secondo tempo - la storia prende finalmente il sopravvento sulla
gag, anche sullo spettatore più ben disposto, cala la noia.
Sulla crisi da "secondo tempo" dei film comici, peraltro,
si potrebbe scrivere un intero trattato con il supporto di una
ricchissima documentazione: il successo della battuta o l'effetto
della "trovata" reggono fino a che il regista può
disporne senza vincoli di sorta (il riso, potremmo dire, ha qualcosa
di anarchico che lo anima), ma quando i fili debbono essere tirati
al pettine e ad una qualche vicenda si pretende di assegnare
valori di verosimiglianza e plausibilità - quando più
emerge la trama -, ecco che vengono a mancare le gag o se ne ricicla
qualcuna già usata, con le opprimenti conseguenze che tutti
possiamo immaginare. Non a caso, il film comico di qualità è
merce rara, forse addirittura incompatibile con il sistema
produttivo di cui il film fa parte: per azzeccarne uno occorre,
presumibilmente, essere poveri e vilipesi a sufficienza da averne le
tasche piene. Questa nuova Pallottola spuntata non fa
eccezione: ci regala qualche esilarante cattiveria nei confronti
della signora Bush, qualche saggio di irriverenza e di humor nero
non privi di una loro intelligenza, qualche sbeffeggiata acuta a
destra e a manca, e tuttavia non sa andare al di là del
cinema stesso per nutrirsi d'idee, non rinuncia a rimestare nel
calderone del sesso americano per ottenere la risata di grana grossa
e triviale, franando infine, come esige la regola del film mediocre
e comico, allorquando la rappresentazione dell'evento viene a
sostituire gli artifici del linguaggio.
P.S.: La pubblicità lo ha presentato garantendo "due
ore di risate". Si affida, evidentemente, alla buona volontà
ed alla carità cristiana di tutti noi - visto e cronometrato
che il film dura un'ora emezzo suppergiù.